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Carraro su LA VERITA’: dal MES al Fondo Monetario Europeo

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Del MES è stato detto tutto, o quasi. Eppure, potrebbe esserci qualcosa di più, e di peggio, rispetto al MES. Parliamo del Fondo Monetario Europeo, un’altra “mostruosa” creatura della fervida fantasia dei burocrati di Bruxelles, in grado di far impallidire – quanto a rischi annessi e connessi alle pessime finanze e alle buone sorti del Belpaese – persino il Meccanismo europeo di stabilità.

Il FME è espressamente previsto da una proposta di regolamento comunitario del 06.12.17 (COM 2017 827) ed è una sorta di MES al cubo. Esso, sostanzialmente, si basa su una elementare constatazione: l’Unione europea e, più specificamente, i paesi dell’eurozona non sono dotati di una banca centrale prestatrice di ultima istanza. Questo è il peccato originale della costruzione comunitaria, denunciato così tante volte, negli ultimi anni, da essere stato introiettato persino dai cittadini meno appassionati di economia. Come noto, una banca centrale “normale” aiuta il proprio Stato attraverso illimitate, e soprattutto incondizionate, emissioni di liquidità, comprando i titoli del debito pubblico sul mercato primario, a tassi di interesse irrisori; tassi decisi dallo Stato medesimo cui detta Banca, in teoria, “appartiene”. La prima mossa per incaprettare gli stati europei è stata proprio la sostanziale eliminazione delle banche centrali di ciascuno di essi (confluite nella BCE). In tal modo, gli Stati si sono trovati in balia dei mercati (da qui, l’incubo spread) e hanno potuto, e dovuto, in caso di “brutto tempo” accontentarsi dell’ombrello indiretto della BCE rappresentato dal quantitative easing (acquisto massivo di titoli sui mercati secondari).

Orbene, il bazooka di Draghi era pur sempre qualcosa e ha impedito all’Italia di fare la fine della Grecia. Sennonché, il Regolamento summenzionato punterebbe a conferire l’onere esclusivo della “ultima istanza” a una istituzione che, per ora, la Ue non ha: un organo (simile al Fondo Monetario Internazionale) che, non a caso, dovrebbe chiamarsi “Fondo Monetario Europeo”. Nella proposta di regolamento di cui stiamo parlando si legge: “Un sostegno comune di ultima istanza servirebbe a fornire a tutte le parti interessate una maggiore fiducia”.

In effetti, il MES sia pur “rafforzato”, rappresenta – rispetto al FME – solo una risposta limitata e provvisoria rispetto alle reali intenzioni dei suoi ideatori. Esso, infatti, ha un limite congenito: non è un organismo dell’Unione europea, non è codificato nei trattati; è solo un ente transnazionale frutto di un accordo intergovernativo. Tale “Meccanismo”, dunque, non può ancora arrogarsi in via esclusiva, e soprattutto “in nome e per conto della Ue”, le fatidiche funzioni di “unico” prestatore di ultima istanza. Ma hanno trovato un cavillo per far fare al MES il salto di qualità: è l’articolo 352 del Trattato di Lisbona, dove si legge: “Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate”.

A questo articolo si richiama lo schema di Regolamento di cui parliamo: “La base giuridica della presente proposta è l’articolo 352 del TFUE”. E ancora: “Nel quadro della politica economica dell’Unione non sono state sancite le competenze di cui l’Unione ha bisogno per istituire un organismo incaricato di fornire sostegno finanziario per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro. In assenza di tali poteri l’articolo 352 del TFUE consente al Consiglio di adottare all’unanimità (…) le disposizioni appropriate”. E perché hanno scelto proprio un Regolamento per fare questa “rivoluzione”? Ce lo spiegano loro stessi: perché esso “deve essere obbligatorio  in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri” (che è, appunto, la caratteristica tipica  di tutti i regolamenti europei).

In pratica, un Fondo monetario non c’è ancora, ma lorsignori vogliono dotarsene per rendere sostanzialmente superfluo (se non addirittura impossibile) persino l’intervento surrettizio della BCE. Dal momento in cui il MES sarà trasformato in FME, non ci sarà più bisogno che la BCE si scomodi per “salvare l’euro” e neppure che un nuovo Draghi pronunci il proprio “abracadabra” (whatever it takes). Penserà a tutto il Fondo Monetario Europeo. E il Paese che ne avrà bisogno sperimenterà, sulla pelle dei propri cittadini, quanto più dolorose saranno le cinghiate della nuova austerity. Trasmutare il MES in un organo dell’Unione europea, attraverso la procedura prevista dall’articolo 352 del TFUE, renderebbe praticamente impossibile ogni ulteriore, residua, speranza di resistere.

Ma non è finita. Oggi siamo ancora nelle condizioni di opporci alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, eventualmente non ratificando la modifica al relativo trattato. Così come siamo ancora nelle condizioni, volendolo, di abrogare la legge “rinforzata” di attuazione del Fiscal compact (la numero 243 del 24 dicembre 2012). E possiamo, persino, con un po’ di coraggio supplementare, e magari dopo nuove elezioni politiche, trovare i numeri in Parlamento per emendare le norme costituzionali (artt. 81, 97, 117 e 119) “aggiustate” nel 2012 al fine di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Ma cosa accadrà se, e quando, dovesse essere approvato il Regolamento che istituisce il Fondo Monetario Europeo? Ci troveremo di fronte a una “istituzionalizzazione” del vecchio MES, rettificato di nome e di fatto, ma soprattutto tramutato, praticamente, in una nuova istituzione non solo dell’Unione, ma (indirettamente, e a ben vedere) anche  della Repubblica Italiana. Infatti, l’articolo 117 della nostra Carta contiene una bella polpetta avvelenata (introdotta nel 2001) laddove sancisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Costruire un Fondo Monetario e importarlo nella cornice delle istituzioni Ue non significa solo sterilizzare le eventuali velleità della BCE di calmierare – sia pure “obliquamente”, intervenendo nei mercati secondari – lo spread dei titoli di stato più “bollenti” d’Europa (come i nostri). Vuol dire anche alterare una volta per tutte la “forma repubblicana” dello Stato Italiano per sottometterlo, di fatto, all’agenda dei lavori e all’ordine del giorno di un vero e proprio “Governo di occupazione”. Che, magari, intanto canta “Bella ciao”.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

 


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