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“Danni climatici”: a Bonn si è parlato di “compensazione” e sono scoppiate scintille (di C.A. Mauceri)

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Sono iniziati nel peggiore dei modi i colloqui della Bonn Climate Change Conference. Gli incontri, durati due settimane, avrebbero dovuto portare ad accordi e soluzioni in vista della COP27 di fine anno, in Egitto. Invece, a Bonn sono emerse nuove incomprensioni e non sono mancati gli scontri anche duri tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Problemi che hanno arenato i lavori terminati senza nessuna decisione importante.

Tra gli oggetti del contendere la “compensazione” e i finanziamenti per i danni climatici causati dai Paesi sviluppati. Agli incontri, i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo hanno ricordato che i cambiamenti climatici causati dai Paesi più ricchi dopo decenni e decenni di emissioni di CO2 (e altre sostanze dannose, come il metano) stanno avendo conseguenze devastanti. Motivo per cui avevano chiesto di inserire nell’agenda della 27esima Conferenza delle Parti dell’Unfccc, una qualche forma di risarcimento per i danni subiti. I Paesi industrializzati, invece, hanno respinto le loro richieste. E i lavori si sono arenati. A nulla è servito l’appello di Conrod Hunte, capo negoziatore dell’Alliance of Small Island States (AOSIS): “L’emergenza climatica sta rapidamente diventando una catastrofe. Eppure all’interno di queste mura il processo non sembra al passo con la realtà, il ritmo sembra troppo lento”.  AOSIS aveva preannunciato che a Bonn, avrebbe chiesto ai Paesi sviluppati di mantenere il loro impegno a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento entro l’obiettivo di 100 miliardi di dollari entro il 2025 e di garantire che gli Small Island Developing States (SIDS) avessero la priorità nell’accesso a questi fondi. Del resto di questi aiuti si parla da tanti anni, dagli incontri di Copenaghen nel 2009.  Tredici anni che non sono bastati a far diventare realtà questa promessa. Anzi, secondo di dati del rapporto dell’IPCC WG II ormai la situazione è tale per cui i cambiamenti climatici hanno raggiunto livelli ai quali i Paesi vulnerabili non potranno adattarsi.

“Perdita e danno” è la nuova frontiera dello scontro tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Un campo di battaglia sul quale, però, i Paesi poveri hanno un asso nella manica: la compensazione. A Bonn i Paesi in via di sviluppo hanno ricordato ai Paesi sviluppati che alla COP26 di Glasgow è stato deciso di istituire un processo di compensazione realistico. A confermarlo Alex Scott del think tank E3G: “Il compromesso si basava sulla comprensione che i Paesi sarebbero stati disposti a iniziare a parlare e a prendere decisioni su come far fluire quei finanziamenti per perdite e danni. E qui non l’abbiamo visto realizzarsi. Invece, abbiamo visto un seminario organizzato per parlare di come possiamo risolvere alcuni dei problemi”. Un accordo che i Paesi ricchi non hanno rispettato esi sono opposti a inserire una struttura di finanziamento all’ordine del giorno della prossima COP27 che si terrà Sharm El-Sheikh, in Egitto, alla fine del 2022.

Teresa Anderson, global lead on climate justice di ActionAid International ha detto che “Con l’escalation quotidiana della crisi climatica, i Paesi del sud del mondo, che rappresentano 6 persone su 7 del pianeta, sono uniti nella loro richiesta di finanziamenti per aiutarli a riprendersi e ricostruire all’indomani dei disastri climatici. Ma i Paesi ricchi, in particolare l’UE, hanno accresciuto la discussione su perdite e danni ad ogni singolo turno. Che si trattasse di creare una nuova struttura finanziaria, fornire fondi, organizzare supporto tecnico o anche solo includere la questione all’ordine del giorno per la discussione alla COP27 alla fine di quest’anno, i Paesi ricchi hanno continuato a bloccare, bloccare, bloccare. In questo momento, 20 milioni di persone nel Corno d’Africa sono sull’orlo della carestia. C’è una terribile disconnessione tra il mondo reale e alcuni negoziatori di Paesi ricchi che vivono in bolle sicure e si sentono in grado di voltare le spalle al resto dell’umanità”. La strategia di “bloccare” gli accordi climatici non è una novità: alla COP26,  tenutasi con un anno di ritardo a causa della pandemia (un rinvio ingiustificato visto che, nello stesso periodo, nessuno ha osato fermare partite di calcio e altri incontri internazionali), si sono presentati centinaia di delegati collegati con multinazionali e soggetti privati interessati a non consentire che venissero prese decisioni troppo pesanti e limitazioni delle emissioni. Una strategia che alla fine ha avuto successo (basti pensare che ci sono voluti diversi giorni, dopo il termine dei lavori, per scrivere un documento congiunto “soft” e accettato dalle multinazionali. Scarso invece il peso delle organizzazioni ambientaliste e soprattutto dei leader politici.

Anche Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network (CAN) Europe, ha usato parole pesanti nei confronti dell’irresponsabilità dei Paesi “sviluppati”: “Le persone e il pianeta non possono permettersi l’irresponsabilità e la mancanza di ambizione dell’UE alla quale abbiamo assistito nelle ultime settimane a Bonn. L’UE sta perdendo completamente il senso di cosa significhi essere un leader climatico. L’UE dovrebbe smetterla di bloccare i progressi in materia di perdite e danni e aumentare i finanziamenti per l’adattamento. I Paesi europei hanno anche urgente bisogno di aumentare massicciamente i loro obiettivi climatici ed energetici, piuttosto che sostituire il petrolio e il gas della Russia con quelli dei Paesi in via di sviluppo, bloccandoli ulteriormente nei combustibili fossili. Questo è ciò che dovrebbero fare i leader climatici”.

Anche il WWF Europa ha pronunciato parole pesanti sull’argomento. Lo ha fatto per bocca di Mark Lutes, capo delegazione del WWF a Bonn: “Finanziamenti per il clima non erogati e l’azione dei Paesi ricchi ostacolano l’azione futura di tutti. I Paesi stanno tornando alle vecchie abitudini di tenere una questione in ostaggio di un’altra questione a loro cara. Quindi, quando alcuni Paesi bloccano i progressi nel finanziamento di perdite e danni e rispondono agli impatti crescenti dei cambiamenti climatici, altri bloccano i progressi in materia di mitigazione”. Duro il giudizio anche sui risultati raggiunti a Bonn: “Non ci aspettavamo risultati concreti in questo meeting, è già chiaro che la generale mancanza di senso di urgenza, e i conflitti perenni e le linee di frattura tra le parti, minacciano i rapidi progressi di cui abbiamo bisogno quest’anno e in questo decennio. Il processo deve portare all’azione e l’urgenza deve essere al centro di tutte le azioni e i processi se vogliamo avere una COP27 di successo a Sharm el-Sheikh”.

Alla fine, a Bonn, i Paesi sviluppati hanno riconosciuto la necessità di affrontare tali danni, ma hanno respinto le richieste delle nazioni più vulnerabili di lavorare per stabilire un meccanismo di finanziamento efficiente e hanno messo in dubbio anche la valutazione dei progressi collettivi dei Paesi nell’affrontare la crisi climatica, nota come Global Stocktake. Il timore per loro è che il Global Stocktake potrebbe imporre ai Paesi che accettano nuovi impegni politici l’obbligo di fornire soluzioni climatiche concrete e rivoluzionarie in tutti i settori (soluzioni nel lontane da palliativi come quelli previsti dal New Green Deal della von del Leyern), ma soprattutto accesso ai finanziamenti.

È fondamentale comincino ad assumersi le responsabilità per i danni che hanno causato e che comincino a rimborsare i danni causati alle nazioni più vulnerabili. Ma queste finora non sono riuscite a fare molto. Neanche radunandosi nella richiesta di un sostegno finanziario per affrontare perdite e danni e rafforzare la resilienza agli impatti climatici.

C.Alessandro Mauceri

 


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