Attualità
Decrescita InFelice (3a parte) (di Francesco Cappello)
Demografia e decrescita
Secondo A. Galloni, la decrescita non è un modello sostenibile perché per funzionare bisognerebbe che “il calo demografico fosse più accentuato di quello produttivo”(1)
M. Pallante intitola il primo capitolo del suo “Decrescita e Migrazioni” con le parole:
Le migrazioni sono una necessità intrinseca della crescita. È la crescita che costringe e convince a emigrare.
chiude il capitolo (pag.11)
Fino a quando il primo punto dei programmi elettorali e governativi sarà «Crescere crescere crescere», i flussi migratori sono destinati a intensificarsi, sia sotto la spinta di processi che non consentiranno a percentuali sempre maggiori della popolazione mondiale di continuare a vivere in economia di sussistenza, sia in conseguenza dell’attrazione propagandistica che verrà esercitata su di esse utilizzando in modi sempre più pervasivi il canto delle sirene per magnificare i vantaggi derivanti dall’inserimento nelle economie della crescita.
Il problema demografico e l’emigrazione si risolvono, per Pallante, decrescendo ovvero uscendo dalla spirale della crescita della produzione di merci e dell’aumento di produttività, diminuendo, come proposto dalla decrescita felice, la produzione di merci che non sono beni e aumentando quella dei beni che non sono merci. Un ruolo importante avrebbe l’autoproduzione e il ritorno ove possibile ad una economia di sussistenza per miliardi di persone. Per Pallante non sembrano importanti né l’accesso ai mezzi di produzione né il fatto che bisognerebbe trovare un modo di ridurre drasticamente la popolazione mondiale sempre più urbanizzata.
Alle condizioni attuali, infatti, l’autoproduzione per autoconsumo, come vorrebbero i decrescisti, non è proponibile a chi, possedendo soltanto la propria forza lavoro, non ha accesso alla terra e ai mezzi di produzione. Se non hai terra e casa non la fai l’autoproduzione. Oggi la metà della popolazione mondiale è inurbata. I demografi prevedono un aumento della tendenza alla urbanizzazione. Questi processi sono catalizzati dal landgrabbing, l’accaparramento delle terre migliori, quale pratica neocoloniale sempre più diffusa, che non si limita ai soli paesi poveri ma si estende anche al vecchio continente(2). Le metropoli diventano megalopoli e lo spazio vitale per l’autoproduzione per tutti si riduce.
Soprattutto, non si può pensare che la popolazione possa diminuire in modo incruento in regime di povertà; sappiamo che la popolazione è diminuita laddove ha insistito uno sviluppo economico sano, all’interno di stati sovrani democratici in cui si è saputa declinare l’economia in economia sociale e pubblica. Un sano calo demografico è legato ad un miglioramento delle condizioni di vita per tutti che facilitano e catalizzano i processi di emancipazione, e acquisizione di pari opportunità per le donne, svincolandole dalla condizione storica in cui sono ancora oggi, troppo spesso, relegate; tutto ciò è, però, realizzabile solo grazie a investimenti pubblici che consentono alle popolazioni di godere di un welfare per tutti, un welfare universale.
Nel corso degli anni ’70 l’umanità si avviava a superare le condizioni della scarsità. Come ribadisce A.Galloni, il capitalismo espansivo (tendente, in quegli anni, a massimizzare vendite ed investimento produttivo), regolato dallo Stato secondo Costituzione, ci stava conducendo fuori dal capitalismo. Il modello economico di quegli anni era, infatti, compatibile col progetto di mettere l’uomo, e non il profitto, al centro della attività economica. In altri termini, il capitalismo espansivo, nel contesto ordinamentale della Costituzione del ’48, si concretava in economia pubblica e sociale generando e ridistribuendo ricchezza.
La reazione dei capitalisti non si fa attendere. Accanto alle manovre finanziarie neoliberiste che porteranno alla rarefazione monetaria, le élite finanziarie sponsorizzeranno la diffusione di una cultura ambientalista, che lungi dal vedere i benefìci insiti nel superamento della scarsità, quale presupposto per la diffusione della ricchezza, realizzata grazie al finanziamento della economia sociale, pubblica e ambientale, pienamente sviluppate, si faranno, viceversa, portatrici di una critica malthusiana che individuerà il limite nella crescita esponenziale del consumo delle risorse del pianeta, correlata alla crescita esponenziale della popolazione umana che lo abita. Non ammettono o volutamente ignorano che era stato proprio quel modello economico espansivo (keynesiano) a uniformarsi al principio costituzionale dell’eguaglianza economica, presupposto fondamentale della circolazione uniforme della moneta e della ricchezza. Il superamento della scarsità materiale e monetaria era riuscito, infatti, a ridistribuire la ricchezza prodotta dai processi produttivi all’intera società (welfare universale) e a stabilizzare la crescita della popolazione.
Viceversa, la successiva riaffermazione del dominio finanziario, ridarà valore alla moneta rendendola scarsa e privata. Il neoliberismo-globalizzato, fautore di economie estrattivo/predatorie, destabilizzatrici degli ecosistemi planetari (si pensi alle deforestazioni delle aree equatoriali trasformate in zone di produzione intensiva di cereali proteici) tornerà a imporsi e con esso la crescita della diseguaglianza e l’accumulo di capitali nelle mani di pochi. Gli Stati, privati di una loro valuta nazionale, non saranno più in grado di fare quegli investimenti pubblici in cura delle persone e del territorio, che generavano e distribuivano ricchezza in utilità collettiva salvaguardando quelle proprietà del popolo (i beni pubblici e i beni comuni), che per il fatto di appartenere a tutti, risultavano, per così dire, fuori commercio; né sarà più in grado di garantire che l’attività privata si svolgesse solo in funzione dell’utilità sociale; la sua riduzione a Stato minimo neoliberista comporterà la perdita di quegli anticorpi che erano stati attivi nel controllo, da una parte dell’economia predatoria di risorse e ambiente, dall’altra rispetto alla riaffermazione di quella finanziaria speculativa che diviene incontrollabile una volta concessa la liberalizzazione della circolazione dei capitali privati nel mercato globale.
Un effetto collaterale sarà che la nuova logica economica non considererà profittevole impegnarsi in quelle direzioni in cui il possibile fatturato sarà prevedibilmente più basso degli investimenti. Si adopererà, invece, affinché diventino possibili la privatizzazione e mercificazione dei beni e dei servizi pubblici mentre diffonderà un’offensiva culturale e giuridica atta a demonizzare ogni forma di spesa pubblica che non fosse quella destinata al pagamento del servizio al debito, al soccorso delle grandi banche a copertura delle perdite provocate dalle grandi crisi finanziarie e alle spese militari.
“Qualunque cosa si faccia per abbassare la spesa pubblica è ben fatta eccetto che per alcune spese molto selezionate come quelle per la difesa militare di cui abbiamo reale necessità”
A fare questa affermazione è stato Milton Friedman, definito “l’eroe della libertà” consigliere delle politiche economiche del dittatore Pinochet e ispiratore delle attuali politiche economiche iperliberiste della Ue.
Conservatori ed oligarchia finanziaria appoggiano questo ambientalismo che non organizza cambiamenti strutturali e che, seppure indirettamente, affianca la riaffermazione del capitalismo finanziario liberoscambista dei grandi gruppi industriali transnazionali, interessati al controllo istituzionale attraverso il quale conseguire condizioni ad esso favorevoli. Lo appoggiano, indicando come responsabile della condizione attuale il capitalismo in generale, non distinguendo tra capitalismo espansivo keynesiano e ideologia economica neoliberista, attaccando, anzi, esplicitamente il primo che rappresenta la forma economica adottata dalla nostra Costituzione frutto dell’incontro tra cattolici sociali come Dossetti, La Pira, Moro; comunisti quali Togliatti, Longo, Terracini e socialisti come Ghidini i quali decidono per il modello economico dello Stato imprenditore, la terza via italiana, avendo rifiutato sia l’adozione integrale della pianificazione-collettivista che il capitalismo neoliberale.
La salvezza del pianeta rischia di essere usata strumentalmente, per controllarci psicologicamente, usando paura e senso di colpa, forse per farci accettare più facilmente privatizzazioni, deindustrializzazione, politiche di austerity che comportano tagli paurosi allo stato sociale, da cui derivano, peraltro, l’abbassamento del livello qualitativo della vita, conseguente, alla riduzione della spesa per educazione e ricerca pubblica, spesa sanitaria, fino, forse, alla presunta necessità di limitare la presenza umana sul pianeta?
Le oligarchie finanziarie hanno fatto esplicitamente leva su questo piano della neo opposizione ambientalista sponsorizzandola (I limiti dello sviluppo)(3) e contribuendo alla nascita del movimento ambientalista moderno in cui si iscrivono i recenti movimenti decrescisti che si oppongono al modello economico keynesiano(4) anche nei paesi in via di sviluppo, nascondendo l’esperienza recente che sviluppo e limitazione fisiologica della crescita demografica, nei modelli economici espansivi, si accompagnavano alla pianificazione del diritto allo studio per tutti sino ai più alti gradi della formazione, all’emancipazione femminile e allo sviluppo della economia pubblica e sociale. Al contrario, in condizioni di povertà se non di miseria e di guerra, la crescita demografica è sempre stata intensa. I poveri, come si sa, sono più prolifici, mentre nel benessere economico e civile le nascite si riducono fisiologicamente. Sviluppo industriale, crescita del benessere, crescita culturale diffusa, allargamento della classe media ed emancipazione delle donne sono strettamente correlate ad un sano equilibrio demografico in sintonia con le capacità tecnologiche e le risorse del pianeta. La rapidità di crescita demografica tende a zero al crescere della diffusione a tutta la popolazione del benessere economico e sociale. Il rallentamento logistico del tasso di crescita della popolazione congiunto al progresso culturale e tecnologico stabiliscono la qualità della crescita sociale selezionando al contempo le tecnologie più appropriate alla produzione di bene comune. Il primo ambientalismo, inscritto nel modello keynesiano, chiedeva e otteneva leggi atte a costringere le imprese a controllare i danni ambientali che le attività produttive immancabilmente causavano. “Seveso” è il nome della direttiva del 1982 che chiese di identificare gli stabilimenti a rischio per prevenire incidenti industriali.
La ridistribuzione della ricchezza prodotta dalle aziende veniva impiegata anche verso la implementazione di quelle tecnologie tese a ridurre inquinamenti ed esternalità negative prodotti dalle imprese. Sul binomio ambiente e salute comincia a concentrarsi l’attenzione della cultura e delle istituzioni. A partire dalla fine degli anni ’60, si sviluppano in modo più organico gli sforzi per la difesa dell’ambiente rispetto alla frammentazione normativa precedente soprattutto in materia igienico-sanitaria, di difesa del suolo, del paesaggio, della natura e della salute. Sin dagli anni ’70, erano stati rapidamente approvati programmi in materia di difesa della natura e della salute: tutela dell’aria e dell’acqua dall’inquinamento, smaltimento rifiuti, nascita dei primi parchi nazionali, salute e prevenzione; istituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali nel 1975 e il Comitato interministeriale per l’ambiente (CIPA) nel 1979.
L’ambientalismo dei padroni
Con I limiti dello sviluppo si costruisce una opposizione a quel modello economico fondato sul fondamento della solidarietà istituzionalizzata nei principi costituzionali e nel titolo III che avevano consentito la ridistribuzione della ricchezza prodotta dal sistema economico. Tale opposizione contribuirà ad erigere contro di esso una offensiva culturale in piena alleanza con gli interessi dei proprietari dei grandi capitali che stavano vedendo i loro saggi di profitto tendere pericolosamente a zero. Essa contribuirà alla riaffermazione del neoliberismo e con esso della finanziarizzazione speculativa dell’economia, un sistema parassitario, estrattivo, in grado di concentrare la ricchezza nelle mani di pochi a discapito di quasi tutti che ha avuto come effetto collaterale la marginalizzazione progressiva dell’economia reale.
I limiti vengono individuati nella scarsità delle risorse non rinnovabili e perciò esauribili con ritmo esponenziale e nella incapacità degli ecosistemi naturali di assorbire e metabolizzare in tempo utile le scorie tossiche (spesso non biodegradabili e quindi accumulabili nell’ambiente) risultanti dal processo di produzione.
Non si tiene conto della capacità di quel modello socioeconomico di introdurre quelle tecnologie che serviranno a risparmiare le risorse pregiate che possono scarseggiare e di cui viene minimizzato l’uso per unità di prodotto con la conseguenza che produzione ed inquinamento non sono direttamente proporzionali. Risale, ad esempio, al 1978 il brevetto del sistema Totem(5). sviluppato da un ingegnere della Fiat che, se messo in produzione, avrebbe rivoluzionato il modo di produrre energia elettrica e calore anticipando di molti anni quel che solo oggi si comincia a fare su scala più ampia e solo in alcuni paesi.
Non si tiene conto del ruolo dell’impresa pubblica che come evidenziato da Galloni (con Galbraith) avrebbe potuto essere la risposta naturale
È tuttora tenuto nel cassetto un brevetto Snam/Italgas concepito decenni fa che avrebbe rivoluzionato il trattamento dei rifiuti basato sulla decomposizione termochimica dei materiale con matrice organica che non usa ossigeno ed evita quelle reazioni di combustione produttrici di sostanze altamente tossiche come ad esempio le diossine.
Come racconta il fisico Livio Giuliani:
«il 5G dimostra che la nascita dell’1G, del 2G ossia della telefonia cellulare è servita ad un obiettivo politico che era quello della privatizzazione, della distruzione dello stato sociale europeo, dell’eliminazione delle grandi compagnie pubbliche. Il dimostra che si poteva fare come ho sostenuto parecchi anni fa, che si poteva fare una telefonia cellulare sfruttando la telefonia fissa e mettendo solo delle microcelle invece che i tralicci per illuminare le strade, ma solo le strade, non i palazzi accanto, invece con l’attuale tecnologia, delle stazioni radio-base, per consentire l’uso del telefono a qualcuno che sta in un piazzale sulla strada la radiazione dovrà attraversare gli immobili frapposti tra l’utente e la stazione e poiché il passaggio della radiazione attraverso le mura la attenua, l’intensità della radiazione deve essere aumentata rispetto alle reali necessità del fruitore nel piazzale, in quinando tutte le persone che si trovano sul percorso della radiazione. Questo significa che l’uso che si fa del segnale elettromagnetico è oggi iperdimensionato rispetto alle necessità. Si sarebbe potuto fare meglio mettendo delle microcelle a 0,6 volt per metro, obiettivo di qualità proposto dalla conferenza di Salisburgo nel 2000. Sarebbe bastato illuminare la strada con torri di telefonia cellulare senza dover attraversare con la radiazione gli edifici perché poi il segnale poteva essere commutato sulla linea telefonica che attraversa tutti i palazzi ma fare questo significava dare un vantaggio competitivo alle compagnie telefoniche esistenti (SIP/prima Telecom Italia). Questo fu vietato politicamente. Lamberto Dini separò con un decreto la TIM dalla Telecom. Tronchetti Provera le ha rimesse insieme per ragioni contabili, ma il decreto servì a impedire che la Telecom potesse impiegare la sua telefonia fissa (tutta l’Italia era già cablata) per fare una telefonia mobile a costo zero e gli ingegneri della telecom, quelli che non poterono fare la telefonia perché non furono assegnati alla TIM (telefonia mobile) ci hanno lasciato un memento di questa possibilità perché convinsero Bernabé a sviluppare il FIDO ovvero una telefonia mobile sviluppata dalla Telecom e che poteva avere portata solo cittadina ma quel fido non poteva avere successo perché per legge non poteva usare i protocolli avanzati invece il GSM (consentiva 8 telefonate con una sola onda portante) doveva utilizzare il DECT (consentiva 1 sola telefonata con due onde portanti) però gli ingegneri dimostrarono che al di là del protocollo usato tutta la tecnologia necessaria alla telefonia mobile poteva essere realizzata con le microcelle in modo tale che quando la Telecom abbandonò FIDO – perché non era competitivo a causa delle limitazioni imposte dal decreto Dini – con i cellulari con i quali si usufruiva di un servizio ovunque diffuso. Quando fu abbandonato non costò nulla, fu ammortizzato con gli ordinari piani di ammortamento; tutta l’installazione non era costata nulla, quindi noi avremmo potuto avere una telefonia mobile al costo di un gettone non con i costi, non necessari, che ci hanno imposto, oltretutto inquinando enormemente di più. Ci hanno rapinato e oggi scoprono il 5G che è basato su microcelle»(6)
La produzione di beni e servizi attuale, prodotta con le tecnologie del primo sviluppo industriale, sarebbe del tutto insostenibile dal punto di vista ambientale. In sintesi, è solo grazie alla capacità di investimento pubblico in ricerca e sviluppo che le nostre tecnologie possono diventare più sostenibili e meno inquinanti.
La differenza tra i paesi avanzati e quelli arretrati è la democrazia, quella sostanziale. Nei primi i cittadini da una parte e le organizzazioni dei lavoratori – i sindacati – dall’altra chiedono e ottengono oltre che migliori condizioni di vita in città e in fabbrica, anche miglioramenti retributivi; di conseguenza, diventa più conveniente per l’impresa, in presenza di salari alti, introdurre tecnologie che risparmiano lavoro. Le innovazioni tecnologiche, a loro volta, preparano il terreno ad un maggiore sviluppo. Al contrario, nei paesi senza democrazia, senza sindacati, i salari sono bassi e risulta meno conveniente per l’impresa introdurre tecnologia. Questa viene immessa solo quando il risparmio sulla materia prima scarsa e/o pregiata supera il costo della tecnologia a maggiore efficienza che la risparmia.
Il risultato complessivo, in questo caso, sarà un notevole contributo al dirottamento verso i lidi della globalizzazione caratterizzati, contrariamente al capitalismo espansivo, da costi decrescenti. Ma un sistema a costi decrescenti mira a massimizzare il profitto massimizzando le esternalità negative mentre minimizza i costi di produzione e gli investimenti.
Le imprese cercano su scala planetaria (delocalizzazione) i luoghi e le sedi che permettono loro di minimizzare tasse e costi di produzione (deregolamentazione): quelli del lavoro, quelli da impiegare per un corretto smaltimento delle scorie di produzione. Le sedi ideali sono offerte da quei paesi dove la normativa a protezione della salute e dell’ambiente sia ridotta ai minimi termini. La globalizzazione neoliberale promuove un’offensiva culturale, condotta su larga scala, atta a far percepire gli standard minimi di legge a protezione della salute e dell’ambiente, concepiti e messi in pratica nel precedente regime economico espansivo, come un ostacolo allo sviluppo.
Unica regola di questo sistema disumano, la competizione selvaggia mirante a vincere sul concorrente a qualunque prezzo, anche a costo di distruggere gli stessi fattori della produzione e le condizioni dello sviluppo. La globalizzazione immagina la terra illimitata, con risorse inesauribili; pensa che sia sempre possibile spostarsi trovando territori vergini da sfruttare. Ultima frontiera di questo processo è, come già accennato, il land grabbing(7), ovvero l’accaparramento delle terre, che colpisce in particolare il continente africano; è grazie a questo approccio che si realizza una nuova spartizione dell’Africa, una forma di colonialismo subdola che ha, come protagoniste, soprattutto le imprese multinazionali che mirano al controllo dei mercati alimentari globali a discapito delle produzioni locali.
Il dirottamento dell’economia verso i lidi della globalizzazione, si è risolto in competitività al ribasso (dumping sociale): economie eccessivamente aperte ed incentrate sulle esportazioni selezionano il produttore peggiore che impone le proprie merci minimizzando i costi di produzione, pagando meno possibile il lavoro, sfruttando il lavoro minorile; peggiore anche perché inquina di più, in quanto utilizza tecnologie arretrate che risultano sostenibili solo grazie a salari particolarmente bassi finendo per scaricare sulla società e sull’ambiente le esternalità negative della produzione: un comportamento esattamente contrario agli obiettivi perseguiti da quell’ambientalismo proprio della precedente fase espansiva.
Siamo stati costretti a competere verso il peggio. Si è diffusa una logica aberrante promotrice dell’idea che le condizioni per lo sviluppo abbiano poco a che fare con una giustizia funzionante, con la formazione, la ricerca, la tutela dei diritti dei lavoratori, dei cittadini e dell’ambiente, più nello specifico, con la sicurezza nei luoghi di lavoro, negli ambienti urbani, nella salvaguardia e nella protezione e tutela dei paesaggi e degli ecosistemi naturali. Al contrario negli ultimi anni ha prevalso l’idea che tali condizioni, imprescindibili in una società civile, siano un impedimento allo sviluppo, un lusso insostenibile, una spesa di cui liberarsi, da fronteggiare a furia di deregolamentazioni. Da qui la logica dei vari decreti del genere Sblocca Italia (con cui si è inteso dare gradi di libertà alle imprese introducendo una deregolamentazione nel settore delle normative a protezione dell’ambiente per farle vincere in una gara al ribasso con i produttori della globalizzazione) gli attacchi allo statuto dei lavoratori, la loro precarizzazione, i tagli ai servizi pubblici, l’abbandono e la svendita del patrimonio artistico, dei beni comuni nel quadro delle politiche di austerità e di spending review. Si perde, così, di vista il fatto che, in realtà, servizi pubblici efficienti e di qualità, salvaguardia, tutela e manutenzione dei beni comuni, devono essere l’obiettivo primario dello sviluppo economico! Essi contribuiscono al ben vivere dei cittadini e alla piena dignità per tutti.
Un modello senza sprechi, senza consumi inutili, non incline al produttivismo fine a se stesso, che sappia selezionare le tecnologie ad esso più appropriate, non può convivere con il capitalismo. Deve ripensare la moneta e il suo uso. Una moneta che massimizzi la produzione di bene comune non deve avere la possibilità di essere usata come riserva di valore. Bisogna considerare la scala della economia locale e quella del paese nel suo complesso, determinando le condizioni per importare solo le cose strettamente necessarie, contemporaneamente attivando servizi di cura dell’ambiente, delle persone, del patrimonio artistico(8).
L’anello mancante. Il rapporto tra moneta e sostenibilità
La decrescita non indaga i motivi della crescita a dismisura; è attenta ai sintomi, molto meno alle cause; sembra accontentarsi di piccole nicchie attive, riserve indiane, disinteressandosi della struttura che genera la patologia.
Per i leader italiani del movimento, sembra non essere importante il rapporto tra sostenibilità ambientale-sociale e paradigma monetario dominante. Il pensiero decrescista ritiene, di fatto, neutrale il sistema monetario dominante, rispetto agli effetti perversi che esso ha su ambiente e società. Nella base del movimento la consapevolezza di questo rapporto è sicuramente più diffusa. Questa assenza di analisi non permette di identificare le politiche di austerità, generate e imposte dalla lobby finanziaria, come nemiche della sostenibilità e sembra anzi prevalere una tacita alleanza col paradigma monetario dominante, quale comunione di intenti, fine condiviso, tra politiche dei sacrifici, “sobrietà” e una “decrescita” male intesa.
S. Latouche nel corso di una conferenza all’Università Roma Tre(9), afferma che l’euro avrebbe i giorni contati perché “un mondo basato sull’aumento continuo dei consumi è insostenibile”. Per Latouche, però, tutto questo «è una tragedia perché tornare a monete nazionali e ai nazionalismi non è molto simpatico.»
Bisogna aspettare il 2014 perché S. Latouche si renda conto che importante è «riappropriarsi della moneta». Afferma: «È chiaro: dobbiamo uscire dall’euro, almeno così come funziona attualmente, altrimenti non c’è alcuna possibilità di realizzare il nostro programma»(10).
La sperimentazione di sistemi monetari alternativi si sta sviluppando, malgrado il disinteresse dei leader decrescisti, grazie ai movimenti organici che dal basso pianificano il cambiamento strutturale rimettendo in discussione il sistema monetario a livello locale, nazionale e sovranazionale, sperimentando scambi senza l’uso di moneta o con l’uso di monete locali.
Il sistema della creazione di moneta scritturale bancaria a debito prevede il pagamento degli interessi. Naturalmente la quantità di denaro in circolazione deve continuamente aumentare in proporzione alla quantità di merci e servizi aggiuntivi che siamo in grado di produrre ma anche perché c’è molto debito per via del fatto che il denaro creato dalle banche, entra in circolazione sotto forma di prestiti e va restituito con gli interessi. Di conseguenza il prezzo di ogni merce o servizio incorpora una parte di interessi che il produttore deve pagare alla banca come costo del capitale (il 40% in media nella composizione del prezzo (Creutz, 1993)). Per poter pagare gli interessi è necessario ottenere alte rendite dei capitali investiti dal che deriva la spinta strutturale verso la sovrapproduzione e il sovraconsumo e la conseguente impossibilità di limitare il volume delle attività economiche alla sola risposta ai bisogni reali. La crescita esponenziale del sistema degli interessi composti determina, quindi, l’intensità della crescita economica, da cui la costrizione strutturale alla crescita dell’economia da parte del sistema monetario. Inoltre, dal fatto che la banca, nel suo processo di creazione monetaria, non crea gli interessi con cui dovrà essere restituito il debito, deriva la necessità intrinseca (al sistema di creazione della moneta) dei soggetti economici di competere tra loro per poter ripagare il debito contratto così come il fallimento obbligato di chi non ce la fa malgrado e, in alcuni casi, a causa delle buone intenzioni che lo rendono però meno competitivo.
Un progetto di grande interesse, AMAZONIA(11), di rapporto diretto tra moneta e sostenibilità, è stato sviluppato dal Centro Studi Monetari. Amazonia, si propone la salvaguardia delle foreste pluviali – il “polmone” del pianeta – che riguarda l’emissione e l’utilizzo di una nuova moneta di cui la Foresta Amazzonica rappresenta la riserva.
Lo scopo è quello di trasferire la cura e l’attenzione finalizzata alla conservazione della riserva di una moneta verso un bene assolutamente da conservare – la foresta amazzonica – come base a garanzia per una speciale emissione monetaria. Se il progetto andasse in porto Amazonia, sarebbe la prima moneta emessa con base etico-ecologica della salvaguardia della foresta amazzonica. Il progetto inoltre sarebbe facilmente replicabile.
Facile immaginare la base etica di un simile progetto
Con la diffusione delle banconote amazzoniche, si sensibilizza il pubblico nei confronti della preservazione della foresta poiché distruggendo la foresta, si distruggerebbe il valore stesso della riserva posta a garanzia delle banconote… e l’aiuto al Brasile…
e la sua base economica
Con la rendita monetaria risultante dall’emissione della moneta – rendita che compete al proprietario della riserva in cambio della stessa – si potranno acquisire gli ulteriori appezzamenti di foresta amazonica da utilizzare come riserva di ulteriori emissioni. Alla fine, con il successo dell’iniziativa, tutta la foresta amazonica risulterà immobilizzata e vincolata come riserva monetaria.
Un progetto analogo, ma con sostanziali differenze, sono i natural savings(12) (risparmi naturali), strumenti di risparmio completamente sostenuti attraverso processi di crescita naturali utilizzabili come mezzo di scambio locale. Il sottostante di tale moneta potrebbe essere qualsiasi prodotto valido commercialmente che cresca organicamente nel tempo: alberi, prodotti del bosco, allevamenti di pesce in lago protetto, food forest ecc.
Questa “moneta albero” è progettata principalmente per svolgere il compito di riserva di valore. Un investimento in alberi vivi è assicurato contro i crolli monetari, aumenta di valore nel tempo grazie alla crescita, è a prova di inflazione.
Dalla proprietà all’accesso
È sicuramente necessario ma non sufficiente auspicare la fine della obsolescenza programmata ma non ci si può aspettare che sparisca solo perché in pochi o in tanti si riesca ad averne consapevolezza, giudicandola finalmente detestabile. Importante è chiedersi quali siano le condizioni strutturali dell’economia che ne hanno reso accettabile e praticabile la logica. Importante è individuare quale modello economico sia in grado di farne emergere l’assurdo bloccandone la praticabilità. La Xerox, ad esempio, è stata una azienda pioniera nel proporre il servizio di fotocopisteria invece della vendita di macchine fotocopiatrici con tutte le conseguenze positive facilmente immaginabili in termini di disincentivazione dei fenomeni di obsolescenza programmata e percepita. Nell’interesse dell’azienda, infatti, le macchine sono progettate affinché durino il più a lungo possibile e la loro manutenzione risulti estremamente facilitata e ridotta al minimo indispensabile.
Con la stessa logica sostituisco all’acquisto di un automobile quello di un abbonamento ad un servizio messo a disposizione dall’amministrazione comunale a un servizio di carpooling(13).
Warfare o welfare?
Mentre domina questo ambientalismo generico e fuorviante vengono demolite una dopo l’altra le istituzioni attive in campo ambientale concepite dagli anni ’70 sino ai primi anni ’90; a promuoverne lo smantellamento la stagione referendaria dei radicali.
Più di recente, la decurtazione delle risorse finanziarie destinate all’ISPRA e alle agenzie regionali dell’ambiente, con risultati devastanti per la funzionalità di questi enti. I controlli relativi alle acque, alle emissioni in atmosfera, all’inquinamento acustico, all’elettromagnetismo, agli impianti di gestione dei rifiuti stanno, infatti, calando vistosamente col risultato che viene permesso l’uso di numerosissimi pesticidi, tra i quali il glifosato e il clorpirifos perfino nelle aree nei pressi dei pozzi di prelievo dell’acqua per uso potabile. In pratica si vorrebbe demolire il ruolo pubblico dell’ISPRA, mettendone a rischio il lavoro di ricerca e di controllo ambientale, il tutto nel contesto più generale dell’attacco contro la ricerca pubblica.Tagli che stanno inesorabilmente portando all’indebolimento o smembramento di tutti i presidi pubblici del nostro paese a discapito del ruolo di vigilanza e controllo pubblico rispetto all’impresa privata che è loro affidato.
Vi risultano campagne decresciste contro questi e altri tagli a danno delle strutture e degli enti pubblici a difesa dell’ambiente?
La NATO, in 70 anni dalla sua fondazione, ha causato morte e devastazione provocando guerre, colpi di stato e operazioni sovversive di varia natura, effettuate su scala globale, dal ’45 ad oggi. Il bilancio complessivo secondo una ricerca di James A. Lucas, apparsa sulla rivista internazionale Global Research, è stato di venti – trenta milioni di uccisi, da moltiplicare per 10, se nel conto si volessero includere i feriti, evitando, tuttavia, di far menzione delle centinaia di milioni di vittime provocate dagli effetti indiretti delle guerre: carestie, epidemie, migrazioni forzate, schiavismo e sfruttamento, danni ambientali, sottrazione di risorse ai bisogni vitali per coprire le spese militari.
Quanto è sostenibile la guerra?
Stiliamo un elenco seppure parziale delle devastazioni ambientali provocate dalla guerra e dalla sua preparazione a cui il lettore potrà sicuramente aggiungere altri elementi:
test nucleari, poligoni di tiro, aree contaminate da uranio impoverito, aree minate, guerra batteriologica, guerra chimica, ecc. Qualcuno ha calcolato l’impatto ambientale di guerre ed esercitazioni militari? Per farsene una vaga idea basti pensare ai consumi di un caccia pari a circa 16000 litri all’ora o a quelli di un carro armato che brucia 500 litri per 100 chilometri! E quali devastazioni sono in grado di provocare simili macchine belliche? Eppure, avete mai sentito un decrescista dichiararsi contro la nostra permanenza in quell’alleanza “difensiva” chiamata Nato?
Forse non è per caso che un personaggio come Pallante, fondatore del movimento decrescita felice lo si possa trovare a relazionare sul tema della crisi economica all’XI convegno Nazionale presso la – Convention del Supremo consiglio del 33° ed ultimo grado del rito scozzese antico ed accettato per la giurisdizione massonica italiana – come denunciato da Andrea Montella sulle pagina di Iskrae(14).
Abbiamo certamente bisogno di una crescita in armonia con l’ambiente non più contro e a discapito degli equilibri naturali. La crescita che danneggia la salute delle persone e dell’ambiente semplicemente dovrà essere disincentivata con sistemi efficaci fino ad essere del tutto bandita. Abbiamo bisogno di una crescita che risulti sempre più inclusiva in grado di ridistribuire la ricchezza che genera piuttosto che incrementare la diseguaglianza. Una crescita dell’economia reale complementare alla crescita dello stato sociale, funzionale alla crescita civile piuttosto che incentrata sulla continua alimentazione della crescita del volume della “economia“ speculativa finanziaria. Tutto questo sarà possibile se lo Stato potrà tornare a svolgere il suo ruolo di regolamentazione e controllo delle derive dell’economia privata e finanziaria tornando ad investire in grandi progetti di ampia portata e in tutti i settori più tradizionali della spesa pubblica, dallo stato sociale, alla tutela del territorio sino alla formazione e alla ricerca di base e applicata, coscienti del fatto che le grandi rivoluzioni tecnologiche sono state possibili solo grazie al supporto virtuoso degli investimenti statali, per tramite di una finanza pubblica in grado di tornare a guardare al lungo termine in tutti i settori strategici per lo sviluppo armonico della società.
(1) L’Economia Imperfetta. Novecento Editore – 2015;
(2) http://www.limesonline.com/il-land-grabbing-arriva-in-europa/47647;
http://www.futurimagazine.it/dossier/limiti-dello-sviluppo-rapporto-club-di-roma/
Il rapporto “I limiti dello sviluppo” fu pubblicato all’inizio degli anni ’70 si prevedeva che le materie prime si sarebbero esaurite a ritmo esponenziale, che la popolazione sarebbe cresciuta a ritmi esponenziale così come gli inquinamenti portando il sistema al collasso nel giro di pochi decenni. Per un’ampia revisione vedi:
(3)http://www.treccani.it/enciclopedia/aurelio-peccei-e-i-limiti-dello-sviluppo_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Tecnica%29/
(4) vedi:
https://scenarieconomici.it/decrescita-infelice-prima-parte-di-francesco-cappello/
https://scenarieconomici.it/decrescita-infelice-2a-parte-di-francesco-cappello/
(5) Il TOTEM acronimo di Total Energy Module è il primo esempio di cogeneratore di energia elettrica e calore ideato e brevettato in Italia nel 1977 dall’ing. Mario Palazzetti, presso il Centro Ricerche Fiat e sviluppato in Fiat Auto dal Progetto TOTEM diretto dal Dr. F. Dal Bo, sotto la direzione tecnica dell’ing. Francesco Paolo Ausiello.
Utilizzava il motore di una 127, di 903 cm³, modificato per funzionare a gas o biogas. Il motore azionava un alternatore di 15 kW l’equivalente della potenza elettrica necessaria a 5 famiglie. Il Totem si basa sul rendimento termodinamico basato sul 2°principio della termodinamica piuttosto che sul primo. Dotato di scambiatore di calore recupera infatti quel calore che i motori a combustione interna inevitabilmente sviluppano. La potenza termica sviluppata – 33.500 chilocalorie/h – era sufficiente a rifornire del fabbisogno di calore per usi sanitari e riscaldamento due appartamenti di medie dimensioni.
Facile immaginare quanta energia si sarebbe risparmiata se tutte le caldaie domestiche e non solo che allora funzionavano a gasolio fossero state sostituite con sistemi totem.
(6) Trascritto da:
https://www.pandoratv.it/il-mondo-nuovo-pnt-23-il-5g-e-linternet-delle-cose-livio-giuliani-2/
(7) Stefano Liberti, Land Grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo. Minimum fax, Roma, 2011. http://sbilanciamoci.info/land-grabbing-focus-sullafrica/ ;
(8) https://www.francescocappello.com/2019/02/27/scopo-delleconomia-e-la-risposta-ai-bisogni-interni/ ;
(9) http://www.finanzainchiaro.it/euro-ha-giorni-contati-italia-scappi-prima-che-esploda.html ;
(10) Latouche, L’economia è una menzogna 2014 Feltrinelli;
(11) http://www.studimonetari.org/articoli/amazoniae3.html ;
(12) Moneta e sostenibilità. L’anello mancante B.Lietaer e al. Ed. Andromeda (pag. 212);
(13) https://www.lastampa.it/2016/04/14/scienza/ambiente/focus/carpooling-aziendale-con-la-sharing-economy-i-lavoratori-risparmiano-tonnellate-di-co-e-euro-lanno-vpqQCUeRwtRdHriP2dzCiJ/pagina.html
(14) http://www.iskrae.eu/wp-content/uploads/2016/01/Convention-del-Supremo-consiglio-del-33%C2%B0-ed-ultimo-grado-del-rito-scozzese-antico-ed-accettato-per-la-giurisdizione-massonica-italiana.pdf
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