Attualità
#Disoccupazione… di Bruna Cerasa
Gli argomenti più difficili da trattare forse sono quelli che riguardano tutti, che se tendi la mano puoi quasi toccarli. Facilmente soggetti a giudizio, si girano tra le bocche dei tanti, competenti e non, che ne parlano, fossero circapettegolezzi. Si ha il rischio poi che ristagnano nella quotidianità, quasi a diventare parte integrante della stessa, caratteristica innata del nostro Paese. Quasi a dire ‘ah, si, buongiorno.. sai che anche oggi c’è disoccupazione?’. Ecco, affinché si capisca per davvero il disagio reale e che vociferiamo di un fatto ben lontano dal ‘chiacchiericcio’ comune, voglio raccontare come si sta da questa parte. Nonché il punto di vista di una studentessa di economia, ma ancor prima di una studentessa, indi per cui una giovane. Paradosso, quanto l’uomo del 400, in seguito alle innovazioni di processo nei vari settori e con lo sviluppo di aree innovative e non, sebbene spinto dalla diffusione del capitale umano, si sia tenuto a distanza di sicurezza dalla vera e propria mobilità del lavoro. Perspicaci più dell’uomo moderno, quest’ultima era vista solamente come una concezione utopica: ben lo sapevano gli uomini ‘antichi’ che emigrazioni qualificanti avrebbero apportato meramente, o solamente in parte, conseguenze negative in economia. E come ci siamo arrivati allora noi ragazzi del ventesimo secolo a guardare nella direzione della ‘fuga di cervelli’ come fosse l’unica strada percorribile? Importante chiarire alcune cose. Innanzitutto il capitale umano identifica l’insieme delle abilità innate e competenze acquisite di cui ogni individuo può disporre sul mercato del lavoro. Date le abilità innate, le competenze si acquisiscono a scuola (e università) o nei programmi di addestramento sul lavoro. Il modello del capitale umano consente di stabilire come un individuo sceglie il livello di competenze da offrire sul mercato del lavoro e come tale scelta influenza l’evoluzione dei guadagni nel corso della vita. In particolare il modello cerca di spiegare perché alcuni individui raggiungono un’istruzione elevata e altri invece abbandonano presto la scuola. L’idea di fondo è che coloro che investono in istruzione siano disposti a rinunciare ai guadagni correnti per avere guadagni in futuro più elevati. Riduttivo quanto ciò si sintetizza nella realtà in: il gioco vale la candela? La mia vena ribelle, nonché quella innata di ogni giovane, mi spingerebbe a dire un diretto no. Ma analizziamo bene la realtà: I giovani rappresentano da sempre una delle categorie più vulnerabili e la loro condizione nel mercato del lavoro diviene sempre più preoccupante. L’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), un ente pubblico che si occupa di rilevazione e indagini statistiche in vari settori, nel nostro caso rilevazione sulle forze di lavoro, ha stimato che nel 2013 il tasso di disoccupazione giovanile (la quota dei giovani disoccupati sul totale di quelli attivi, occupati e disoccupati) in Italia raggiunge il livello più elevato dal 1977, pari al 40,0 per cento, in aumento di 4,7 punti percentuali rispetto a un anno prima e di 16,5 punti rispetto al 2004. O almeno così sembrava, fin quando nel 2014 abbiamo un nuovo dato record definito addirittura ‘inquietante’: tasso di disoccupazione giovanile pari al 42,7%, aumentato di 2,7 punti rispetto al 2013 e più che raddoppiato dal 2007. In riferimento all’edizione del 30 ottobre 2015, il quadro disegnato dall’Istat relativo alla nostra zona è il seguente: il numero di persone in cerca di occupazione di età compresa tra 15-24 anni nel settembre 2015 è pari a 619 (valori espressi in migliaia). A livello regionale, poi,restando nella stessa fascia d’età, nel 2015 troviamo disoccupati ripartiti rispettivamente in 35 migliaia di maschi e 38 migliaia di femmine. E se apriamo ulteriormente la matriosca , a livello provinciale,troveremo Pescara che nel 2014 ‘vanta’ 16 migliaia di giovani in cerca di occupazione, dati calcolati su giovani tra 15-24 anni considerando cittadinanza e condizione professionale totale. Un triste dato che supera quello di tutti gli altri anni. Come muoversi? Certo muoversi. Oltre il 61% dei giovani è pronta infatti a emigrare all’estero per cercare lavoro e quasi l’85 % è disposto a cambiare città stabilmente per trovare migliori possibilità. Le mete più ambite: Australia, Usa, Regno Unito, Germania, Canada, Francia, Austria, Svizzera, Belgio e con una piccola percentuale la Spagna. Ciò è quanto risulta dall’indagine basata su un panel di 1000 giovani tra 18 e 32 anni, che emerge dal Rapporto Giovani sul tema “Mobilità per studio e lavoro”, presentato a Treviso durante il Festival della statistica e della demografia. Di fronte alla crudezza e veridicità di questi dati, cosa mi porta a investire nello studio, spinto solo dall’idea\sogno, perché così è ad oggi, dei guadagni maggiori futuri? Insomma, chi è quel sciocco giovane che studia per piantare semi in vista di un futuro quasi impossibile? Io per esempio. Perché le cose non vanno prese sempre e solo in senso stretto. Voglio dire, si in Italia non c’è possibilità di lavoro, si verrò trattato in termini di stipendio alla pari di un non laureato, si dovrò cadere e rialzarmi mille volte, si gli altri Paesi si occupano di me e mi offrono lavoro, si il 60 % dei giovani quindi emigra. Ma in economia non esiste unicamente il breve periodo, e prendiamo per una volta gli investimenti a lungo termine, consideriamo le cose in senso largo e magari: si emigro, trovo lavoro, ‘sfrutto’la mia laurea, e poi.. si,torno nel mio Paese. Ecco cosa può spingere un povero fesso a studiare, e che non cada in mero patriottismo. Ma a volte si riduce per davvero tutto a: il gioco vale la candela? Per quanto mi riguarda, e spero chissà per quanti altri, nonostante tutto, si. Concludo, in risposta al sottotitolo, Coraggioso è chi va per restare
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