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ZAC! IL PRESIDENTE ERDOGAN ATTIVA LA POLITICA MONETARIA DELLA TURCHIA, E DA’ NUOVO IMPULSO ALL’ECONOMIA. L’ITALIA DOVREBBE IMPARARE! (di Marco Minossi)

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A supporters of Turkish President Tayyip Erdogan holds his picture in front of a Turkish flag, in front of Turkey’s ruling AK Party (AKP) headquarters in Istanbul,Turkey, June 24, 2018. REUTERS/Goran Tomasevic TPX IMAGES OF THE DAY

 

Lo aveva assicurato esattamente un anno fa, “Dio è con noi”, che significa esattamente quell’ “Aiùtati, che Dio ti aiuta” che conosciamo anche qui. Il provvedere alla sua gente se l’è accollato egli in pieno.

L’espressione, prima ancora che il leader, del Popolo Turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di ridurre il tasso di interesse di riferimento bancario dal 24% al 19,75%, per imprimere una svolta ad una produzione e a dei consumi, inclusi i piccoli investimenti, che sono vivi e attivi più che mai.

La Turchia, parlo per lavoro corrente e non per analisi macroeconomiche (eccezion fatta per il grafico più sotto riportato), è un’economia autosufficiente in tutto, con livelli qualitativi di avanguardia, in quanto una formazione di prim’ordine internazionale inserisce di continuo giovane e qualificato lavoro tecnico e di concetto nelle imprese.

Tanto per fare il principale degli esempi che posso direttamente constatare, gli internazionalisti turchi sono mediamente i più aggiornati e capaci al mondo, sia manager che professionisti, soprattutto avvocatesse. Sono sempre in grado di applicare al meglio ai contratti aziendali il giusto mix di elementi di common Law, di civili Law europea e di diritto islamico evoluto, che come noto subentra spesso quale imprevisto quando non idoneamente considerato, per di più nella sua caratteristica fondamentale di costituire norma imperativa, cogente, che riconduce a sé ogni differente disposto delle parti.

Per capire l’autosufficienza economico-produttiva, bisogna invece cimentarsi in attività di promozione, e di ricerca mirata di partner commerciali e distributivi per le aziende. Con grande cortesia, umiltà, e senza mancare di un sincero rispetto ed interesse verso l’impresa italiana (al B2B turco interessa molto il made-by, la singola azienda, non il made-in), ti rispondono che quel sistema per l’edilizia, quel componente per l’elettronica, quella soluzione per la costruzione di stampi e per la lavorazione in stampaggio di materie plastiche, di lamiera, o di pressofusione ce l’hanno già – disponibile, collaudata e certificata – e ti mandano con orgoglio i siti internet dei loro fornitori locali, affinché tu possa comprendere. Nella mentalità turca, trasparenza e circolazione delle informazioni sono un must.

Amerebbero tantissimo colmare il gap di desiderio, non proprio di bisogno, che sentono verso le specialità artigianali italiane agroalimentari di nicchia, quelle dalla marcata distintivita’, ma in quel caso ti oppongono la più onesta e vera delle motivazioni: sono mediamente troppo cari per loro, che girando per le fiere mondiali hanno tra l’altro constatato che i listini che vengono proposti ai tedeschi e agli statunitensi sono più bassi, e concedono pagamento dilazionato.

Di converso, i turchi sono i primi fornitori internazionali di pesce di grande qualità, spigole e orate, per il quale hanno costruito un sistema di trasporti di prim’ordine: chiedere al porto di Ancona prima, e a tutta l’Europa poi.

Non ammettono invece troppe discussioni sull’olio extravergine di oliva, rispetto al quale a mio avviso sopravvalutano le proprie produzioni, con un nazionalismo però che, legato a questo simbolo della cultura, a me piace molto.

Bene, ciò premesso, le considerazioni in merito alla spinta del Presidente Erdogan sulla politica monetaria turca sono molteplici, e rispetto a nessuna di esse risulta possibile ignorare un parallelo discorso Italia.

Anzitutto, domandiamoci quanto dell’inflazione presente in Turchia, il cui tasso risulta in ragione del 18,7% al maggio del corrente anno – dato che di per sé fa erronea impressione – è inflazione da costi, quanta è invece “importata”, ed ancora quale quota può essere considerata un sano surriscaldamento “da domanda” dei prezzi, cioè economia che gira.

(Fonte: inflation.eu)

E poi: quanto c’era, in quel 24% di saggio di sconto, come spazio per ingiustificati profitti speculativi per il sistema bancario?

Quanto tempo avrebbe perso il Paese ad attendere che i tassi d’interesse venissero abbassati con la necessaria tempestività, quanto meno se tale decisione fosse rimasta ostaggio dell’ostruzionismo del (rimosso) governatore della Banca Centrale, Murat Cetinkaya? È noto come l’inflazione, per i controllori della politica monetaria negli stati caratterizzati dalla cosiddetta indipendenza della banca centrale, sia il mantra in presenza della quale i tassi tendenzialmente non si toccano, ed in sua quasi-assenza invece si producono abbassamenti millesimali, che servono soltanto a dare la misura dell’asfissia economica, come nell’area euro.

Di riflesso – a livello più generale, di principio – vale anche la pena domandarsi se sia giusto che l’ autorita’ governativa di un paese democratico, quale ad esempio l’Italia e molti altri, sia teoricamente investita della potestà di guidare l’economia (che si chiama, per l’appunto, economia politica), senza il pilastro della politica monetaria, vuoi in quanto decentralizzata a livello sovranazionale, vuoi a causa di quel totem da nessuno mai compreso, quanto sempre acriticamente evocato, che si chiama autonomia dell’istituto di credito centrale.

Sinceramente parlando, io la trasparenza ed il potere del Popolo Sovrano li vedo nel nuovo modello turco di gestione nazionalizzata della banca centrale, a intervento diretto, dall’ impatto economico immediato.

Rintengo fondamentale il primato dello Jus Imperii della Nazione anche e soprattutto nella politica monetaria, rispetto a quello dello Jus Gestionis dei banchieri, che si scherma in autonomia e indipendenza apparenti, per poi perseguire gli interessi particolari e specifici.

Non ravviso certo questi princìpi fondamentali nel modello italiano delle commissioni d’inchiesta ritenute indispensabili prima, e mai seriamente operanti poi, né nelle enunciazioni di nazionalizzazione dell’istituto di riferimento, che vengono ritirate immediatamente e con tante scuse, a seguito di pressioni mai troppo chiare, e quasi si fosse trattato di una gaffe blasfema il volerle istituire.

Né tantomeno, li ravviso nel modello europeo di Francoforte: leggetevi anche l’ultima, recentissima relazione, e capirete come indipendenza faccia rima – in fondo – con evanescenza (di comodo).

Marco Minossi


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