Seguici su

EconomiaEnergia

Colpo di scena a Baghdad: l’Iraq invita le compagnie USA a prendersi il “gioiello” petrolifero russo. Che dirà Mosca?

Svolta geopolitica in Iraq: Baghdad scarica la russa Lukoil e invita i giganti USA a gestire West Qurna 2. Un colpo da 13 miliardi di barili che ridisegna gli equilibri energetici contro Mosca e Pechino.

Pubblicato

il

C’è un vecchio adagio in geopolitica che recita: “La natura aborre il vuoto”. E in Medio Oriente, quel vuoto lasciato dagli Stati Uniti negli ultimi anni era stato riempito, con pragmatica voracità, da Russia e Cina. Ma, come spesso accade nelle dinamiche di potere fluide del Vicino Oriente, il vento è cambiato. E soffia forte, di nuovo, da Ovest.

La notizia che rimbalza dai corridoi del Ministero del Petrolio iracheno ha il sapore di una svolta epocale, una di quelle che finiscono nei libri di storia economica: Baghdad ha invitato ufficialmente le principali compagnie petrolifere statunitensi a sviluppare il gigantesco giacimento di West Qurna 2, dopo l’uscita forzata del colosso russo Lukoil. La notizia è riportata da Simon Watkins.

Non si tratta di una semplice commessa industriale, ma di un riallineamento tettonico degli equilibri energetici globali. Mosca, già strangolata dalle sanzioni per il conflitto in Ucraina, perde un asset fondamentale; Washington, data per “spacciata” nella regione solo pochi anni fa, torna prepotentemente al centro della scacchiera.

West Qurna, ora di

Il ritorno del “Grande Gioco” energetico

Fino a ieri, la narrazione dominante vedeva Russia e Cina consolidare una presa ferrea sull’Iraq. Pechino e Mosca avevano costruito una leva politica ed energetica profonda, sfruttando contratti petroliferi, il controllo delle infrastrutture (oleodotti) e legami a doppio filo con i gruppi sostenuti dall’Iran. Sembrava una partita chiusa.

Eppure, le compagnie occidentali stanno riguadagnando terreno a una velocità impressionante. Non parliamo di pesci piccoli, ma dei “Big Oil”: TotalEnergies, BP, Chevron ed ExxonMobil stanno chiudendo accordi che ridisegnano la mappa dell’influenza in Mesopotamia.

Il caso di West Qurna 2 è emblematico. Parliamo di un giacimento che, da solo, rappresenta quasi il 10% della produzione irachena. Un mostro energetico capace di sostenere un output tra i 635.000 e i 650.000 barili al giorno (bpd). Lukoil, il secondo produttore russo, è stato accompagnato alla porta a seguito dell’inasprimento delle sanzioni di Washington su Mosca, lasciando campo libero alle imprese a stelle e strisce.

Perché l’Iraq è (ancora) il centro del mondo

Per comprendere la portata di questo evento, bisogna guardare oltre il barile di greggio e osservare la mappa. L’Iraq non è solo un produttore di petrolio; è il perno geopolitico del Medio Oriente.

Nonostante la percezione diffusa tra la popolazione irachena che gli USA avessero “esaurito il loro benvenuto” dopo il 2003, Russia e Cina avevano investito pesantemente nel Paese per tre ragioni strategiche fondamentali, che è bene analizzare con freddezza tecnica:

  • Il costo marginale di estrazione: L’Iraq offre enormi riserve di petrolio con un costo di estrazione medio (“lifting cost”) tra i più bassi al mondo, 2-4 dollari al barile. In un’economia globale incerta, questa è pura rendita differenziale. A ciò si aggiungono immense quantità di gas associato e non associato.

  • La posizione geografica: L’Iraq è il cuore fisico della regione. A ovest confina con Giordania e Siria (con accesso al Mediterraneo), a nord con la Turchia (porta per l’Europa), a sud con l’Arabia Saudita e il Kuwait, e a est con l’Iran. Chi controlla l’Iraq, controlla lo snodo dei flussi.

  • La Mezzaluna Sciita: Il Paese è un membro chiave di quell’arco geopolitico che si estende dall’Iran al Libano, dove l’influenza sciita (e quindi iraniana) è determinante. Un motivo in più per tenerlo sotto strette controllo.

La cronologia di un sorpasso (e controsorpasso)

La penetrazione russo-cinese non è stata casuale, ma metodica, accelerando ogni volta che gli USA mostravano segni di disimpegno. Ecco una sintesi delle fasi critiche:

PeriodoEvento ChiaveConseguenza Geopolitica
Settembre 2017Referendum Kurdistan IrachenoLa Russia (Rosneft) entra nel caos e prende il controllo dell’oil nel Nord.
Maggio 2018USA escono dal JCPOAMosca e Pechino intensificano la presenza nel vuoto lasciato dagli accordi.
Dicembre 2021Fine missione combattimento USALa Cina spinge sugli acquisti a Sud, la Russia consolida con Lukoil a West Qurna 2.
2024-2025Sanzioni USA su MoscaLukoil costretta al ritiro, riapertura agli USA e ai Major europei.

La strategia di Mosca e Pechino era chiara: espellere le aziende occidentali per permettere all’Iran (proxy dei due giganti orientali) di estendere il proprio potere, indebolendo l’asse Washington-Londra-Bruxelles. Un funzionario del Cremlino, anni fa, aveva profetizzato a OilPrice.com: “Tenendo l’Occidente fuori dagli accordi energetici in Iraq, la fine dell’egemonia occidentale in Medio Oriente diventerà il capitolo decisivo del declino finale dell’Occidente”.

Evidentemente, qualcuno a Washington ha preso appunti.

La controffensiva occidentale: TotalEnergies e BP in prima linea

La risposta occidentale non si è fatta attendere e si è materializzata attraverso contratti miliardari e infrastrutture critiche.

La francese TotalEnergies ha ora in mano le chiavi per l’aumento della produzione irachena grazie al Common Seawater Supply Project, un progetto titanico da 27 miliardi di dollari essenziale per mantenere la pressione nei giacimenti.

Parallelamente, la britannica BP ha attivato un accordo da 25 miliardi di dollari per cinque giacimenti, posizionandosi come canale di cambiamento nel nord del Paese.1

La perdita di West Qurna 2 per la Russia è un colpo durissimo. Il giacimento contiene riserve recuperabili stimate in 13 miliardi di barili. Insieme alle attività di Rosneft nel nord (anch’esse in ridimensionamento), Mosca rischia di perdere il controllo su un export di circa 3,1 milioni di bpd, fondi vitali per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina.

Il segreto dei 650.000 barili

C’è un dettaglio tecnico, quasi da spy-story industriale, che rende la situazione ancora più piccante. Secondo fonti vicine al Ministero del Petrolio iracheno, Lukoil sapeva di poter estrarre molto più di quanto dichiarasse.

Durante test segreti condotti nel 2017, i russi avevano già raggiunto una produzione di 650.000 bpd, tenendo però il dato nascosto a Baghdad. Il motivo? Volevano rinegoziare la tariffa di remunerazione (allora ferma a 1,15 dollari al barile) prima di “ufficializzare” l’aumento di output. Mosca aveva minacciato di andarsene se non fosse stata pagata di più.

La risposta irachena fu pragmatica e tagliente: “Se volete andarvene, fatelo. Ma prima pagate le compensazioni per gli investimenti promessi e non mantenuti”.

Alla fine rimasero. Ma oggi, dicembre 2025, sono fuori. E quel potenziale da 650.000 barili è ora un piatto d’argento offerto a ExxonMobil e Chevron.

Realpolitik e Bilanci

L’invito alle aziende USA non è solo business, è un segnale politico. Gli Stati Uniti e Israele vedono nel Kurdistan iracheno e nella stabilità del sud un baluardo contro l’Iran e, di riflesso, contro l’asse sino-russo.

Rompere il legame energetico tra Baghdad e Mosca significa togliere ossigeno finanziario al Cremlino e limitare l’espansionismo di Teheran.

Resta da vedere come reagirà la Cina, che predilige la “guerra asimmetrica” dei piccoli contratti e del soft power economico. Ma per ora, le bandiere che sventolano sui pozzi di Bassora sembrano avere di nuovo le stelle e le strisce, con buona pace delle ambizioni imperiali di Putin.


Domande e Risposte

Perché è così importante il “lifting cost” di 2-4 dollari dell’Iraq?

In economia petrolifera, il costo di estrazione determina il margine di profitto reale.2 Con prezzi del greggio volatili, avere un costo così basso garantisce profitti enormi anche in fasi di mercato ribassista. Per le compagnie occidentali (e per i governi che le tassano), l’Iraq è una “cash cow” insostituibile, molto più redditizia dello shale oil americano o dei giacimenti off-shore, che hanno costi molto più elevati. È la base della rendita petrolifera pura.

Che ruolo gioca la Cina in questo nuovo scenario?

La Cina non è scomparsa, ma ha dovuto adattare la sua strategia. Mentre gli USA puntano sui grandi progetti (Major), Pechino opera attraverso dozzine di contratti più piccoli (“contract-only”) e meno visibili, per evitare lo scontro diretto in una fase in cui Washington è tornata assertiva. La Cina rimane il primo acquirente di petrolio iracheno, mantenendo quindi una leva commerciale enorme, anche se perde terreno sul lato dello sviluppo infrastrutturale strategico.

Ci sono rischi per le aziende USA che tornano in Iraq?

Assolutamente sì. La presenza occidentale è ancora bersaglio delle milizie filo-iraniane, che utilizzano droni e razzi per esercitare pressione politica. Inoltre, la corruzione endemica nella burocrazia irachena rimane un ostacolo formidabile (“costo di transazione” occulto). Tuttavia, la posta in gioco geopolitica ed economica è tale che Washington sembra disposta a fornire le garanzie di sicurezza necessarie per proteggere questi asset strategici dal valore inestimabile.

Google News Rimani aggiornato seguendoci su Google News!
SEGUICI
E tu cosa ne pensi?

You must be logged in to post a comment Login

Lascia un commento