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Banche Venete. Prestiti allegri e controlli indulgenti.

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E’ la storia dell’ennesimo fallimento bancario, con annesso salvataggio statale, un fenomeno per nulla nuovo nel sistema finanziario internazionale odierno. Solo qualche settimane fa il caso omologo di Banco Popular, acquisito anch’esso al prezzo simbolico di un euro da Banco Santander. Ma, al di là del prezzo figurativo comune, la differenza è sostanziale: mentre Banco Santander ha rilevato in toto le attività della banca fallita, compresi i crediti inesigibili, Banca Intesa selezionerà le attività che vuole acquistare di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.

Come spiega il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con il provvedimento tempestivamente approvato dal Governo che dà via al piano di salvataggio, verranno a crearsi due istituti, una “bad bank” e una “good bank”. La parte “buona” è stata dunque offerta a Banca Intesa, mentre la parte “cattiva”, ossia quella tossica, comprensiva delle sofferenze e dei crediti deteriorati, sarà a gestione statale, con un impegno economico complessivo di 17 miliardi, di cui 5,2 stanziati immediatamente dalla Stato. D’altronde, assicura Padoan, “non c’erano alternative, solo spezzatino”. Più morbide le parole del premier Gentiloni nel mostrare il pieno appoggio a un provvedimento che permetterebbe di “risanare il sistema in un momento in cui il suo stato di salute è cruciale per la ripresa” e di evitare un “fallimento disordinato”.

Con il piano messo in atto verranno salvaguardati sia i lavoratori delle due banche, che saranno così assorbiti nel personale del gruppo Banca Intesa (nata dalla recente fusione di San Paolo e Banca Intesa), che i correntisti – spergiurato il caso di bail-in – e gli stessi creditori senior.

Ma come si è creata la voragine di bilancio che ha portato al fallimento dei due istituti veneti?

Le 340 pagine dell’atto di citazione depositate al Tribunale di Venezia dai legali della Banca Popolare di Vicenza contengono una ricostruzione dei tanti esempi di mala gestione perpetrati dall’istituto nel tempo.

A partire dallo sciagurato investimento di 350 milioni in tre fondi lussemburghesi, con investimenti in titoli illiquidi e ad alto rischio, in gran parte bond emessi da clienti già fortemente esposti con la banca e a basso merito creditizio. Per non parlare della politica dei prestiti allegri, di cui hanno usufruito non solo clienti d’eccezione con scarsa capacità di solvibilità, ma le stesse società che fanno capo a Zonin, attivo in particolare sul settore vinicolo. Ancora nel 2016, nonostante l’evidenza del disastro finanziario in cui versava l’istituto veneto, il suo patron ha attinto per i propri affari ben 48 milioni di euro.

Abile e lungimirante è stata la politica di scelta dei vertici messa in atto dal presidente Zonin. A capo dell’Audit della banca Luigi Amore, il funzionario della Vigilanza di via Nazionale, che ha firmato la prima verifica di Bankitalia del 2001. Assunto come addetto della Segreteria generale dell’istituto, lo stesso ruolo che aveva ricoperto in Banca d’Italia, Mario Sommella. Alle relazioni istituzionali Gianandrea Falchi, già membro della segreteria sempre di Bankitalia. Una selezione del personale direttivo a dir poco oculata!

Non è stato altrettanto avveduto il patron di Veneto Banca, Consoli, anch’egli al comando dell’istituto veneto per un ventennio, ma finito dritto in galera nell’agosto scorso, per ostacolo alle autorità di vigilanza e aggiotaggio.

A portare la gemella veneta al disastro, un’analoga dissennata gestione, della cui politica dei prestiti facili hanno beneficiato sia grandi gruppi aziendali, tra cui Alitalia, il gruppo Boscolo, l’Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, che esponenti politici, tra cui l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan che Denis Verdini, che dalla banca già in dissesto finanziario ottenne nel 2012 un fido milionario per i debiti delle sue società editoriali e immobiliari.

Un ventennio di politiche allegre e spregiudicate  hanno portato al disastro finanziario le due banche venete, con il complice silenzio assenso di controllori e vigilanti istituzionali.

Ora è arrivato il conto: 17 milardi. A pagarlo, checchè ne dicano i nostri politici e malgrado la propaganda della rassicurazione, saranno ancora una volta i cittadini. Come già successo con i fallimenti delle banche greche, ma anche delle “virtuose” tedesche, verrà messo in scena l’ennesimo atto della trama neoliberista: “mascherare la crisi da debito privato delle banche come una crisi da debito pubblico degli Stati.” (Luciano Gallino docet).

D’altronde, come ha ammesso lo stesso Barroso, la UE ha già speso ben 4 trilioni di euro per salvare gli istituti finanziari europei. E’ il finanzcapitalismo, il nuovo socialismo per i ricchi.

 

Ilaria Bifarini


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