Attualità
Caro Direttore Feltri, sul referendum costituzionale non ci siamo.
Libero ha ultimamente preso una linea assai gradita ai “sovranisti”, dando spazio alle voce di chi invoca con forza l’uscita dall’euro. Pubblicare il pezzo di Dragoni e Becchi sui 50 motivi per lasciare la zona euro è stato davvero qualcosa di eccezionale.
Proprio in occasione di quel pezzo molti che ci seguono hanno lamentato la posizione di Vittorio Feltri per il sì al referendum. Paolo Becchi ha colto la palla al balzo e ha domandato al Direttore la ragione della sua scelta di campo.
Per comodità vi riporto la risposta di Vittorio Feltri a Paolo Becchi:
“Caro professore, ti confesso che ho faticato a capire il senso del tuo scritto. Di solito sei più chiaro. Forse in questo caso, sarà per la complessità della materia, colgo un po’ di confusione in ciò che esprimi. D’ accordo. La riforma del Senato è una porcata pazzesca. L’ ho affermato mille volte. Palazzo Madama andava chiuso e amen. Una Camera basta e avanza per approvare leggi il più delle volte peggiorative dello status quo.
Il Parlamento non combina niente di positivo da parecchi anni. Pensa che un lustro fa Maria Stella Gelmini mi promise di cancellare la galera per i giornalisti, visto che costoro pagano fior di soldi qualora abbiano diffamato qualcuno. La gentile signora si dette da fare, venne scritta una nuova normativa che pareva dovesse passare subito e che, invece, giace ancora in un cassetto. Dimenticata da Dio – e questo non mi stupisce – e dagli uomini e dalle donne che avrebbero dovuto uniformare il nostro codice a quello dei paesi anglosassoni. Sulle questioni relative ai reati a mezzo stampa rimaniamo a livello del fascismo e del socialismo reale di tipo sovietico. In fatto di libertà e di liberalismo Erdogan ci somiglia. Ma tutti se ne fregano, deputati e senatori compresi. Gli stessi deputati e senatori hanno permesso, senza fare una piega, che l’ Italia entrasse nell’ Unione Europea e nella moneta unica, mandandoci in malora. E tu mi dici che sarà il nuovo Senato eventualmente a sancire la condanna definitiva del nostro Paese ad essere servo di Bruxelles, quando anche i sassi sanno che tale condanna stiamo già scontando, come si evince dalla osservazione disincantata della realtà.
Caro Becchi non sarà la riduzione del numero dei senatori a peggiorare le cose. Peggiori lo sono da tempo, tanto è vero che siamo sull’ orlo del fallimento in ogni campo. Qui da noi sono arrivati in quattro giorni 13mila profughi tra la rassegnazione generale e l’ indifferenza degli europeisti dissennati, quali la Merkel e compagni. Secondo te votare no al referendum prossimo significa affrancarci dalla schiavitù imposta dal Quarto Reich? Ma non farmi ridire.
La Costituzione è un rottame che andrebbe abolito. L’ Inghilterra non ce l’ ha e sta benone, è molto più democratica del nostro antiquato Paese di Pulcinella. Questo è il nocciolo della faccenda. Non riusciamo a cassare la Carta? Tentiamo almeno di modificarla, dimostrando che non è un totem intoccabile.
Tra l’ altro il plebiscito non riguarda soltanto il superfluo Senato, ma anche il maledetto titolo V a causa del quale le Regioni spendono e spandono (senza controllo) denaro pubblico, aumentando a dismisura il debito nazionale. Esse sono diventate addirittura associazioni per delinquere. Ora abbiamo la possibilità di ridimensionarle e tu col tuo no del piffero vuoi impedirlo? Ma ti rendi conto della bestialità. Forse sottovaluti il problema, dato che nel tuo articolo sorvoli sul titolo V quasi che fosse un orpello degno di totale disinteresse.
Caro Becchi il referendum non è un toccasana, sia che approvi sia che bocci le riforme. Ma se vince il sì si fa un piccolo passo avanti, se vince il no se ne fa uno indietro. Quanto all’ Europa è come una catena, prima te ne liberi e prima puoi scegliere il tuo destino. Ciò dipende dalla volontà degli italiani, non da quella di un Senato piccino o grande che sia.
Vittorio Feltri”
A questo punto mi sono sentito in dovere di replicare pubblicamente a Vittorio Feltri visto che non posso che condividere integralmente la posizione di Paolo Becchi.
“Egregio Direttore,
in primo luogo, come giurista, non posso che farle i miei complimenti per la posizione assunta dal suo giornale verso euro ed Unione Europea. Per la prima volta ho letto sulla stampa dell’incompatibilità evidente tra trattati e costituzione. È stata davvero una boccata d’ossigeno.
Ero anche io quindi curioso di capire il perché del suo “si” a quella che amo chiamare “deforma” costituzionale, visto che lo scopo, dietro al cd. diritto cosmetico che la impregna, è unicamente quello di superare la giurisprudenza della Corte Costituzionale sui “controlimiti” all’ingresso delle norme europee nel nostro ordinamento.
Mi spiego. Nel 2013 JP Morgan, in un noto rapporto, ha espressamente chiesto l’abrogazione delle costituzioni del sud Europa perché troppo “socialiste”, troppo tutelanti dei lavoratori e troppo permissive in materia di sciopero.
La nostra Costituzione, stante la definitività della forma Repubblicana, è immutabile nei suoi principi fondamentali e negli articoli della parte I, che sono la diretta emanazione di quei principi. Quello che chiedeva JP Morgan non si poteva fare, infatti la Corte Costituzionale ha ribadito che la rigidità della nostra carta vale anche per le norme dell’Unione Europea, che soccombono dinnanzi ai principi fondamentali della nostra Costituzione (da ultimo sentenza n. 238/14).
Orbene la riforma è un grossolano pasticcio, Lei stesso dice che giustamente il nuovo Senato non ha senso. Infatti, se ci fosse buona fede in chi ha scritto le norme, non ne avrebbe, si sarebbe superato il bicameralismo perfetto e fine della storia.
Invece, egregio Direttore, il senso c’è ed è molto chiaro: creare una seconda Camera di nominati che, ai sensi dell’art. 55 in nuova formulazione, si occupi di “attuare” la normativa dell’Unione Europea.
Per superare la giurisprudenza della Corte Costituzionale, oltre che pensare a controllarla attraverso una nuova legge elettorale, che la consegnerà alla maggioranza artificialmente creata con il premio previsto, si modifica l’art. 117. Ben lungi dall’essere pensata come norma “salva sprechi”, il nuovo 117 pone le basi al ribaltamento della giurisprudenza della Consulta imponendo in Costituzione il rispetto delle norme dell’Unione Europea in ogni esercizio dell’attività legislativa. Visto che con la precedente formulazione (ci si riferiva genericamente al diritto comunitario) non si era riusciti a far cambiare linea alla Consulta, si tenta con la nuova terminologia di vincere la battaglia.
Non pensi a quanto Le scrivo come ad un’ipotesi giuridica di scuola. Perché è una tecnica già attuata con la modifica dell’art. 81 e l’inserimento del pareggio in bilancio in Costituzione. Il bilancio non può venire prima dei diritti fondamentali, lo Stato per tutelarli dovrebbe anche ricorrere, se necessario, ad un suo elemento fondante, la zecca. Il suo diritto all’ultima parola non potrebbe essere intaccato (come recentemente dichiarato anche dall’ex Presidente della Corte Costituzionale Zagrebelsky). Ma dopo il cambio della Costituzione ben due dei nuovi eletti in Corte hanno potuto dire che le pensioni si dovrebbero pagare solo se ci sono i soldi.
Il bilancio ora è davanti ai principi fondamentali o quantomeno è possibile per un Giudice, necessariamente “amico” di certi poteri, avere un argomento tecnico per sostenerlo. Una norma della parte II ha potuto tentare, con parziale successo peraltro, di aggirare il divieto di riforma dei principi fondamentali. Si è compiuto un primo passo verso il superamento della democrazia formale. Sul piano sostanziale, come Lei ben sa e come giustamente ha fatto notare, l’abbiamo invece già persa da tempo.
L’abbiamo persa non per l’inadeguatezza della Costituzione, ma perché la Costituzione non è rispettata in nessun settore. Ma siccome esiste, resta una grave minaccia per il potere.
Il punto cardine della deforma è dunque la rapina della nostra sovranità e non l’abolizione del Senato o la riduzione degli sprechi. Sprechi che poi in macroeconomia, come Lei sa, sono un concetto assai diverso dal comune sentire del termine. Anche i soldi peggio spesi, o rubati, che finiscono nell’economia reale, sono pil. Anzi hanno un effetto moltiplicatore comunque maggiore ad uno. Ergo un euro di spreco, poi speso nei consumi nazionali, è più di un euro di pil, fatto che comporta la riduzione e non già l’aumento del rapporto deficit/pil.
Caro Direttore non cada anche lei nella trappola della propaganda. La deforma “lusinga” su temi certamente caldi, ma ha il solo scopo di asservirci a Bruxelles e alla finanza sul piano esterno. Su quello interno invece l’obiettivo è accentrare il potere del governo affinché non possano più esserci sindaci, province o regioni che contrastino l’Unione, con buona pace anche di un altro principio fondamentale (dunque non emendabile) della Carta, quello dell’art. 5 che impone il più ampio decentramento amministrativo nell’erogazione dei servizi ai cittadini.
Caro Direttore se vuole sarei lieto di approfondire la questione con un commento alla deforma articolo per articolo, anche da pubblicare su Libero.
Con immutata stima.
Avv. Marco Mori”
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Avv. Marco Mori, blog scenari economici, Alternativa per l’Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs
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