Attualità
Caro Walter vorrei che tu, il Pd ed io… di Massimiliano Lenzi.
Caro Walter, vorrei che tu, il Partito democratico ed io fossimo presi per incantamento… Quando si dice largo ai giovani. Mettiamo da parte per un attimo il gusto letterario della poesia ed occupiamoci di politica, stavolta guardando a sinistra. Ieri è accaduto che il Fondatore di Repubblica, il vegliardo Eugenio Scalfari, nel suo consueto editoriale della domenica, lungo quasi quanto una Santa Messa, abbia avuto l’ideona: Walter Veltroni presidente del Pd. Lasciamo stare la frustrazione, nel leggerlo, dei numerosi candidati alle primarie – da Zingaretti a Martina passando per Giachetti – che ad avere un padre nobile che li legittimi non ci pensano davvero, e leggiamo direttamente dallo scalfarese il colpo di genio: “Termino riproponendo un’ipotesi – ha editorialeggiato Scalfari – che ho tempo fa manifestato su queste colonne: la presenza di un presidente del partito che abbia gli stessi poteri verso il partito che il Presidente della Repubblica ha nei confronti dello Stato”. Riflettiamo su queste parole per un attimo, prima di proseguire nella Scalfari’s Version: il Fondatore di Repubblica, tradotto in soldoni, vorrebbe Mattarellizzare il Pd. Con Veltroni. De gustibus, direbbero gli antichi romani. “L’uomo adatto – prosegue Scalfari – ad impersonare quella carica secondo me è Walter Veltroni. (..) Mi auguro vivamente che l’assemblea porti al voto questa proposta e la offra a Veltroni, sarebbe un vero rilancio del Pd e dei suoi alleati”. Ecco, mentre Eugenio sogna il ritorno di Walter e l’ex Ministro Carlo Calenda paventa un’area di centrosinistra capace di arrivare al 30% (sigh!), ecco che il Veltroni se ne esce sul Corriere della Sera (ndr, di ieri per chi legge) con un suo articolo dove racconta delle utopie, dei dubbi e di James Bond – sì proprio lui, l’agente 007 – dei ragazzi del Liceo Tasso di Roma, 50 anni dopo ovvero mezzo secolo fa rispetto alla scuola dove lui è stato. Era il 1968. Che fare, scriverebbe un Lenin (se la sinistra oggi ne avesse uno disponibile)? Di certo pensando a Scalfari, a Veltroni ed al Pd viene in mente che tutto alla fine cambia perché nulla cambi. In questa Italia dove tutto è ciclico, sperare in un ricambio delle élite equivale a sognare un sei al Superenalotto. Servirebbe un miracolo. Ha voglia a scrivere l’austero professore Ernesto Galli Della Loggia nei suoi editoriali sul Corriere della crisi dell’establishment, in Italia si chiacchiera molto ma alla fine i vertici restano sempre quelli. Più o meno. Ci mancano i ricambi generazionali, le innovazioni di leadership, la vitalità di una classe dirigente che in un Paese come gli Usa è circolare e muta con la velocità con cui muta il mondo. Da noi no. Siamo abbarbicati al passato ed il Pd ce lo potremmo ritrovare a breve con dentro Prodi, Veltroni e pure D’Alema. Magari ci ironizzano su questa immutabilità, soprattutto a sinistra (ma anche il centrodestra non è proprio il luogo della rivoluzione generazionale, ad essere sinceri), ma senza cambiare nulla. Una fissità che in fondo rispecchia l’eternità del provvisorio in Italia, sia esso rappresentato dalla indecisione su una Tav qualsiasi o sullo stillicidio infinito di una Salerno-Reggio Calabria. Per questo il buon Scalfari, mentre sogna un Veltroni presidente del Pd, dovrebbe ricordarsi – lui che è stato a Via Veneto negli anni giusti – di un eterno memento dello scrittore Ennio Flaiano: “In Italia la via più breve tra due punti è l’arabesco”.
Massimiliano Lenzi, Il Tempo 4.2.19
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