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Diamanti “Nucleari”: come i rifiuti delle centrali nucleari possono diventare fonti di energia a lungo termine
Si può trasformare un problema in una risorsa? Si, è possibile, ma non è semplice e non adatto a tutte le soluzioni energetiche. Nel 2016 l’università di Bristol, in una lezione pubblica, presentò la possibilità teorica di utilizzare la grafite radioattiva utilizzata come moderatore nei reattori nucleari trasformandola in una “Batteria betavoltaica”, cioè in una forma di batteria dove la radioattività si trasforma direttamente in energia elettrica senza transitare sotto la forma di calore. L’Università di Bristol realizzò anche un prototipo di batteria betavoltaica, ma non basata sul Carbonio 14, ma sul Nickel.
Ecco il passo avanti: nel 2020 nasce Arkenlight, una società fondata dal ricercatore che stava sviluppando la batteria betavoltaica a Briston e un chimico, che ha come obiettivo quella di commercializzare una batteria a carbonio 14 trasformato in diamante, della dimensione di un’unghia. L’idea è quella di realizzare, dopo i prototipi, quindi l’impianto per la produzione in massa. nel 2021 sono stati realizzati i prototipi di fase 1
The 1st phase of prototyping our CVD diamond Tritium betavoltics. They have travelled 12,000 miles round-trip to Japan and back. Inside the Kyoto University Reactor for 1 hour at 5 MW power, they have had Tritium transmuted into their lattice making them the first of their kind! pic.twitter.com/1obqEFseIn
— Arkenlight (@arkenlight) April 25, 2021
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi, almeno per ora, delle batterie betavoltaiche rispetto a quelle chimiche, come le alcaline o al litio? Le batterie chimiche o “galvaniche” convenzionali, come le celle agli ioni di litio di uno smartphone o le batterie alcaline di un telecomando, sono ottime per erogare molta energia per un breve periodo di tempo. Una batteria agli ioni di litio può funzionare solo per poche ore senza essere ricaricata e dopo qualche anno avrà perso una frazione sostanziale della sua capacità di carica. Le batterie nucleari o le celle betavoltaiche, in confronto, producono piccole quantità di energia per un lungo periodo. Non producono abbastanza energia per alimentare uno smartphone, ma, a seconda del materiale nucleare utilizzato, possono fornire un flusso costante di elettricità a piccoli dispositivi per millenni.
Già dagli anni settanta si erano scoperti gli effetti betavoltaici, ma il problema era legato agli usi limitiati possibili per questo tipo di prodotti. Erano stati realizzati dei pace-maker cardiaci in grado di utilizzarle, che non avrebbero mai necessitato di un ricambio della batteria. Oggi , con l’avanzamento estremo dell’elettronica, invece le potenziali applicazioni sono innumerevoli, dalla sensoristica, ai satelliti, alla microelettronica, a tutto ciò, pesino indossabile, che richiede poca energia, ma per periodi molto lunghi. per queste batterie si può immaginare un futuro in cui si cambia l’oggetto, ma si tiene la batteria che viene passata da un oggetto ad un altro.
Ovviamente molte persone non apprezzano l’idea di avere qualcosa di radioattivo vicino a sé, ma i rischi per la salute derivanti dai betavoltaici sono paragonabili a quelli delle insegne al neon rosse di emergenza, che utilizzano un materiale radioattivo chiamato trizio per ottenere il loro caratteristico bagliore rosso. A differenza dei raggi gamma o di altri tipi di radiazioni più pericolose, le particelle beta possono essere fermate da una schermatura di pochi millimetri. “Di solito basta la parete della batteria per bloccare qualsiasi emissione”, afferma Lance Hubbard, scienziato dei materiali del Pacific Northwest National Laboratory che non è affiliato ad Arkenlight. “L’interno non è quasi per niente radioattivo e questo le rende molto sicure per le persone”. Inoltre, aggiunge, quando la batteria nucleare si esaurisce, decade in uno stato stabile, il che significa che non rimangono scorie nucleari.
Un vantaggio non indifferente è poi il fatto che il loro utilizzo riduce enormemente il volume delle scorie nucleari da stoccare me centinaia, se non migliaia, di anni. Si tratta di ricerche solo agli inizi, ma dai risvolti promettenti.
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