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“Delle imposte, delle tasse e di altre amenità.” p. prima di R. SALOMONE MEGNA

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Non è mai facile né indolore parlare di tasse, soprattutto adesso, periodo di ferie agostane, tuttavia cercheremo di fare chiarezza quanto più possibile senza rendere faticosa e noiosa la lettura di questo articolo che divideremo in quattro parti.

Ma andiamo “ad rem”.

Innanzitutto precisiamo che imposte e tasse non sono sinonimi, come invece sembrerebbe dall’uso che fanno dei due termini sia i giornali che la nostra classe politica.

Tasse ed imposte sono dei tributi, ovverosia prestazioni patrimoniali coattive, di regola di natura pecuniaria, stabilite dallo Stato, in forza della propria sovranità, con leggi o con atti ad esse equiparati.
La tassa è un tributo che la persona, fisica o giuridica, è tenuta a versare in relazione ad un’utilità che trae dallo svolgimento di un’attività statale e/o dalla prestazione di un servizio pubblico, resi a sua richiesta e caratterizzati dalla “divisibilità”, cioè dalla possibilità di essere forniti a un singolo soggetto (esempio tasse scolastiche, tasse automobilistiche, etc.).
In buona sostanza, il pagamento delle tasse, rectius prestazione patrimoniale, è dovuto solo in conseguenza della fruizione di un servizio reso su espressa richiesta del contribuente.
Ad ulteriore chiarimento: io non sono soggetto alla tassa sulle concessioni governative poiché non fruisco di alcuna concessione.
Le tasse, inoltre, non devono essere confuse con le tariffe versate dall’utente per la fruizione di determinati servizi pubblici.

La tariffa ha natura contrattuale, mentre la tassa è un tributo e, come tale, il suo importo può essere stabilito solamente con atto legislativo.

Passiamo ora a chiarire cosa sono le imposte.
Le imposte si caratterizzano per il fatto che devono essere corrisposte senza che ci sia da parte dell’ente pubblico lo svolgimento di una particolare attività o di un servizio.

Vuoi o non vuoi, devi pagarle!
Vi sono diversi tipi di imposte, ma le possiamo raggruppare sostanzialmente in due categorie: quelle dirette e quelle indirette.

Quale la differenza?

Le imposte dirette colpiscono la ricchezza nel momento in cui viene prodotta (reddito), le imposte indirette colpiscono la ricchezza nel momento i cui viene spesa (trasferimenti, acquisti, etc.).

Esempi di imposte indirette sono l’IVA, l’imposta di registro, le imposte ipotecarie e catastali e l’imposta di bollo.

Soffermiamoci sull’IVA, l’imposta più iniqua ed odiosa ed al contempo più europea che ci sia.

Istituita nel 1973 dal decreto del Presidente della Repubblica 633/1972, che recepiva la direttiva 67/227/CEE, ha sostituito l’IGE, l’imposta generale sull’entrate.

L’IVA è un’imposta che si applica alle cessioni di beni e servizi e colpisce il solo valore aggiunto in ogni fase del processo produttivo e distributivo.

La disciplina IVA è infatti strutturata in base ad uno schema, comune a tutti i paesi dell’Unione Europea, per cui l’impresa che effettua il relativo versamento può recuperarla grazie al meccanismo della detrazione d’ imposta e, quindi, il relativo costo si scarica interamente sul consumatore finale.

Attualmente per l’IVA le aliquote previste sono tre: ordinaria del 21% oppure quelle ridotte del 4% e del 10%.

Inizialmente, quando fu istituita, l’aliquota ordinaria era del 12%, ma al ritmo del “ce lo chiede l’Europa”, è arrivata al livello attuale, con buone prospettive di ulteriore crescita nel futuro.

Infatti, secondo il pensiero economico “ mainstream”, praticamente in tutti i paesi europei è in atto, ormai da un paio di decenni, un movimento di spostamento della pressione fiscale dalla tassazione dei redditi alla tassazione dei consumi e dei patrimoni, anche se con risultati molto disastrosi.

Ciò essenzialmente perché si ritiene, erroneamente ed i fatti lo stanno a dimostrare, che la tassazione dei consumi in luogo della tassazione dei redditi crei un ambiente più favorevole alla crescita economica.

Ribadiamo: non è assolutamente vero!

In realtà l’aumento dell’imposizione indiretta deprime i consumi e quindi determina un calo del PIL, oltre alla palese iniquità insita nell’intento degli ordoliberisti: il carico fiscale sarebbe eguale sia per il ricco rentier che per il pensionato al minimo e sotto la soglia di povertà.

Per concludere questa prima parte, è il caso di ricordare che l’IGE, imposta generale sulle entrate venne introdotta nel 1940 dal Ministro delle Finanze e del Tesoro Paolo Thaon di Revel e nel 1972, anno in cui fu abolita, ammontava solamente al 4%.

Verrebbe proprio da dire: ”Ma va ………Europa!”.

Fine della parte prima.


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