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Corso in relazioni internazionali. Sesta lezione : accordi internazionali. Dagli appunti del Prof. Rinaldi.

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relazioni internazionali

Gli accordi sul commercio internazionale

La maggior parte degli economisti ritiene che la progressiva liberazione del commercio abbia avuto effetti fortemente positivi, anche se le scelte di rimozione delle barriere tariffarie siano passate per aspetti prettamente politici, è lecito domandarsi come sia stata “politicamente” possibile una tale rimozione.

Almeno in parte, la risposta sta nel fatto che la grande liberalizzazione commerciale postbellica è stata ottenuta tramite negoziati internazionali. In altre parole i governi hanno stretto accordi che li impegnavano a una riduzione reciproca dei dazi. Questi accordi hanno permesso a ciascun paese di legare la riduzione della protezione, garantita alle imprese che subivano la concorrenza delle importazioni, alla riduzione della protezione che altri praticavano contro le imprese esportatrici del paese stesso.

Un legame di questo genere contribuisce a eliminare alcune delle difficoltà politiche che potrebbero altrimenti impedire ai paesi di adottare misure efficaci di politica commerciale.

È più facile ridurre i propri dazi nell’ambito di un accordo reciproco piuttosto che unilateralmente: la negoziazione di accordi commerciali aiuta i governi a evitare di rimanere intrappolati in distruttive “guerre commerciali”.

Il fattore politico degli accordi.

Gli Stati Uniti e Giappone potrebbero raggiungere un accordo per cui i primi si astengono dall’imporre contingentamenti all’importazione per proteggere alcune delle proprie imprese manifatturiere dalla concorrenza giapponese; il secondo, in cambio, potrebbe rimuovere le proprie barriere commerciali sull’esportazione statunitense di prodotti agricoli o di beni ad alta tecnologia.

I consumatori americani possono non essere politicamente capaci di opporsi al contingentamento all’importazione di beni esteri. Tuttavia, gli esportatori che desiderano avere libero accesso ai mercati esteri possono proteggere gli interessi dei consumatori tramite le loro pressioni politiche per la reciproca eliminazione dei contingentamenti.

I negoziati internazionali quindi possono anche permettere di evitare guerre commerciali.

Supponiamo che nel mondo vi siano soltanto due Paesi, gli Stati Uniti e il Giappone, che hanno a disposizione soltanto due politiche: libero scambio o protezionismo. Assumiamo che i governi dei due Paesi abbiano le idee chiare, in modo tale da riuscire ad assegnare valori numerici specifici al proprio grado di soddisfazione relativamente all’effetto di ciascuna politica.

I particolari valori dei guadagni riportati nella seguente tabella sono stati scelti per riflettere due ipotesi.

Tabella: Dilemma del prigioniero

Giappone

USA Libero scambio Protezionismo

Libero scambio 10 20

10 -10

-10 -5

Protezionismo 20 -5

La prima è che il governo di ogni Paese sceglierebbe il protezionismo se potesse prendere come data la scelta dell’altro Paese. (Ipotesi non necessariamente vera per alcuni economisti che sosterrebbero che il libero scambio sia la migliore politica per il Paese, indipendentemente dalle scelte degli altri.)

La seconda ipotesi è quella secondo cui, benché entrambi i governi preferiscano una politica protezionistica quando agiscono singolarmente, essi trarrebbero vantaggio dall’adottare una decisione coordinata a favore del libero scambio. In altre parole, il governo ha più da guadagnare dall’apertura del mercato dell’altro Paese di quanto possa perdere aprendo il proprio mercato, e lo stesso vale per l’altro Paese.

Questa assunzione può essere giustificata semplicemente con riferimento ai vantaggi dello scambio.

A coloro che hanno studiato al Teoria dei Giochi, questa situazione è nota come dilemma del prigioniero. Ciascun governo facendo la scelta migliore dal proprio punto di vista, sceglierà il protezionismo. Eppure entrambi i governi migliorerebbero la propria posizione se nessuno di essi scegliesse il protezionismo: il riquadro in alto a sinistra della tabella prevede un guadagno maggiore per entrambi i Paesi. Perseguendo unilateralmente il proprio interesse, i due governi non riescono pertanto a raggiungere il miglior risultato possibile. La scelta di una politica protezionistica genererebbe una guerra commerciale che peggiora la condizione di entrambi. È chiaro che per evitare tali controversie commerciali bisogna raggiungere un accordo che li trattenga dall’adottare scelte protezionistiche. Ogni governo trarrebbe beneficio limitando la propria libertà d’azione, a condizione che anche l’altro faccia lo stesso: un Trattato può risultare vantaggioso per entrambi.

Nella realtà i paesi coinvolti sono molti e sono molte le opzioni di politica commerciale intermedie tra libero scambio e protezione completa dei propri mercati dalle importazioni. Ciononostante, l’esempio suggerisce sia l’esigenza di coordinare le politiche commerciali tramite accordi internazionali, sia che tali accordi possono fare la differenza. Invero, l’attuale sistema mondiale del commercio internazionale si basa su una serie di accordi commerciali.

I negoziati bilaterali, tuttavia, non permettono di sfruttare tutti i benefici associati al coordinamento internazionale delle politiche commerciali. Innanzitutto i vantaggi di un accordo bilaterale possono ricadere su paesi terzi che non hanno fatto alcuna concessione di cambio. Per esempio se gli Stati Uniti riducessero il dazio sulle importazioni di caffè in conseguenza di un accordo con il Brasile, la Colombia trarrebbe vantaggio dall’aumento del prezzo mondiale del caffè. Inoltre vi possono essere accordi che per risultare vantaggiosi devono includere più Paesi.

Il passo successivo nella liberalizzazione del commercio internazionale passa quindi attraverso la promozione di negoziati multilaterali che includono un certo numero di Paesi. Tali tipi di negoziati iniziarono subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: inizialmente i diplomatici delle nazioni alleate vittoriose si attendeva di condurre le negoziazioni sotto l’egida di una Istituzione chiamata International Trade Organization (ITO) che sarebbe dovuta nascere assieme al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e alla Banca Mondiale.

Nel 1947, stanchi di aspettare la nascita di tale istituzione, un gruppo di 23 nazioni iniziò i negoziati sulla base di un insieme provvisorio di regole conosciuto come l’Accordo Generale sui Dazi e il Commercio (General Agreement on Tariffs and Trade, o GATT). Tale accordo provvisorio finì per regolare il commercio internazionale mondiale per i successivi 48 anni, dato che l’ITO non fu istituita a causa di varie opposizioni di natura politica principalmente da parte degli Stati Uniti.

Ufficialmente il GATT era un accordo, non una organizzazione, e i Paesi che vi partecipavano erano considerati parti contraenti, non membri. In pratica il GATT ha sempre mantenuto un segretariato permanente a Ginevra. Nel 1995 venne istituita l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC o WTO dall’acronimo di World Trade Organization), dando finalmente vita all’organizzazione formale dove tuttavia le regole e le logiche fondamentali del sistema rimangono quelle del GATT.

L’obiettivo di tale organizzazione è quello di condurre l’economia mondiale verso il libero scambio, ma per arrivare a tale conduzione si hanno bisogno di regole: se viene fissato un dazio, il Paese che lo impone si impegna a non alzarlo in futuro.

Al momento, quasi tutti i dazi imposti dai Paesi avanzati sono fissati, così come tre quarti di quelli imposti dai Paesi in via di sviluppo. C’è un certo margine di manovra nel processo: è possibile che un Paese aumenti un dazio se gli altri Paesi acconsentono, il che di solito significa che in cambio deve ridurre un altro dazio. In pratica, questo processo risulta molto efficace: ben pochi dazi sono aumentati negli ultimi cinquant’anni.

Oltre a fissare i dazi, il sistema GATT-OMC, in generale cerca di prevenire barriere non tariffarie agli scambi. I sussidi all’export sono vietati, con un’eccezione importante voluto dagli Stati Uniti relativo ai prodotti agricoli. Le quote all’importazione sono in genere vietate, tranne nel caso in cui siano misure temporanee per fronteggiare particolari situazioni di mercato, il che di solito significa che sono ammesse quote temporanee per far fronte a un improvviso aumento delle importazioni dannoso per i produttori nazionali.

La leva utilizzata per fare ulteriori progressi in direzione del libero scambio è il processo di negoziato commerciale (trade round), in cui un grande gruppo di Paesi si riunisce per negoziare un insieme di riduzioni di dazi e di altre misure per liberalizzare il commercio. La serie dei negoziati avutisi nel corso degli anni, ha portato a una riduzione dei dazi medi dal 6,3% al 3,8%.

Più importante della riduzione complessiva dei dazi furono i passi verso la liberalizzazione del commercio in due settori molto importanti: l’agricoltura e l’abbigliamento.

Quanto è diverso il WTO dal GATT?

Il WTO è un vero e proprio organismo internazionale, però a differenza delle regole del GATT che si applicavano solo al commercio dei beni e non ai servizi, questa nuova Istituzione ha incluso anche regole sul commercio di servizi (Accordo Generale sul Commercio di Servizi, o GATS, General Agreement on Trade in Services), e l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property).

Il GATT in generale vieta gli Accordi Commerciali Preferenziali che prevedono che i dazi applicati tra i Paesi aderenti siano inferiori a quelli praticati sugli stessi beni provenienti da Paesi non facenti parte dell’accordo. In altre parole li vieta perché essi rappresentano una violazione della clausola della nazione più favorita, ma consente tali accordi se essi conducono al libero scambio fra i Paesi aderenti.

In generale, due o più Paesi possono fare accordi preferenziali per liberalizzare gli scambi reciproci in due modi. Possono costituire un’area di libero scambio, nella quale i beni di ciascun Paese possono essere trasferiti negli altri Paesi senza dazi, ma nel quale i Paesi fissano autonomamente il livello dei dazi nei confronti del resto del mondo. Oppure possono costituire un’unione doganale, nella quale devono stabilire congiuntamente i dazi applicati al resto del mondo.

Il North American Free Trade Agreement (NAFTA), che consente scambi liberi tra Canada, Stati Uniti e Messico, è un’area di libero scambio: l’accordo non prevede, per esempio, che il Canada e il Messico applichino gli stessi dazi sui prodotti tessili importati dalla Cina.

L’Unione Europea invece è un’unione doganale a tutti gli effetti: i Paesi membri devono accordarsi per applicare gli stessi dazi su tutti i beni importati.

Ciascun tipo di accordo preferenziale ha effetti ambigui sul benessere economico. Se l’adesione all’accordo comporta la sostituzione della produzione interna ad alto costo con importazioni da altri Paesi membri (il caso di creazione di commercio), il paese guadagna. Ma se l’adesione comporta una sostituzione di importazioni a basso costo provenienti da Paesi esterni all’accordo con importazioni a più alto costo da altri Paesi membri (il caso di distorsione di commercio), il Paese viene danneggiato.


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