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Economia

Draghi: un dottore che fa prognosi buone, e cure inutili. I Paesi europei avrebbero bisogno dei Trump

Nel suo articolo su FT Draghi predica bene, ma sbaglia la cura, ignorando che l’Europa non è gli USA, come giustamente nota Liturri su Startmag. Il fatto è che Draghi è parte del problema, e non puó esserne una soluzione

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Mario Draghi, da quando ha lasciato gli incarichi istituzionali, sembra aver scoperto l’acqua calda, e continua a ripeterlo, senza comprendere però quale sia la causa del bollore,  come evidenzia l’articolo di Giuseppe Liturri su Startmag.

I suoi interventi, sempre più frequenti, si concentrano ora sui problemi strutturali dell’Unione Europea: eccessiva burocrazia, regolamentazione soffocante e una domanda interna anemica. Nell’editoriale sul Financial Times, Draghi invoca un «cambiamento radicale» nelle politiche economiche europee, denunciando come il mercato interno UE, un tempo fiore all’occhiello, stia perdendo pezzi a causa di un groviglio normativo che ostacola gli scambi interni più di quanto farebbero i dazi.

Liturri critica aspramente e giustamente questa tardiva presa di coscienza, sottolineando l’omissione cruciale di Draghi: il suo ruolo trentennale ai vertici delle istituzioni che hanno contribuito a creare questi stessi problemi. Da direttore generale del Tesoro a governatore della Banca d’Italia, da presidente della BCE a presidente del Consiglio italiano, Draghi ha avuto innumerevoli occasioni per intervenire e correggere le storture che oggi denuncia. Invece, come ricorda Liturri, spesso si è trovato “allineato e coperto”, se non addirittura in “prima linea sul fronte opposto”, come dimostra la controversa lettera dell’agosto 2011.

Produzione industriale Euro area

L’analisi di Draghi si sofferma sulle barriere interne, paragonate dal FMI a dazi elevatissimi, e sull’eccesso di regolamentazione che frena settori chiave come il digitale. Giustamente, Draghi evidenzia come sia diventato paradossalmente più facile commerciare con il resto del mondo che tra paesi UE, e come la debolezza della domanda interna europea, ai minimi tra le economie avanzate, sia un freno alla produttività. Arriva persino a riconoscere che le politiche di bilancio restrittive hanno contribuito a questo scenario, ammettendo implicitamente l’errore di aver perseguito l’austerità anziché la spesa pubblica espansiva adottata dagli Stati Uniti.

Le soluzioni proposte da Draghi – meno burocrazia, meno regole, più investimenti pubblici – appaiono quasi banali, “alla portata anche di qualche studente di economia nemmeno troppo sveglio”, ironizza Liturri, e soprattutto giungono tardive e prive di reale mordente politico. La “supercazzola” finale, secondo Liturri, è l’appello al «cambio di mentalità», quasi che la soluzione fosse un problema di atteggiamento psicologico e non di precise responsabilità politiche e scelte economiche. Eppure non si è mai sentito Draghi criticare le normative ambientali incredibilmente restrittive, complicate e penalizzanti create dalla Commissione. Mai una volta ha parlato contro le normative per le auto Euro 7, o contro il “Bilancio ESG”.Tutto quello che produceva il mondo burocratico di Bruxelles e dintorni è sempre andato dannatamente bene.

PIL comparati USA e Euro Area

Condividendo pienamente l’analisi critica di Liturri, si aggiunge un’aggravante: Draghi, pur diagnosticando correttamente alcuni mali dell’Europa, ignora la vera terapia radicale di cui il continente avrebbe bisogno. Non basta “cambiare mentalità” o limare qualche regolamento. L’Europa necessita di una figura capace di un taglio netto e drastico della burocrazia e delle normative asfissianti, sul modello di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e in Argentina, con riforme audaci che cancellino interi ministeri e blocchi amministrativi.

Ma questa soluzione, Draghi non può nemmeno evocarla, perché egli stesso è un prodotto e un garante di quel sistema burocratico che oggi timidamente critica. Del resto il suo articolo non è per caso su FT, il giornale che maggiormente protegge queste soluzioni burocratiche e calate dall’alto che sono il problema. . La sua “conversione” sulla via di Damasco appare quindi incompleta e, soprattutto, poco credibile, provenendo da chi ha incarnato per decenni le istituzioni che hanno generato i problemi che oggi lamenta.


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