Ospitiamo con immenso piacere una intervista a  Paolo Cardenà, blogger di straordinario spessore –  www.vincitorievinti.com – e consulente finanziario, per analizzare la situazione economica italiana attuale, cercare di fare il punto su quali sono le  aspettative per i prossimi 6-12 mesi e soprattutto per dire con estrema chiarezza di cosa avrebbe bisogno il paese per uscire dalle secche in cui si è cacciato da anni e cosa invece il governo Renzi – sulla falsariga di quelli che l’han preceduto, Letta e Monti – sta facendo.

Con l’occasione, vogliamo ricordare che stiamo lavorando con Paolo Cardenà per organizzare nel prossimo futuro eventi, sia in streaming live che in sala, non solo per spiegare dati alla mano come stanno davvero le cose, ma soprattutto per proporre soluzioni pratiche a chi, vivendo in questo paese, si tratti di famiglia o impresa, si sente sempre più “ostaggio” di  uno Stato che, invece di proteggere e tutelare la propria attività e il proprio patrimonio, è il primo ad attaccarli e depredarli.

 Buona lettura.

TN: Come vedi la situazione economica generale al momento?

Paolo Cardenà: Gli ultimi indicatori forniti dall’Istat confermano che la situazione economica italiana si sta ulteriormente deteriorando. Cosa che, a dire il vero, ci aspettavamo. Purtroppo l’Italia è caduta in uno stallo che si protrae ormai da diversi anni, e sembra che stia percorrendo un sentiero molto pericoloso, nel quale, con ogni probabilità, nella migliore delle ipotesi, si troverà ad alternare periodi di recessione con periodi di bassa crescita, in un percorso distruttivo fortemente allarmante. C’è da dire anche che, per il momento, le esportazioni sembrano aver offerto un sostegno significativo alla tenuta del PIL. Più o meno tutte le più grandi economie occidentali, dopo il periodo di burrasca successivo alla scoppio della bolla dei mutui subprime e al fallimento della banca americana Lehman Brothers, seppur con molte difficoltà e con altrettanti elementi di fragilità, hanno conosciuto una ripresa dell’attività economica che, in un certo qual modo, ha contribuito a sostenere l’export italiano, che a sua volta ha dato e continua a dare un ottimo contributo all’attività economica italiana, compensando in parte il crollo della domanda interna dell’Italiana.

TN: Quindi, quali sono le aspettative per i prossimi 6-12 mesi?

Paolo Cardenà: E’ evidente che queste economie si trovino in una fase di ciclo economico molto più avanzata rispetto all’economia italiana che sta ancora combattendo con la crisi che si protrae dal 2008. In alcune di queste aree, stanno già incubando i prodromi per una prossima crisi. Non possiamo dire quando scoppierà: se tra sei mesi, un anno, oppure due. Ma è certo che scoppierà,e quando avverrà, è chiaro che si assisterà ad una contrazione del commercio internazionale che aggredirà anche le dinamiche della componente export dell’Italia, che a quel punto si troverà ancora in condizioni di estrema fragilità e, in assenza di una domanda interna sostenuta (che non appare all’orizzonte) tale da contribuire ad arginare la contrazione dell’export, ne verrà travolta pagandone il prezzo più alto.

Il Fondo Monetario Internazionale che, nel World Economic Outlook pubblicato ieri, pone particolare attenzione ai fattori di rischio al ribasso per l’economia globale, non dimenticando di segnalare come l’intensificarsi e il persistere di rischi di natura geopolitica, potrebbero riflettersi sui prezzi dei prodotti petroliferi, sull’intensità del commercio internazionale, e potrebbe portare ad ulteriori difficoltà economiche. Non solo, ma il FMI afferma anche che nelle economie avanzate, la stagnazione secolare e la bassa crescita potenziale continueranno ad essere rilevanti fattori di rischio, nonostante tassi di interesse molto bassi. Aggiunge anche che il protrarsi di fenomeni deflattivi o deflazione vera e propria, in particolare nell’area dell’euro, potrebbero rappresentare un rischio per l’attività e la sostenibilità del debito in alcuni paesi. E qui il richiamo sembra essere rivolto proprio all’Italia, per via del debito pubblico in continua ascesa, e anche per via delle condizione di estrema fragilità dell’economia nazionale: fattori che incidono significativamente sulla sostenibilità del debito pubblico, peraltro aggravata -nel lungo periodo- anche da un deficit demografico che si sta ulteriormente deteriorando per via del fatto che molti giovani italiani stanno abbandonando l’Italia per cercare fortuna in luoghi ove esistono condizioni più favorevoli per realizzarsi e costruire un futuro migliore. Che l’Italia possa trovarsi nella condizione di operare una ristrutturazione del debito pubblico è una possibilità che non va esclusa a priori. Come non va esclusa la possibilità che si possa arrivare a qualche forma di imposizione patrimoniale straordinaria, proprio finalizzata a rendere più sostenibile il debito pubblico. Ma in questo caso, a mio avviso, gli affetti distruttivi sarebbero enormi. 

TN: Di che cosa ha bisogno l’Italia per uscire dal limbo in cui si è cacciata?

Paolo Cardenà: Finora si è affrontata questa crisi – che di rituale ha assai poco – con manovre di politica economica del tutto rituali, che hanno miseramente fallito e aggravato la situazione. Quello che non comprendono i nostri governanti (e anche molti economisti) quando azzardano previsioni di crescita del Paese (sistematicamente fallite), è un fatto molto semplice, anzi banale.

Ossia, loro, più o meno colpevolmente, pensano che l’Italia, considerate le diverse componenti del Pil, possa crescere esprimendo per ciascuna componente lo stesso potenziale di contribuzione espresso nel periodo precedente la crisi, ignorando la distruzione intervenuta in questi anni.

Mi spiego: se prima dalla crisi 100 persone producevano 1000 euro di ricchezza, oggi, ad esempio, le stesse persone esprimono un potenziale di contribuzione alla crescita non più di 1000, ma magari di 900, o forse meno.
Questo perché, quelli che gli economisti chiamano “agenti economici”, per via della crisi, hanno subìto una forte riduzione della potenzialità di contribuzione alla generazione di ricchezza. E ciò per diversi fattori.
Solo per citare alcuni esempi: dall’inizio della crisi sono risultati insolventi nei confronti del sistema bancario oltre un milione di soggetti, tra famiglie e imprese. Costoro, allo stato attuale (ma anche futuro) non hanno alcuna possibilità di accesso al credito, né per effettuare investimenti in beni durevoli, né per finanziare qualche ipotetica iniziativa imprenditoriale. Anzi, nei casi più eclatanti vivono in condizioni di miseria o povertà assoluta. Quindi minori investimenti corrispondono a un minor PIL.
Altro esempio. Sempre per via della crisi, molti soggetti (oltre a quelli sopra citati) hanno accumulato ingenti debiti tributari, perché non sono riusciti ad adempiere all’obbligazione tributaria, seppur legittimamente dichiarata nella denuncia dei redditi. Questi soggetti saranno costretti a vivere in condizioni di clandestinità fiscale e, anche in futuro, dovranno comprimere i consumi o rinunciare ad investire in beni durevoli, in case, o automobili, che altrimenti verrebbero aggrediti da Equitalia.
Pensi, ancora, alla pressione fiscale, notevolmente aumentata dall’inizio della crisi, nonostante redditi reali in diminuzione. Un minor reddito, peraltro gravato da un maggior onere fiscale, corrisponde ad un minor reddito disponibile per sostenere i consumi.
In parole più semplici, questi fattori e molti altri ancora, contribuiscono a comprimere le potenzialità di crescita del paese, con soggetti in ostaggio (e vittime, allo stesso tempo) della crisi e di un sistema fiscale che dovrebbe essere profondamente riformato.
Si potrebbe andare avanti per ore, ma il risultato sarebbe sempre lo stesso. Cioè che, ad oggi, alla produzione della ricchezza nazionale auspicata (sognata) dal governo deve contribuire una platea considerevolmente più ristretta rispetto al passato, sulla quale grava anche un onere fiscale maggiore.
Fino a quando questi soggetti non verranno in qualche modo riabilitati o reintegrati nella sfera economica e sociale, qualsiasi previsione di crescita del Paese sarà destinata a fallire miseramente, sotto i colpi di posizioni ideologiche (da parte della politica) ancora ben lontane dal comprendere la profondità di questa crisi.
Ecco, l’ho detto in maniera semplice e banale. Ma qui, di teoria economica c’è ben poco, e il ragionamento osservato è solo di logica e buonsenso.

TN: E di Renzi, cosa ci dici?

Paolo Cardenà: Il mio giudizio è assai negativo sull’operato del governo Renzi, per tutte le ragioni di cui abbiamo abbondantemente discusso sul blog. Quando Renzi afferma che siamo all’ultima spiaggia, sostanzialmente lo dice per proprio tornaconto. Perché a lui e alla nomenclatura politica trincerata dietro alle sue spalle, fa comodo che l’opinione pubblica si convinca che leadership di Renzi sia l’unica soluzione possibile, l’unica in grado di fare qualcosa per il paese, l’unica capace di invertire il declino italiano. E nel frattempo loro rimangono saldamente ancorati allo STATUS QUO, godendo di tutti i benefici che ne conseguono.

Ecco perché gli italiani, alle scorse europee, hanno rovesciato una valanga di voti a favore di un partito dai connotati genetici discutibili, guidato da un tizio che sta dimostrando la sua inerzia intellettiva dinanzi alle condizioni drammatiche del paese. Perché hanno creduto (e credono tutt’ora) che quella di Renzi, magari anche per via della sua giovane età, sia l’unica alternativa possibile ad un vuoto politico che, se colmato, rischierebbe di produrre altrettanti cialtroni, non meno distruttivi rispetto a quelli del passato.

D’altra parte, quello italiano, per lo più, è un popolo naturalmente incline a cedere al fascino delle lusinghe di chi promette la gloria. Quindi, perche non concedere fiducia ad un ragazzotto per bene che sembra avere le idee chiare? si saranno detti chi lo ha votato.

Ecco, il punto è proprio questo: quello delle idee chiare. Che, ahimè, non appartengono affatto al patrimonio intellettivo di Renzi, visto che ha una cognizione del tutto asimmetrica rispetto alla realtà delle cose, e alle tragiche condizioni del paese.

Al netto del fatto che siamo già abbondantemente “spiaggiati”, non è assolutamente vero che Renzi sia l’unica alternativa possibile. Anzi, a dire il vero, lo stesso Renzi, in quanto espressione dei soliti interessi partitici e lobbistici, rappresenta un ostacolo alle vere alternative. L’Italia non è quella di Renzi, quella che vogliono i partiti, o peggio quella disegnata da un vecchio signore di novant’anni, che sta progettando il futuro dei prossimi 20/30 anni di 60 milioni di persone, nascituri compresi.

E’ tutt’altra cosa rispetto a come la vorrebbero loro, che continuano ad affannarsi nel rincorrere spasmodicamente soluzioni finalizzate a comprimere dignità, diritti e libertà. E lo stato di polizia tributaria in cui siamo reclusi ne costituisce l’espressione più autentica.

L’evasore è il capro espiatorio del declino italiano, cioè colui per mezzo del quale è possibile giustificare ogni repressione delle libertà individuali, come quella (ormai prossima) della riduzione dell’uso del contante. Ma queste sono solo le ultime cartoline da basso impero, almeno spero.

Nonostante tutto, l’Italia, ancora oggi, può contare su uno straordinario patrimonio culturale in ogni campo, in ogni disciplina. E non mi riferisco solo al patrimonio culturale consegnatoci dalla storia. L’Italia è piena di eccellenze: dalla scienza, alla fisica, all’imprenditoria, alla medicina, fino ad arrivare all’economia, e così via.

L’Italia dispone di grandissime intelligenze, di menti acute, perseveranti ed eccellenti. Sono persone che, con il proprio lavoro, con la propria dedizione e con altrettanto sacrificio, ogni giorno combattono la disfatta che costoro vorrebbero infliggerci, dopo averci appiattito nel modo di pensare, di ragionare, di essere autentici, di essere individui, inteso nella forma più alta del termine.

TN: Esistono ancora condizioni per uscire da limbo?

Paolo Cardenà: Più che dibattere senza costrutto e accusarsi tutti, l’un l’altro, per ciò che non è stato fatto negli anni o decenni trascorsi e a proporre improbabili ricette a favore di qualche sparuta categoria o peggio ancora clientela, bisogna amaramente ma consapevolmente ammettere, che l’ITALIA ha fallito nel suo proposito di diventare un paese virtuoso, come ci era stato prospettato al momento dell’entrata nell’EURO.

Purtroppo l’ITALIA, a questo punto e con la classe politica e dirigente che si ritrova, non ce la può fare più a competere all’interno di un sistema economico finanziario con regole tedesche. Insomma l’ITALIA dovrebbe pensare a come poter uscire dall’EURO con i minori danni possibili per sé e per gli altri, se vuole avere una ragionevole speranza di uscire dal lunghissimo tunnel in cui è entrata e riprendere, dopo un breve calvario, la strada della crescita. L’alternativa, nella situazione attuale, è quella che abbiamo iniziato a sperimentare, ovvero:

Declino inarrestabile del sistema produttivo manifatturiero italiano

Aumento della disoccupazione e crescita del paese da sognare per lungo tempo

Impoverimento continuo delle famiglie, della classe media e poi anche degli altri

Collasso del welfare attuale perché insostenibile