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Acconto IRPEF: un’ingiustizia da stato comunista

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Fra una settimana milioni di italiani saranno costretti a versare le tasse su un utile che, probabilmente, non hanno conseguito e non conseguiranno. L’Italia è uno dei pochi casi in cui non si versa sul reddito conseguito, ma si versano quelle dell’anno successivo su un’ipotesi di reddito tutta da verificare. Altro che imposizione su reddito prevista dalla Costituzione!

La barbarie dell'”Acconto al 100%” sulle imposte non poteva che essere la creazione di un periodo storico in cui i Partito Comunista garantiva l’appoggio esterno con il “Compromesso storico”. La prima versione venne introdotta dal governo Andreotti nel 1977, proprio quando il PCI aveva un’influenza diretta sulla politica  e vedeva i percettori di reddito autonomi come nemici del popolo. L’art. della Legge 97/197 recitava: “A decorrere dall’anno 1977 i contribuenti soggetti all’IRPEF o all’IRPEG devono versare nel mese di novembre di ciascun anno, a titolo di acconto dell’imposta dovuta per il periodo d’imposta in corso, un importo pari al 75 per cento dell’imposta relativa al periodo precedente, come indicata, al netto delle detrazioni e dei crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto, nella dichiarazione dei redditi presentata per il periodo stesso. Se per il periodo precedente è stata omessa la dichiarazione, l’acconto è commisurato al 75 per cento dell’imposta corrispondente al reddito complessivo che avrebbe dovuto essere dichiarato, al netto delle detrazioni e crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto”.

Bisogna dire che l’imposizione fiscale era ben diversa allora rispetto a ora:

L’imposizione diretta pesava per circa il 4% del PIL in quegli anni e l’acconto era circa del 75%. Quindi passò, tutto sommato, quasi inosservato soprattutto in un momento in cui da un lato si era nell’ultima crisi petrolifera, nell’altro comunque i tassi di crescita erano ben diversi dagli attuali

Ora la pressione fiscale diretta è più che doppia, rispetto al PIL, rispetto a quanto fosse nel 1977, la crescita è ben diversa e l’acconto è passato, negli anni ottanta, dal 75% al 100%. L’ipotesi di base del 1977, che i redditi crescessero sempre, per cui fosse possibile comunque avere sempre dei forti acconti su tasse che, comunque, sarebbero cresciute è finito. I lavoratori autonomi sono spesso i nuovi poveri, senza garanzie, e obbligati a periodici prelievi non collegati dal reddito. Anche la salvaguardia che esclude il versamento dell’acconto a fronte di un calo del reddito almeno del 40% è complessa e comunque non ripara da cali del reddito comunque consistenti: se un’azienda o un privato prevede un calo del 30% comunque si troverà a pagare acconti sproporzionati. Tutto questo a fronte di un sistema bancario sempre più avaro, soprattutto in preparazione dell’applicazione dei criteri di Basilea 4.

Sarebbe giusto, per una correttezza sociale generale, abbandonare questo residuo di un passato lontano, sostituendolo eventualmente con versamenti volontari, incentivati, o con un regime di versamenti mensili presuntivi nell’anno di percezione del reddito stesso. Invece, fra una settimana, molte aziende e privati andranno in crisi di liquidità, il tutto per aiutare uno stato che, spesso, si dimentica di loro.

 

 

 


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