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Scienza

Biocomputer: quando il “chip” è fatto di neuroni umani. Efficienza estrema o incubo etico?

Biocomputer: i primi PC fatti di neuroni umani sono realtà. Efficienza record, ma è allarme etico.

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Mentre il mondo si interroga sui consumi energetici mostruosi dell’Intelligenza Artificiale generativa, nei laboratori di mezzo mondo si sta profilando una soluzione che sembra uscita da un romanzo cyberpunk, ma che è terribilmente reale: l’uso di cellule cerebrali umane come hardware.

Dimenticate il silicio per un attimo. La nuova frontiera si chiama Biocomputing. L’idea di fondo è brutalmente efficiente: perché cercare di emulare il cervello umano con supercomputer che consumano quanto una piccola città, quando possiamo usare direttamente la “materia prima” biologica?

L’efficienza imbattibile della natura

Il problema economico e fisico è semplice.

  • Il cervello umano opera con meno di 20 watt di potenza per eseguire miliardi di operazioni.
  • I supercomputer attuali, per avvicinarsi a quella capacità di calcolo, richiedono megawatt di energia (milioni di volte di più).

La risposta della scienza è l’Organoid Intelligence (OI). Non parliamo di cervelli in vasca stile film horror anni ’50, ma di organoidi: grumi tridimensionali di neuroni coltivati in laboratorio a partire da cellule staminali, connessi a elettrodi che fungono da interfaccia di input/output.1

Cosa sanno fare oggi?

Non aspettatevi che questi “grumi” scrivano la Divina Commedia domani mattina, ma i risultati sono già tangibili e superano la pura teoria:

  • Pong: La società australiana Cortical Labs ha dimostrato nel 2022 che questi neuroni possono imparare a giocare al videogioco Pong.
  • Riconoscimento Vocale: Il sistema “Brainoware” ha mostrato capacità base di riconoscimento vocale.3
  • Lettura Braille: Ad agosto, un team dell‘Università di Bristol ha utilizzato organoidi per riconoscere lettere Braille.

Ecco un rapido confronto tra le due tecnologie:

CaratteristicaComputing al SilicioBiocomputing (Organoidi)
MaterialeTransistor in SilicioNeuroni umani vivi
Consumo EnergeticoAltissimo (Megawatt)Irrisorio (< 20 Watt)
ApprendimentoRigidità algoritmicaPlasticità (adattamento)
Stato attualeMaturo e diffusoPrototipale / Sperimentale

La corsa all’oro (biologico)

Come sempre, dove c’è potenziale tecnologico, arrivano i capitali. Il Venture Capital, annusando i limiti fisici della Legge di Moore e i costi dell’energia, sta iniziando a finanziare tutto ciò che è “adiacente all’AI”.

Aziende come la svizzera FinalSpark offrono già accesso remoto a “bioprocessori” viventi, mentre la citata Cortical Labs lavora al CL1, un biocomputer desktop. Le ambizioni accademiche non sono da meno: l’UC San Diego propone di usare questi sistemi per modelli predittivi complessi, come le maree nere in Amazzonia, entro il 2028.

Il dilemma etico: “Senzienza” o Calcolo?

Qui si entra nel campo minato. La tecnologia corre, la regolamentazione – come spesso accade – arranca.

Fino ad oggi, gli organoidi erano usati per test farmacologici (sostituendo i modelli animali, un risvolto positivo). Ma trasformarli in processori apre scenari inquietanti.

Il termine “Senzienza incarnata”, usato incautamente da alcuni ricercatori, ha fatto storcere il naso a molti neuroscienziati. Sebbene gli esperti concordino che attualmente non c’è alcuna coscienza in questi ammassi cellulari (rispondono agli stimoli, non “pensano” nel senso cartesiano), il confine è labile.

I problemi aperti sono enormi:

  1. Status morale: Se questi sistemi dovessero sviluppare forme complesse di attività cognitiva, avrebbero diritti?
  2. Consenso: Le cellule staminali provengono da donatori umani. Hanno acconsentito a diventare parte di un computer?
  3. Vuoto normativo: I protocolli etici attuali considerano questi tessuti come materiale biomedico, non come macchine da calcolo.

Siamo di fronte a una classica bolla speculativa tech o a una rivoluzione keynesiana dell’efficienza reale? Probabilmente siamo in quella zona grigia dove la scienza promette miracoli e l’etica cerca disperatamente di tirare il freno a mano.

Domande e risposte

Questi “computer viventi” sono coscienti o provano dolore?

Al momento, la risposta della comunità scientifica è un netto no. Gli organoidi cerebrali attuali mostrano attività neurale e capacità di risposta agli stimoli (come nel gioco Pong), ma mancano della complessità strutturale, delle connessioni sensoriali e dell’architettura necessaria per la coscienza o la sofferenza. Tuttavia, man mano che questi sistemi diventeranno più complessi e interconnessi, la questione diventerà il punto centrale del dibattito etico e normativo.

Perché investire in neuroni quando abbiamo chip potentissimi?

La motivazione è puramente economica ed energetica. Il cervello umano è la macchina più efficiente esistente: un supercomputer al silicio richiede milioni di volte più energia per eguagliare la velocità di calcolo del cervello (che funziona con l’energia di una lampadina fioca). In un mondo affamato di potenza di calcolo per l’AI, ma limitato dalle risorse energetiche, la “biologia” offre un rapporto costi-benefici teoricamente imbattibile.

Esistono già leggi che regolano l’uso di cellule umane come computer?

Attualmente esiste un vuoto normativo preoccupante. Le linee guida etiche esistenti sono state scritte pensando agli organoidi come strumenti per la ricerca medica (es. testare farmaci o studiare malattie), non come componenti hardware per l’industria informatica. I ricercatori stessi stanno chiedendo a gran voce nuovi framework etici prima che la commercializzazione sfugga di mano, specialmente considerando l’ingresso di capitali privati nel settore.

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