Cina
Cina: meno petrolio dalla Russia.Un segnale politico o semplice manutenzione?
Pechino riduce gli acquisti di greggio da Mosca, ma aumenta quelli da Brasile e Indonesia. Una scelta tecnica per manutenzione o un segnale politico a Washington in vista della scadenza della tregua commerciale?
La Cina sta importanto moltissimo petrolio, ma sta cambiando i fornitori. I dati ufficiali di agosto mostrano un calo significativo degli acquisti di petrolio greggio dalla Russia, partner strategico di Pechino. Un calo che, tuttavia, non ha inciso sul totale importato, grazie a una rapida e massiccia diversificazione verso altri lidi, mentre il rubinetto del petrolio statunitense rimane, per il terzo mese consecutivo, completamente chiuso.
Ad agosto, la Cina ha importato dalla Russia 7,94 milioni di tonnellate di greggio, segnando un calo del 15,2% su base annua. Un dato che ha lasciato perplessi gli analisti, divisi tra chi lo interpreta come una fluttuazione temporanea e chi vi legge un segnale geopolitico più profondo.
A bilanciare il minor flusso da Mosca ci hanno pensato altri Paesi, con cifre a dir poco sorprendenti:
- Brasile: Le importazioni sono schizzate del 50,4%, raggiungendo 5,19 milioni di tonnellate.
- Indonesia: Si è registrato un balzo quasi incredibile, con un aumento di quasi 90 volte, per un totale di 2,66 milioni di tonnellate.
Complessivamente, le importazioni totali di greggio della Cina sono rimaste stabili a 49,49 milioni di tonnellate, con un modestissimo +0,8% rispetto all’anno precedente. Insomma, Pechino ha bisogno di petrolio, ma sembra diventata più selettiva su dove prenderlo.
Due letture a confronto: tecnica vs geopolitica
Come interpretare questo calo russo? Le opinioni degli esperti divergono.
Secondo Emma Li, analista di Vortexa, si tratterebbe di un episodio isolato, dovuto principalmente alla manutenzione programmata di importanti siti produttivi russi, come il progetto Sakhalin-1 nell’estremo oriente del Paese, che avrebbe temporaneamente fermato la produzione destinata all’export. Una spiegazione puramente tecnica e, se vogliamo, rassicurante per Mosca.
Di parere diverso è Chim Lee, analista dell’Economist Intelligence Unit. A suo avviso, i dati di agosto confermerebbero una tendenza al ribasso degli acquisti cinesi dalla Russia iniziata già alla fine dello scorso anno, pur con qualche picco occasionale. La ragione? La crescente pressione americana e il timore di sanzioni. “Gli importatori cinesi sono desiderosi di limitare la loro esposizione alle sanzioni, specialmente dopo che gli Stati Uniti hanno minacciato misure punitive contro gli acquirenti di petrolio russo,” ha affermato Lee.
L’ombra americana sulle scelte di Pechino
Il contesto internazionale, in effetti, è tutt’altro che sereno. L’amministrazione Trump ha già imposto dazi aggiuntivi del 25% all’India, secondo acquirente di greggio russo, proprio per il suo commercio energetico con Mosca. Inoltre, il presidente americano ha esortato gli alleati occidentali a fare fronte comune e imporre tariffe collettive alla Cina per la medesima ragione.
Per ora, Trump ha esitato a colpire direttamente Pechino, muovendosi con cautela all’interno di una fragile tregua commerciale che scadrà il prossimo 10 novembre. Ma la minaccia resta, e le aziende cinesi, evidentemente, ne tengono conto.
In questo scenario, non sorprende che le importazioni di greggio dagli Stati Uniti siano azzerate da giugno. Come sottolinea Lee, “le importazioni dagli Stati Uniti rimangono strettamente legate allo stato delle relazioni USA-Cina”. Una ripresa sostenuta di questi flussi appare improbabile senza un accordo commerciale di vasta portata, obiettivo che al momento sembra ancora lontano, nonostante i recenti contatti telefonici tra Trump e Xi Jinping.
La bussola energetica di Pechino, quindi, sembra orientarsi con cautela, navigando tra la partnership strategica con la Russia e le turbolente acque delle relazioni con Washington. La diversificazione non è più una scelta, ma una necessità strategica, fino a quando non si sarà pronti alla guerra commerciale.
Domande e Risposte per i Lettori
- Perché la Cina sta comprando meno petrolio dalla Russia se i due Paesi sono alleati strategici?
Le ragioni sono principalmente due e non si escludono a vicenda. Da un lato, c’è una spiegazione tecnica: la manutenzione programmata di importanti impianti di estrazione russi, come Sakhalin-1, ha ridotto temporaneamente la disponibilità di greggio per l’export. Dall’altro lato, pesa un fattore geopolitico: la crescente pressione degli Stati Uniti, che hanno già sanzionato l’India per gli stessi motivi e minacciano di fare lo stesso con la Cina. Gli importatori cinesi potrebbero quindi agire con cautela per evitare di finire nel mirino di Washington, diversificando le fonti di approvvigionamento.
- Il calo di importazioni dalla Russia significa che la Cina è in difficoltà energetica?
Assolutamente no. I dati mostrano che le importazioni totali di greggio della Cina ad agosto sono rimaste sostanzialmente stabili. Il calo delle forniture russe è stato immediatamente e ampiamente compensato da un forte aumento degli acquisti da altri Paesi, in particolare dal Brasile (+50,4%) e dall’Indonesia (con un aumento di quasi 90 volte). Questo dimostra la capacità di Pechino di diversificare rapidamente le sue fonti, garantendo la sicurezza dei propri approvvigionamenti energetici senza dipendere da un unico fornitore.
- Qual è il ruolo degli Stati Uniti in questa vicenda?
Gli Stati Uniti giocano un ruolo da protagonista indiretto. Pur avendo azzerato le proprie esportazioni di greggio verso la Cina a causa delle tensioni commerciali, l’amministrazione americana esercita una forte pressione sui Paesi che acquistano petrolio russo, considerandolo un modo per finanziare le azioni di Mosca. La minaccia di sanzioni secondarie e tariffe, già applicate all’India, funge da deterrente per gli importatori cinesi. La situazione è legata a doppio filo alla tregua commerciale tra USA e Cina, la cui scadenza a novembre potrebbe ridefinire gli equilibri.
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