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Euro crisis

Wren Lewis: Perchè l’Eurozona ha un Problema Tedesco

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Da Voci dall’estero

Su Mainly Macro Simon Wren Lewis conferma che il problema europeo non è un problema di stati spendaccioni o di mancate riforme strutturali in tutti i paesi tranne che in Germania. Al contrario, è un problema di repressione dei salari nella sola Germania che ha spiazzato tutti gli altri. Purtroppo molti continuano a vedere la Germania come un modello da seguire invece di risentirsi per quanto accaduto e pretendere una riparazione, come sarebbe giusto fare.
 
 
di Simon Wren Lewis, 26 Ottobre 2014Quando, quasi un anno fa, Paul Krugman fece 6 interventi nel giro di 3 giorni che insistevano sulla posizione della Germania riguardo ai problemi macroeconomici dell’eurozona, perfino io pensai che forse stava un po’ esagerando, anche se non c’era nulla in quello che scriveva su cui non fossi d’accordo. Ma visto che la posizione tedesca si è dimostrata intransigente nei confronti dei continui problemi europei, mi sono ritrovato a fare la stessa cosa qualche mese fa (1, 2, 3, 4, 5, 6), anche se a un ritmo un po’ più lento. Ora sembra che tutto il mondo (a parte la Germania ovviamente) dica la stessa cosa: ecco un esempio particolarmente chiaro da Matt O’Brien.
 
Qui non discuterò la macroeconomia, la darò per scontata:

1)    La politica monetaria della BCE è stata decisamente troppo timida dall’inizio della Grande Recessione, in parte a causa dell’influenza dei suoi membri tedeschi.

2)    Ciò, unito all’austerità, ha portato alla seconda recessione europea, e l’austerità continua a essere una palla al piede per la domanda aggregata. Il principale sostenitore dell’austerità è la Germania. 

3)    Praticamente chiunque fuori dalla Germania concorda sul fatto che uno stimolo fiscale nell’eurozona, sotto forma di investimenti pubblici, con un Quantitative Easing (QE) sotto forma di acquisti di debito pubblico da parte della BCE, siano necessari per agevolare una rapida fine di questa seconda recessione (vendere, ad esempio, Guntram Wolff), e il principale ostacolo è il governo tedesco.

La domanda che voglio porre è perché la Germania abbia così successo nel bloccare o rimandare queste misure. A prima vista la risposta è ovvia: la Germania è l’economia dominante dell’eurozona. Ma è troppo facile: il PIL tedesco è meno di un terzo di quello dell’eurozona, mentre quello combinato di Francia, Italia e Spagna è quasi la metà. Può essere che in passato queste tre nazioni non siano riuscite a coordinarsi a sufficienza per opporsi alla Germania, in parte perché la Francia ci tiene molto al rapporto bilaterale franco-tedesco. Ma oggi questo problema non sembra esserci. 
Il mistero rimane finchè continuiamo a considerare queste dispute come questioni di interesse nazionale, anzichè come una battaglia sulle idee. La Germania è in pratica l’unica nell’eurozona a non registrare un grande differenziale negativo tra prodotto effettivo e potenziale, e ad avere una bassa disoccupazione. Perciò, potreste sostenere, non è nell’interesse tedesco permettere all’eurozona di espandere la propria domanda, e di aumentare l’inflazione. Ma la Germania ha ottenuto questa posizione perché ha spiazzato i suoi partner dell’eurozona moderando i propri salari prima del 2007. Se i discorsi politici fossero governati dalla macroeconomia di base, ci sarebbe da aspettarsi da parte di tutti gli altri paesi un grande risentimento per quanto accaduto, e che chiedessero alla Germania di sistemare le cose ripristinando la competitività relativa attraverso una maggiore inflazione.

 

Queste ultime due affermazioni contengono la chiave del mistero. Anche se quasi tutti riconoscono i problemi di competitività interni all’eurozona, quasi nessuno dice che tali problemi sono stati causati dalla politica tedesca. Al contrario, come suggerisce Edward Hughes ad esempio, pensano che “il costo del lavoro tedesco è basso non perché i tedeschi non sono pagati molto, ma perché sono molto produttivi, e alla fin dei conti, nonostante tutte le lamentele sulle partite correnti, questo è il modello di cui gli altri membri dell’eurozona (inclusa la Francia) non solo hanno bisogno, ma sono costretti a seguire: alti salari e alta produttività”. Sospetto che molti sarebbero d’accordo con questo ragionamento.Purtroppo esso non coglie la realtà. Le differenze internazionali di produttività si verificano per molte ragioni, e cambiano con lentezza. I problemi attuali dell’eurozona derivano dal fatto che una nazione – la Germania – ha permesso una crescita dei propri salari nominali molto al di sotto della media del resto dell’eurozona, cosa che ha spiazzato tutti gli altri. (Questo post mostra come la crescita reale dei salari tedeschi sia stata ben al di sotto della crescita della produttività in ciascun anno tra il 2000 e il 2007). All’interno di un’unione monetaria, questa è una politica di “beggar thy neighbour” (fregare i propri partner, ndt)

In altre parole, come suggerisce Simon Tilford, la Germania è vista da molti nell’eurozona come un modello da seguire, anziché come la fonte dei propri attuali problemi (egli suggerisce anche, plausibilmente, che l’influenza tedesca subito dopo il 2010 è stata un riflesso della sua posizione di creditore, ma sostiene che l’importanza di questo fattore ora dovrebbe essere in diminuzione). Naturalmente in termini generali la Germania può avere molte caratteristiche che gli altri paesi a ragione dovrebbero voler emulare, come gli alti livelli di produttività, ma il motivo per cui i suoi interessi nazionali non sono allineati con quelli degli altri partner dell’eurozona è perché tra il 2000 e il 2007 la sua inflazione è stata troppo bassa. Questo di per sé non è una virtù (a prescindere dai motivi giusti o sbagliati che l’hanno causata), e quindi se solo avessero un po’ di senno gli altri membri dell’unione dovrebbero essere molto critici nei confronti della posizione tedesca.

Penso che l’attuale problema dell’eurozona acquisti più senso se ci focalizziamo meno sugli interessi nazionali divergenti e ci concentriamo invece sui punti di vista macroeconomici. La prospettiva tedesca, che vede il problema dell’eurozona in termini di governi spendaccioni e mancanza di “riforme strutturali” al di fuori della Germania, è totalmente inadatta a comprendere l’attuale posizione dell’eurozona. Ciò nonostante è un punto di vista condiviso anche da troppe persone all’esterno della Germania.

Le cose stanno ora cambiando. Come chiarisce questo report della Reuters, le relazioni tra Draghi e la Bundesbank si sono costantemente deteriorate, visto che Draghi inizia a capire la realtà macroeconomica (anche se ho ancora dubbi sull’attuale posizione della BCE, espressi chiaramente in questo discorso di Benoît Cœuré, essa è molto più sensata di qualsiasi cosa venga dalla Bundesbank o dal governo tedesco). Sì, come nota Tilford, non è ancora chiaro se questo significherà un cambiamento significativo delle attuali politiche, o solo qualche piccolo aggiustamento come abbiamo visto finora.
Il tutto potrebbe dipendere dalla posizione di paesi come l’Olanda. Essi hanno sofferto tanto quanto la Francia a seguire le regole fiscali dell’eurozona  per implementare una dannosa contrazione fiscale. Come notano Giulio Mazzolini e Ashoka Mody “per l’Olanda […] meno austerità sarebbe stato sicuramente meglio”. Ma fino ad ora, i politici olandesi (e la banca centrale) sembrano seguire la linea tedesca: questa medicina è per il loro bene.Se riusciranno ad ammettere i propri errori e sostenere una sorta di “grande accordo” che preveda espansione fiscale anziché austerità in tutta l’eurozona, e un vero programma di QE da parte della BCE, allora forse si potrà fare qualche vero passo avanti. Alla fine questo non è il problema tedesco dell’eurozona, ma un problema creato dalla visione macroeconomica che i politici tedeschi hanno deciso di sposare.(Traduzione di Malachia Paperoga)

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