Attualità
Le smart cities anticipano il prossimo attacco finanziario alla proprietà privata?
La società futura sarà intelligente? Dove risiederà questa intelligenza: all’interno o all’esterno del perimetro delle città smart? Sarà un mondo in cui gli esseri umani convivranno in armonia con il proprio ambiente o saranno costretti a conformarsi ai parametri imposti nelle smart city, adattandosi a un ambiente artificiale progettato dai creatori di una vita regolata e senza intoppi?
C’è in atto una attacco finanziario alla proprietà privata? Le smart city ne sono un modello che verrà replicato anche nelle zone periferiche?
Dopo aver riflettuto sul futuro dell’umanità, sull’impatto del mercato e della tecnologia sulle democrazie, sul progressivo passaggio di controllo dalle persone alle macchine e sul beneficio che ne trarrà il mercato moderno, è importante esaminare il paesaggio che ci attende.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un notevole fenomeno di riqualificazione delle zone urbane. In Italia, ciò è stato evidente con la rinascita di aree abbandonate ai margini di Milano, dove è sorta l’Expo. Mentre scriviamo il piano di restauro degli edifici pubblici e privati, seguiamo le direttive dell’Unione Europea. Questa ristrutturazione energetica è sostenuta dal PNRR e dal Superbonus, di cui abbiamo recentemente analizzato gli effetti economici iniziali.
Per molti, la riqualificazione degli immobili sembra essere un inganno, specialmente nelle grandi città, poiché sembra aver portato all’emarginazione letterale degli abitanti locali, spingendoli a lasciare i centri urbani. Questo fenomeno è iniziato nelle metropoli più rinomate che si sfidano per ottenere il titolo di polo culturale e turistico di riferimento.
Arte, cultura, inclusione e innovazione sono i pilastri su cui si basa la reputazione di ciascuna di esse rispetto alle altre.
In passato, si faceva riferimento a New York e Londra, per poi spostarsi su Parigi. Successivamente, Barcellona, Milano, Berlino, eccetera, hanno preso il testimone in questa corsa, che si è estesa anche in Oriente includendo Hong Kong e Taiwan. La riqualificazione mira a accogliere cittadini cosmopoliti e a spingere fuori i proprietari di case.
La riqualificazione serve a fare posto a cittadini cosmopoliti
e a sbattere fuori i proprietari di casa
Questa visione della competizione, passata dall’industrializzazione alla dimensione culturale, ha dato luogo a grandi progetti, sia pubblici che privati, caratterizzati da edifici sempre più alti che miravano a creare skylines competitivi tra le capitali globali. L’attenzione si è concentrata sull’attrattività per i cittadini cosmopoliti, ponendo l’accento sull’inclusione e l’accoglienza tra individui provenienti da diverse parti del mondo. Questa idea è più facilmente realizzabile con cittadini che non hanno radici profonde nella città e quindi mancano di una memoria tangibile delle tradizioni e delle vecchie abitudini. Più recentemente, l’attenzione si è spostata verso la sostenibilità, costruendo una narrazione basata su diverse ideologie che hanno descritto le necessità delle nuove popolazioni.
Inoltre, l’influenza della globalizzazione e l’implementazione di normative intelligenti, come ad esempio le città accessibili solo a veicoli elettrici o percorribili in 30 minuti, che favoriscono l’acquisto online, hanno contribuito allo spopolamento progressivo dei centri urbani.
In questo contesto, l’attenzione all’abbellimento attraverso il design e l’ambiente ha reso i centri urbani attraenti per il cittadino moderno. Tuttavia, ciò ha comportato un aumento significativo del valore degli immobili, influenzando così la sostenibilità economica, persino per i proprietari stessi, portando al deflusso dei residenti e alla chiusura dei piccoli esercizi commerciali locali.
Resilienza vs appartenenza
Questa trasformazione ha avuto un impatto considerevole sulle case popolari, abitate in passato da giovani, studenti, nuovi lavoratori o anziani, rappresentando un legame con un passato considerato obsoleto.
In breve tempo, ci siamo ritrovati con centri urbani o intere aree diventate inaccessibili per coloro con redditi medio-bassi, persone che un tempo vi abitavano, lavoravano e contribuivano alla produzione locale.
In definitiva, questi centri urbani e aree, in cui la produzione sta diventando un ricordo del passato, non sono più concepiti per i loro abitanti, ma piuttosto per accogliere turisti o lavoratori temporanei, nonché istituzioni finanziarie che spostano interi settori oltre confini geografici.
Sono proprio queste istituzioni finanziarie a diffondere nel tessuto sociale idee basate su un’errata interpretazione (e talvolta distorsione) del concetto di resilienza attraverso i propri centri di ricerca.
La competizione tra le capitali sta forse trasformandosi in uno scontro tra regioni geografiche?
Oggi, dopo aver “ripulito” il terreno dai proprietari di casa impossibilitati a reggere il costo di questo cambiamento, i grandi gruppi di investimento avanzano per accaparrarsi questi luoghi destinati a diventare protagonisti. Saranno i futuri teatri del mondo, dove l’alta finanza richiederà spazi per ricollocare le proprie sedi, mentre dipendenti e cittadini cosmopoliti vivranno nuove esperienze culturali senza aver bisogno di altro rispetto a ciò che già si trova all’interno delle smart cities.
Non da ultimo, Milano ha vinto la competizione con altre città del Nord per il titolo di presunta capitale d’Italia. È qui che la Borsa di Londra ha spostato la sua filiale dopo aver acquisito vaste proprietà per ospitare le nuove sedi. È proprio qui che il progetto Citylife sta per essere completato, con l’avvio del cantiere di Citywave che si concluderà nel 2025. Fa parte del progetto di riqualificazione urbana promosso dal dipartimento Real Estate del gruppo assicurativo Generali.
Nel frattempo, la trasformazione delle città in destinazioni esclusive ha aperto un’altra possibilità: diventare prede dei turisti avidi.
Le piattaforme di prenotazione online come Booking e Airbnb fungono da intermediari per le residenze evacuate, per accogliere flussi turistici temporanei o professionisti freelance del digitale, della moda e delle finanze.
Tuttavia, emergono reazioni a questa lenta trasformazione.
A Barcellona, i cittadini hanno protestato e ottenuto limitazioni sui flussi turistici, cercando di controbilanciare gli interessi di Booking, Airbnb e simili. A Berlino, la popolazione ha ripreso possesso dell’antico aeroporto militare destinato a diventare un quartiere esclusivo, riuscendo a trasformarlo in un parco pubblico. A Londra, attivisti stanno smantellando le videocamere di sorveglianza disseminate in vari luoghi. In tutta la Francia, si sta combattendo contro gli ultimi sussulti delle logiche globaliste, che hanno resistito e mutato insieme al virus e alla pandemia.
La divisione in quartieri-città e zone produttive
Nonostante la narrazione, plasmata e finanziata dai filantropi-capitalisti che guidano questo processo, dipinga un mondo più pulito e inclusivo, la realtà è che il potere finanziario di queste élite ha semplicemente spostato le produzioni (e di conseguenza lo smog) nelle periferie del mondo, incrementando notevolmente le emissioni nocive necessarie per creare il nuovo set cinematografico in cui si svolgerà la vita del futuro. Il capitale ha spostato le popolazioni locali verso le periferie, dove un tempo si produceva, ma oggi non più. Quindi, quegli abitanti non sono più necessari. Sono richiesti nuovi individui, adatti all’interazione con il nuovo progetto di urbanizzazione intelligente.
E così, in un sol colpo, le brutture dell’inquinamento e delle società tradizionali sono scomparse. Dal punto di vista dei filantropi-capitalisti, ci sono due svantaggi, ognuno per ragioni diverse.
Tuttavia, lo scopo è rimasto lo stesso: far sparire dalla vista il vecchio sistema e far emergere un nuovo ordine, mantenendo intatto il processo di estrazione della ricchezza. Estrazione di ricchezza anziché diffusione, facendolo sembrare un effetto determinato dalla selezione naturale. O, se preferiamo, un risultato della nuova sensibilità delle masse.
Telecamere, accessi selezionati, riduzione delle emissioni nocive… appartamenti del valore di 200 milioni di euro… Ecco come il cambiamento viene presentato come una benedizione, perché ancora una volta il mercato ha saputo interpretare le richieste delle persone… ci diranno; al punto da farlo sembrare l’unica via possibile e inevitabile.
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There is no alternative” T.I.N.A.
All’interno del progetto liberista, ideologicamente promosso dalla Scuola di Chicago e attuato da Reagan e Thatcher, questa dichiarazione ci spinge a credere che non ci siano soluzioni praticabili alternative.
In passato, questa convinzione si basava sulla preoccupazione per la sostenibilità delle finanze pubbliche (e sulla mercificazione dei servizi pubblici).
Oggi, sfrutta il senso di colpa nei confronti dell’ambiente e l’ansia per i cambiamenti climatici. Nonostante questa strada ci abbia condotto qui, durante il percorso abbiamo visto chiaramente che ci sono alternative, e che queste sono persino più vantaggiose per tutti.
Il boom italiano degli anni ’50 e ’60 ne è una prova tangibile.
Tuttavia, nonostante esistano esperienze che dimostrano l’esistenza di alternative, queste vengono considerate impossibili su base ideologica, poiché il corso delineato dai poteri finanziari deve portare le società a conformarsi a quello che gli è più congeniale.
Sembra che vogliano ottimizzare a tutti i costi i processi umani. Nel quadro del progetto “smart”, diventa importante quanto l’ottimizzazione della produzione non lo fosse in passato.
In pochi casi, l’azione collettiva è riuscita a ostacolare questo fenomeno, grazie alla consapevolezza che le città devono essere luoghi in cui si ristabilisce l’equilibrio di potere tra la massa e i poteri finanziari. Dove questa consapevolezza manca, i “poteri forti” hanno vita facile nel determinare nuove priorità e nuovi modelli di società flessibili e facilmente modellabili.
Ma tutto ciò è davvero inevitabile o possiamo invertire questa direzione? Berlino, Barcellona, Londra e la Francia dimostrano che è possibile.
Dove sarà situata la società intelligente del futuro?
Le trasformazioni delle aree urbane, inizialmente orientate verso la riqualificazione, si sono invece tradotte nella creazione di spazi esclusivi riservati ai più abbienti, inaccessibili per la maggior parte delle persone a basso reddito. È prevedibile che almeno in Italia si verifichi una netta divisione tra i centri urbani e le zone rurali o di provincia.
Da un lato, vedremo le nuove generazioni a basso reddito, essenziali per l’economia delle smart cities, inclini o persino costretti a condividere spazi abitativi e mezzi di trasporto. Si tratta di lavoratori come i riders e i fattorini, al servizio delle classi elitari di cui sopra.
Dall’altro lato, ci saranno cittadini legati alla proprietà privata, essenziale per la mobilità e la vita quotidiana. Si tratta delle zone rurali e produttive, o di aree isolate e difficilmente adattabili all’approccio “smart”, come località montane o borghi difficili da cablare, e così via.
È plausibile pensare che in queste località i proprietari continueranno a vivere nelle loro case o le affitteranno a coloro che intendono stabilirsi. Questo sarà diverso dai grandi centri urbani, dove è probabile che si instauri un’abitudine alla precarietà, vista in modo positivo e associata al concetto di libertà. Libertà di cambiare residenza, lavoro e ambiente – come se queste opzioni non fossero già possibili oggi. Questa forma di precarietà “positiva” comporterà anche un continuo ricambio di persone.
In questa prospettiva, è probabile che le aree produttive, incentrate sulla manifattura, saranno spostate principalmente in provincia e nelle periferie, lontano dalle smart cities, a meno che non siano funzionali al progetto globale.
Per definizione, un lavoratore “di passaggio” non giustifica l’investimento nella sua formazione se questo non porterà benefici all’azienda che lo ha formato. A differenza dei liberi professionisti remunerati che operano nel settore finanziario, della moda, ecc., soggetti a un frequente ricambio, il dipendente nell’industria riceve una formazione che non è compatibile con il ricambio. Se ciò avvenisse, l’azienda non trarrebbe alcun vantaggio dall’investire nella formazione del personale. Se lo facesse, tutti gli investimenti in formazione e trasferimento di know-how andrebbero a vantaggio dei concorrenti.
Possiamo aspettarci due società parallele?
È plausibile immaginare una situazione in cui avremo lavoratori altamente specializzati nel settore finanziario nelle smart cities, mentre nelle periferie avremo lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Le smart cities diventeranno enclavi fortificate, sorvegliate, circondate da un mondo che procede a un ritmo più lento?
E in tal caso, quale dei due gruppi produrrà il PIL necessario alla produzione dei servizi?
Avremo società finanziarie con sedi nei paradisi fiscali, che non pagano le tasse, ma con i loro investimenti in titoli pubblici decidono se l’Italia avrà fondi sufficienti per mantenere aperti ospedali e scuole? I loro tecnici, altamente retribuiti, senza residenza fissa e con la residenza all’estero, o il peso ricadrà tutto sul secondo gruppo?
Anche qui, la teoria ultraliberista radicata nelle idee della Scuola Austriaca di Von Hayek e dei suoi svela il percorso futuro. Per i libertari, lo Stato dovrebbe occuparsi solo dei servizi essenziali e tutto il resto dovrebbe essere privatizzato. Nel frattempo, lo Stato dovrebbe continuare a chiedere soldi in prestito ai mercati, rimanendo sotto il loro controllo.
In questo quadro rientrano anche le smart cities. Spesso vengono realizzate attraverso il project financing (cioè a spese del contribuente, ma a beneficio del privato). L’accesso sarà consentito solo ai ricchi che possono permettersi appartamenti milionari?
I proprietari di casa rischiano di essere espropriati?
Così, mentre va di moda parlare di reddito di cittadinanza, il salario MINIMO e reddito universale, che di fatto certificano l’impoverimento degli italiani, i cui salari sono fermi da 30 anni; a chi ancora potrebbe ambire a comprare casa o a conservare la propria non si prospettano tempi migliori.
Cosa accadrà alle campagne e alle zone rurali? Saranno risparmiate a causa del costo elevato che comporterebbe la loro trasformazione in questo tipo di modello? Saranno coinvolte anche loro, dopo aver reso impossibile ai residenti sostenere i mutui, a causa dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della BCE, della proposta dell’OCSE di aumentare le tasse sulle case e dell’adeguamento alle nuove norme europee sull’ambiente?
Anche le zone rurali verranno coinvolte dalla legge dell’esproprio per mano dei fondi di investimento, che hanno il potere finanziario di acquistare a basso costo le nostre abitazioni svalutate a causa della classe energetica, per poi rivenderle o affittarle a un prezzo elevato, una volta riportate a norma?
C’è in atto una guerra alla proprietà privata?
Con una visione più ampia, persino il Superbonus del 110% – oggetto di polemiche e critiche – assume ora un significato completamente diverso. Nel bene comune, dovremmo essere in grado di superare reazioni superficiali e istintive. Indipendentemente dalle posizioni favorevoli o contrarie e dalle possibilità di migliorare o modificare questo tipo di intervento economico pubblico, dovremmo essere in grado di fare considerazioni di carattere sociologico.
È più vantaggioso che lo Stato aiuti i cittadini a conservare la propria casa o dovremmo sperare che sia il mercato filantro-capitalista a intervenire nella nostra vita domestica, magari acquistando le case che non possiamo più permetterci per poi darcele in affitto dopo averle adattate ai nuovi rigorosi parametri?
Sta a noi decidere se riqualificare il territorio tramite l’intervento dello Stato a beneficio della comunità. L’alternativa è cedere questa “proprietà pubblica/comune” al privato, affinché la trasformi in un ambiente a cui dovremo inevitabilmente adattarci.
La società intelligente sarà confinata nelle smart cities o sarà quella che rimarrà emarginata?
Ognuno di noi e il tempo determineranno quale delle due realtà prevarrà.
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