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Euro crisis

Calciare il barattolo non è più una soluzione

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Guest post di Francesco Simoncelli da Freedonia e Rischio Calcolato e The Fielder.

 

«Nessun paese […] deve abbandonare la speranza di una valuta sonante. Non è la povertà degli individui e della comunità, non è l’indebitamento nei confronti delle nazioni estere, non sono le condizioni della produzione sfavorevoli, che fanno salire il tasso di cambio, bensì l’inflazione.»

Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit (pp. 251-252)

Sono passati quattro anni dall’inizio (ufficiale) della crisi europea, e sin da allora poco è cambiato. O almeno non in meglio. Ogni conferenza stampa della BCE presentava lo stesso resoconto, con poche variazioni; sembrano ormai dei prestampati con dei puntini di sospensione laddove è cambiato qualche numero o percentuale. Poche cose. Con l’OMT Draghi ha promesso di intervenire nei mercati qualora ce ne fosse stato bisogno, ma al momento i trader si sono fidati delle sue parole e i bond degli stati sono stati trattati come asset di prima qualità. Nonostante Basilea III li consideri davvero tali, il mercato li ha commerciati solo perché in caso di un evento imprevisto la banca centrale sarebbe intervenuta a tamponare le falle. In questo modo è stato più facile sterilizzare il pattume obbligazionario che la BCE aveva accettato come garanzia per i suoi prestiti e cercare di dare un minimo di stabilità alla zona euro. Il problema con questo approccio è stato l’aumento vertiginoso dei debiti pubblici. I PIIGS sono un esempio calzante, dove i vari governi che fanno riferimento a questo acronimo hanno ammassato quantità ingenti di debito pubblico.

Mentre si cerca di spostare sul settore privato il carico di dolore economico dovuto ad un riassestamento degli equilibri dei mercati, i governi si prendono la briga di direzionare nel modo più favorevole possibile (per la loro salute) i cambiamenti all’interno del tessuto economico. Questo vuol dire tassazione vertiginosa per risanare i conti in rosso degli stati e dei privilegiati che si nascondono sotto la loro ala. Le popolazioni europee cercano di vivere nel modo più armonico possibile col mercato, ma la manipolazione centrale interferisce costantemente con questo processo, prolungado oltremodo una ripresa sana. I vari meccanismi di “solidarietà” che hanno accumulato denaro per salvaguardare i vari stati europei in sofferenza non bastano più, ed i tedeschi paiono spazientiti dal ricoprire il ruolo di garanti per le spese folli degli altri.

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Spazientiti al punto da cedere alla verosimile possibilità di dare luce verde ad un QE della BCE. In tutta Europa si levano voci a favore di un abbandono della moneta unica e del ritorno alle divise nazionali smantellate 15 anni fa. Nell’ottica dei popoli europei questa soluzione è l’unica che possa fornire una ripresa economica, ed è l’unica che possa fornire una spinta positiva la mercato del lavoro. In mancanza di una chiara epistemologia, questo è quello che ci becchiamo. In questo modo è facile che il lettore sprovveduto cada vittima delle insensatezze ed imprecisioni propagandate da una classe dirigente affamata di voti. Propagandare sciocchezze è facile. Non richede sforzi intellettivi ingenti. Nel breve termine paga. Ma nel lungo? Ovviamente no, perché la cosa che vogliono i leader politici è riprendere il potere di stampare denaro a tavoletta. Tutto qui? Tutto qui. E’ la risorsa ultima a cui affidarsi quando il resto delle loro menzogne cade sotto il peso delle contraddizioni smascherate dalle forze di mercato. In Italia ha funzionato per molti anni, almeno finché i nodi non sono venuti al pettine e le conseguenze disastrose di un simile agire non stavano venendo a galla. Aderire all’euro per schivare il proiettile fatale ha fatto comodo. Si è potuto calciare il barattolo.

E’ diventato enorme ora.

L’ORIGINE DELLA CRISI EUROPEA

La ricorrenza dei cicli economci è un evento che negli ultimi decenni si è ripetuto sempre più spesso, accumulando nell’ambiente economico una quantità crescente di errori necessitanti di una correzione. Potremmo azzardare la seguente affermazione: la crisi finanziaria che attanaglia l’occidente è iniziata esattamente nel 1971. Recidendo le ultime vestigia del gold standard, la pianificazione monetaria centrale ha spalancato le porte all’incertezza e al caos nel mondo dell’economia, creando confusione nei segnali economici attraverso la sua presunzione di conoscenza. Un ciclo lungo 43 anni, quindi, che ha conosciuto alti e bassi in base alla resilienza ed alla capacità delle forze di mercato di influenzare (seppur parzialmente) l’ambiente economico. In tutto questo tempo abbiamo fatto passi da gigante verso il giorno della resa dei conti, la cui inevitabilità è scandita dalle banche centrali che ormai vanno avanti alla cieca. Hanno sparato tutte le loro cartucce, ora non resta loro che pregare in un miracolo.

Analizziamo, quindi, l’ultima oscillazione del boom/bust che ha portato a questa Grande Recessione. Così come per ogni ciclo econoimco, esso è stato innescato da un’espansione artificiale dell’offerta di denaro (con M3 che ha raggiunto anche picchi annuali del 17%).

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Diversamente dalla FED, la BCE espande l’offerta di denaro accettando i titoli di stato come garanzia per i suoi prestiti. Le banche, sapendo che la BCE accettarà i bond statali come garanzia collaterale, sono molto disponibili ad esporsi al debito pubblico perché una volta ricevuti i prestiti dalla banca centrale potranno espandere il credito. Non solo, ma attraverso la riserva frazionaria posso espandere ulteriormente il credito in mancanza di un sano aumento dei risparmi. Queste azioni inondano l’ambiente economico di nuovo denaro a basso costo, il quale perturba i segnali economici che gli individui sfruttano per impostare le loro decisioni. Questo significa che quei progetti imprenditoriali che prima erano sostanzialmente impraticabili, al nuovo prezzo del denaro diventano “magicamente” praticabili. In questa euforia collettiva le banche commerciali si affrettano ad entrare in possesso di bond statali e a non perdere quote di mercato, mentre gli individui accorrono agli sportelli per accendere nuove linee di credito o comprare qualcosa con un mutuo. Il mercato obbligazionario statale diventa molto liquido spronando altre entità ad entrare in questo trading: fondi d’investimento, fondi pensione, assicurazioni.

A cascata, il nuovo denaro invade l’economia più ampia andando a far aumentare i prezzi al consumo. Crescono le aspettative inflazionistiche, e dato che la BCE cerca di adeguarsi rigorosamente ad un’inflazione dei prezzi di circa il 2%, inizia ad adottare un atteggiamento più restrittivo nei confronti di coloro che chiedono prestiti: inverte l’espansione artificiale del denaro. Cio’ mette pressione ai tassi di interesse facendoli levitare, aumentando di conseguenza il costo del denaro. Nel frattempo, il dinamismo del mercato scopre quegli investimenti improduttivi che erano sembrati praticabili grazie all’atteggiamento accomodante della banca centrale, portandoli ad una fine ingloriosa. Ex-post si scopre che erano attività in bolla. Questo significa che tali investimenti hanno risucchiato risorse e manodopera, andando a creare lavori illusori e che devono essere liquidati. La struttura produttiva ne esce pesantemente distorta. Non solo, anche l’ambiente finanziario viene intaccato dall’euforia del boom, la quale spinge gli investitori a cercare rendimenti decenti in investimenti rischiosi. (La stessa cosa sta accadendo adesso con la bolla delle obbligazioni statali, la quale ha stimolato quella azionaria e adesso sta dirottando banche ed altri trader sui junk bond.) L’azzardo morale cresce e cresce anche il rischio di controparte. Una volta scoppiata la bolla, il valore di quegli asset gonfiati attraverso la stampante monetaria evapora, ma le passività restano.

Le entità più esposte all’attuale crisi finanziaria sono le banche commerciali. I loro bilanci sono disastrati, pieni di crediti inesigibili e sofferenze. Le uniche cose che le hanno tenute a galla sono state le riserve in ecesso fornite dalle banche centrali e la loro riluttanza ad estendere nuovi prestiti. Anch’esse rappresentano investimenti improduttivi e sarebbero dovute fallire nel 2010 allo scoppio della crisi del debito europea, ma il cartello del settore bancario centrale ha un duplice compito: salvaguardare il settore bancario commerciale e lo stato. La BCE, attraverso misure non convenzionali come i due LTRO, ha fornito momentaneamente una boccata d’ossigeno ad entrambi. Ma la mole di errori accumulati da banche e stati va al di là di ogni immaginazione. Il sistema attuale è in lenta cancrena.

Più a lungo verranno tenuti artificialmente in vita, più dreneranno risorse, più ritarderanno la venuta di una ripresa in accordo col mercato. Finché esisterà un settore bancario centrale, è inutile parlare di soluzioni liberali e in accordo col mercato. Sono impossibili da attuare. Chiunque lo faccia nonostante la presenza di un ente centrale manipolatore, o non capisce l’economia di libero mercato o sta mentendo. Non capisce o non vuole ammettere che i prezzi sono solo un mezzo attraverso il quale il mercato coordina le varie azioni degli individui. I prezzi si aggiustano al margine, e nel loro aggiustamento indicano la via per riallocare correttamente le risorse scarse. Se esiste chi puo’ interferire in questo processo, otterremo solamente una dose maggiore di errori ed un processo di pulizia più doloroso. La BCE sta facendo esattamente questo: per permettere la vita ad alcune entità improduttive, sta condannando ad una sofferenza economica infinita il resto degli attori economici. Si cercano soluzioni magiche che possano far scomparire la grandezza mastodontica che sta assumendo il barattolo ad ogni calcio. Non esistono. Perché? Perché non esistono pasti gratis.

Nonostante il sostegno artificiale delle banche centrali, che hanno influenzato i tassi di interesse talmente tanto da farli arrivare quasi allo zero, gli asset di dubbia qualità continuano a deteriorarsi progressivamente spingendo gli stati ad aumentare la spesa pubblica, il debito e la loro ingerenza normativa nel mercato. Perché continuano a deteriorarsi quegli asset nonostante le vagonate di denaro che continuano ad essere riversate in stati e banche commerciali? Perché rappresentano investimenti improduttivi, e come tali dovranno essere liquidati prima o poi. Continuano a drenare ricchezza a loro favore, sfilacciando lentamente il tessuto economico della società. L’inevitabilità di una resa dei conti non è “catastrfisomo,” ma la semplice constatazione di come Herbert Stein avesse ragione quando diceva: “Quando qualcosa non puo’ più andare avanti, si fermerà.”

UN CASO DI STUDIO: LA GRECIA

Nel 1992 venne firmato il Trattato di Maastricht da 12 paesi membri dell’Unione Europea, le cui regole imponevano agli stati firmatari di non sforare un rapporto deficit/PIL del 3% ed un rapporto debitto pubblico/PIL del 60%. Ovviamente queste regole non sono state lontanamente prese in considerazione, e la Grecia è stata in prima linea per superare in ogni modo questo limite. Quando entro’ in vigore la nuova moneta europea, i tassi di cambio erano abbastanza alti e il governo greco doveva fare una scelta: lasciare che i salari calassero per rapportarsi al nuovo equilibrio, o spendere per assistere in ogni modo questi lavoratori. Ma la sua appartenenza all’UE garantiva al governo ellenico una carta per uscire dai guai: l’implicita garanzia che la BCE avrebbe “aggiustato” le cose. I tassi di interesse sul decennale greco, ad esempio, calarono costantemente allineandosi con i rendimenti tedeschi (stessa cosa per l’Italia) veicolando nell’ambiente economico l’illusione che i bond greci fossero tanto buoni come i bund tedeschi. Nonostante la storia obbligazionaria della Grecia fosse piena di default, la sua credibilità creditizia divenne improvvisamente degna di fiducia agli occhi degli investitori internazionali.

Il carry trade fornito da questo ambiente paradossalmente mutato era decisamente invitante per le banche europee. Avrebbero preso in prestito denaro a tassi bassi ed avrebbero acquistato bond greci a tassi più alti; finché la BCE garantiva con la stampante monetaria la vita a questa operazione, la corsa ai bond greci sarebbe continuata. Indebitarsi per i vari stati europei, sempre in necessità di denaro data la loro impossibilità di produrre qualcosa, divenne più semplice ed apparentemente proficuo. Dal punto di vista politico/elettorale sicuramente, dal punto di vista finanziario un po’ meno. Questo incentivava ancora di più il paese ellenico a sprofondare nel debito, avvalorando progressivamente la falsa credenza secondo cui era possibile spendere come se non ci fosse un domani, senza sanzioni negative. In realtà c’erano, solo che non erano visibili.

La monetizzazione del debito greco veniva pagata dagli altri paesi europei fiscalmente più resposanbili, incentivando anch’essi ad aumentare i propri deficit. L’effetto Cantillon dell’operazione faceva aumentare i prezzi in quegli stati che ricevevano il nuovo denaro più avanti nel tempo, creando una situazione in cui il resto d’Europa “sosteneva” la Grecia. Non solo, ma la voracità dello stato, in mancanza di sanzioni negative apprezzabili, era un buco nero che inglobava tutto il pattume con cui avrebbe potuto finanziarsi. Ecco quindi che gli “ingenui” politici greci andarono a stipulare contratti derivati con cui continuare la loro indigestione di denaro facile.

Nonostante all’inizio della crisi europea siano stati incolpati di tutti i mali di questo mondo, i derivati non sono affatto quello strumento finanziario preposto a danneggiare coloro che lo usano. I derivati,  ad esempio, hanno la loro utilità nell’anticipazione imprenditoriale dei prezzi futuri. Già nel XIX secolo i contadini usavano il prezzo future per vendere grano: un flusso di reddito sicuro contro un guadagno/perdita per eventi imprevisti. Il problema si pone quando il mercato sperimenta un’espansione artificiale dell’offerta di moneta che va ad influenzare l’intero panorama economico attraverso una progressiva distorsione dei segnali di mercato. La Grecia, affinché potesse rientrare di parte del debito facendo bella figura davanti a tutta l’Europa, stipulo’ una serie di contratti derivati con banche commerciali. Ad esempio, per ridurre di qualche miliardo il proprio debito pubblico il governo ellenico stipulo’ con Goldman Sachs contratti derivati per scambiare bond esteri con bond nazionali. Il profitto da questo scambio aumentava alla diminuzione del tasso di interesse di riferimento della banca centrale, e data l’espansione dell’offerta monetaria, la Grecia potè magicamente cancellare con un tratto di penna alcuni miliardi del suo debito pubblico.

La banca commerciale americana sembrava aver fatto un regalo al governo ellenico, ma questo venne compensato con un altro contratto derivato (stavolta basato sui tassi di interesse di riferimento della FED). Così, se da un lato il debito greco diventava improvvisamente più sostenibile agli occhi della comunità internazionale, dall’altro veniva peggiorato in segreto (ricordiamoci che i derivati non venivano incorporati nei conti pubblici, come apprendiamo da questo documento a pag. 198) attraverso la sottoscrittura di uno strumento potenzialmente rischioso. Tutti questi sotterfugi finanziari erano orditi per ottenere benefici di breve termine e spenderli a fini clientelari, scaricando sul lungo termine i conti da pagare. Gli artifizi contabili hanno tenuto in vita l’economia greca finché il dinamismo del mercato non ha scoperchiato il vaso di vermi: la Grecia aveva truccato i conti. Qualunque sia lo stratagemma escogitato dai pianificatori centrali, l’efficienza del mercato lo scoprirà sempre prima o poi. Non c’è scampo. Quello che è successo nel 2010 si ripeterà ancora e ancora, ad ogni ricorrenza del ciclo boom/bust.

Goldman non è andata con una pistola dai politici greci e li ha costretti a sottoscrivere contratti incomprensibili ed onerosi, sono stai loro a rivolgersi alla banca commersiale americana e cercare di giocare d’azzardo in modo da soddisfare le regole di Maastricht e non dover far sentire dolore economico alla popolazione per decisioni sbagliate prese in passato. Questa strategia avrebbe acuito i malesseri economici, ma ai dirigenti politici del periodo poco importava. Si sono gettati a capofitto in un mercato che non capivano appieno, incuranti delle conseguenze, facendosi abbindolare da offerte apparentemente proficue che si sarebbero invece trasformate in tagliole finanziare all’aumentare delle manipolazioni delle banche centrali.

UN PUNTO DI SVOLTA

Diversamente dalle credenze popolari e delle opinoni che appaiono sui media mainstream, l’euro è nato e morirà come valuta fiat. Non ha nulla a che fare con un presunto gold standard. Non è un proxy del gold standard. Perché? Perché l’offerta di moneta dell’eurozona può essere espansa arbitrariamente attraverso la cosiddetta politica monetaria. La sola esistenza di questo concetto ci suggerisce come la stampante monetaria possa essere utilizzata per agevolare privilegi a quei soggetti che per primi raggiungono il denaro di nuova creazione. Come vediamo dal seguente grafico, e come è stato illustrato nel secondo paragrafo di questo articolo, l’espansione monetaria artificiale è la causa che ha dato vitsa a questa crisi.

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La maggior parte del denaro utilizzato per salvare il settore bancario commerciale, però, è rimasta parcheggiata presso la banca cetnrale sotto forma di riserve in eccesso. Le banche, infatti, sono restie a prestare e gli individui non si azzuffano per accendere nuovi prestiti. Per questo, il settore bancario commerciale ha guardato altrove per cercare di guadagnare qualcosa: il mercato azionario. Come vediamo da questo grafico i rapporti di leva sono sbalorditivamente elevati.

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Fino ad oggi la politica del calcio al barttolo ha dato i suoi frutti: si è acquistato tempo. Ma è una strategia temporanea, in modo che i banchieri centrali potessero ragionare a mente fredda. Il problema è sempre il solito: il sistema attuale è gravato da troppi errori accumulati dal passsato ed è diventato insostenibile. Qualsiasi altro sotterfugio per ritardare un’inevitabile pulizia del mercato arriverà con un conto da pagare sempre più salato. E’ per questo che oggi c’è bisogno di ripartire da un punto di partenza a lungo abbandonato. C’è bisogno di ripartire laddove l’onestà del mercato poteva esprimersi senza timori di alcun genere riguardo presunti interventi positivi nel mercato. In breve, c’è bisogno di denaro onesto. L’unica forma di denaro onesto conosciuta ad oggi dall’uomo è solo una: l’oro. C’è bisogno di un maggiore grado di responsabilità nel settore monetario. C’è bisogno di meno incertezza. Il denaro fiat è l’antitesi di qualsiasi crescita economica sana in accordo con le forze di mercato.

Il cammino sarà arduo e impervio, ma non solo è necessario, è inevitabile. Sono le forze di mercato che ci spingono verso questa direzione. Sono le scelte apparentemente sopite degli attori di mercato che incitano un ritorno al denaro onesto. Il ritorno all’oro è solo un punto di partenza, l’elisir verso la prosperità può essere solo e soltanto uno: laissez-faire. Niente più trasferimenti di ricchezza arbitrari, niente più inflazione fuori controllo, niente monetizzazione del debito. Lo stato tornerebbe ad essere limitato, elemosinando le risorse qualora volesse spendere i proventi che incamera. Di solito, però, la possibilità di un ritorno al gold standard viene sminuita avanzando critiche relative alla cosiddetta bilancia dei pagamenti. Si pensa che qualora ci si trovi di fronte ad una “sopravvalutazione” di una valuta, questa dovrebbe essere deprezzata per far tornare appetibile le sue esportazioni e ridurre di conseguenza eventuali deficit della bilancia commerciale.

Se si vuole un’analisi superficiale, il lettore può accontentarsi della suddetta affermazione. Ma finirebbe in errore. In primo luogo, dire che una valuta è spravvalutata o sottovalutata non significa nulla. Sarebbe come dire che le mele sono sopravvalutate rispetto alle pere. Sono trucchi semantici per intorbidire il pensiero di lettori ignari (in mancanza di una chiara epistemologia ci becchiamo questo purtroppo). Il tasso di cambio, come qualsiasi altro prezzo, veicola informazioni in base alle quali gli attori economici poi prenderanno le proprie decisioni. In secondo luogo, una bilancia commerciale in negativo è risanabile anche se una certa nazione sta utilizzando come denaro monete d’oro. Se, ad esempio, l’Italia spendesse di più per acquisti esteri, la quantità di oro fisico nelle mani della popolazione italiana diminuirebbe e andrebbe nelle mani di quelle nazioni in cui viene speso, diciamo la Francia. Allo stesso tempo, dato che gli italiani stanno spendendo oro per acquistare prodotti francesi, quelli in patria vedrebbero diminuire i loro prezzi. Al contrario, aumenterebbero quelli francesi dato il flusso di oro che gli italiani stanno inviando oltralpe. Ceteris paribus, quindi, l’Italia sarebbe progressivamente in grado di offrire all’estero prodotti a buon mercato (spingendo quindi le esportazioni), mentre la Francia sarebbe in grado di acquistare più prodotti esteri (spingendo quindi le improtazioni).

Il flusso commerciale si invertirebbe, arrestando il deflusso di oro che esce dall’Italia. Questo meccanismo venne definito da David Hume come price-specie flow. Mercantilisti e keynesiani spesso attaccano questo concetto, credendo erroneamente che un ribilanciamento commerciale debba passare per forza attraverso un deprezzamento della valuta. Demonizzano, quindi, l’oro perché rappresenta una moneta difficilemnte manipolabile arbitrariamente. Quello che ignorano, però, è che la bilancia commerciale non è dipendente da esportazioni e importazioni, perché questo è quello che si vede. Quello che non si vede è che il volume commerciale è totalmente dipendente dai prezzi. Il commercio tra due nazioni viene reso proficuo dalle differenze dei prezzi.

CONCLUSIONE

Lasciate morire l’euro, così come qualsiasi altra valuta fiat. Prima accadrà, meglio sarà.

 

 


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