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Crisi

Vizi e Virtu’ del QE della BCE, alla luce del risultato elettorale in Grecia

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Gran bel post da Vincitori e Vinti, di Paolo Cardena’

 
 
 

Come sapete, la scorsa settimana la BCE ha dato il via al suo primo quantitative easing, modificando così il paradigma della politica monetaria all’interno dell’eurozona. Il piano è ampio, ma non privo di elementi di rischio che possono di limitarne gli effetti. 

Molto telegraficamente, l’intervento monetario è articolato come segue:
 
Dal prossimo marzo verranno acquistati 10  miliardi al mese di Abs e covered bond. Inoltre verranno acquistati 50 miliardi al mese di titoli di stato dei paesi europei e titoli delle istituzioni europee. Il 12% di questi acquisti riguarderanno obbligazioni delle istituzioni europee (es Fondo ESM, Bei ecc).
Il piano durerà fino a settembre 2016 e comunque fino a quando  l’inflazione attesa nel medio periodo non avrà raggiunto un target vicino al  2%. Questo rende il piano potenzialmente illimitato. I titoli acquistati avranno una maturità dai 2 ai 30 anni e potranno comprendere anche titoli indicizzati all’inflazione o avere rendimenti negativi.
Gli acquisti avranno comunque dei limiti, poiché non potranno essere effettuati in maniera superiore al 33% per ogni singolo emittente e non più del 25% per ogni singola emissione. Tenuto conto che gli acquisti verranno ripartiti fra i vari paesi in ragione alla quota di partecipazione di ciascuna banca centrale nazionale alla Bce, all’Italia saranno destinati circa 120 miliardi di euro: un’inerzia rispetto ai volumi del debito pubblico.
Tra i principali effetti positivi che potrebbero derivare dal QE, c’è da considerare il fatto che il QE  sosterrà le quotazioni dei mercati azionari e dei bond europei schiacciandone ulteriormente i rendimenti ma, al tempo stesso, verosimilmente, creerà degli effetti distorsivi e pericolosi (bolle) di cui abbiamo già parlato QUI. Effetti che rischiano deflagrare qualora la ripresa della zona euro non dovesse tradursi in sostanziali miglioramenti del quadro macroeconomico e degli utili aziendali, il cui miglioramento è già incorporato (almeno in parte) nelle quotazioni di molte attività finanziarie, soprattutto per via dell’abbondante liquidità presente sui mercati.
Certamente, i rendimenti più bassi dei titoli di stato si rifletteranno in minori costi per interessi a carico degli stati, anche se, sotto questo punto di vista, risultati significativamente apprezzabili si otterranno solo tra qualche anno, quando l’Italia avrà rinnovato buona parte del debito pubblico a tassi molto inferiori rispetto a quelli espressi dall’attuale flottante. Tuttavia molti commentatori sostengono che il rischio sarebbe anche quello derivante da un allentamento delle pressioni esercitate sui governi che potrebbero atteggiamenti più miti nel portare avanti i piani di riforme strutturali. Tra gli effetti positivi del QE c’è da considerare il fatto che la decisione della BCE esercita pressioni al ribasso sul cambio dell’euro, rispetto alla altre valute. 

Le esportazioni rappresentano circa il 44% del PIL della zona euro. Quindi una valuta più debole è molto più importante per la zona euro di quanto lo sia per gli Stati Uniti o in Giappone, dove le esportazioni rappresentano rispettivamente solo il 13% e il 17% del PIL.

Gli acquisti verranno effettuati sul mercato secondario (da banche sostanzialmente).Di conseguenza, il successo del piano dipenderà della capacità delle banche commerciali di concedere prestiti all’economia reale. Contrariamente alle economie dei paesi anglosassoni che hanno tessuti economici più aperti al mercato dei capitali, l’Eurozona ha una struttura bancocentrica e il canale bancario costituisce la principale fonte di accesso ai capitali e al credito. Sotto questo punto di vista, considerando la fragilità di una parte significativa del sistema bancario europeo e la ridotta domanda di credito in alcuni paesi, è legittimo nutrire qualche dubbio sulla capacità del piano di raggiungere gli obbiettivi sperati. 

Altro fattore che depone a sfavore del QE della Bce è il meccanismo delle garanzie. Per il 20% degli acquisti (8% da parte della BCE, il 12% per le istituzioni europee) ci sarà la piena condivisione dei rischi tra le banche centrali, ma non per il restante 80% degli acquisti, i cui rischi, pertanto, saranno a carico delle rispettive banche nazionali.  Come dicevamo in un recente articolo, uno degli obbiettivi che il QE si propone è quello di ripristinare la fiducia sulla sostenibilità del debiti sovrani dei paesi mediterranei e, conseguentemente, abbattere i rendimenti dei titoli di stato (già ai minimi storici, nonostante il disastro economico imperante in molti stati) e quindi anche il costo di accesso al credito da parte di imprese e famiglie.

La soluzione di compromesso che è stata raggiunta, rischia di attenuare la capacità del QE di raggiungere proprio l’obbiettivo appena descritto.
E ciò per il semplice fatto che confinare il rischio credito dei debiti sovrani dei singoli stati all’interno delle rispettive banche centrali  equivale  ad affermare che la Bce non è una istituzione idonea ad acquistare i titoli di stato dei paesi dell’eurozona nell’interesse di tutta l’unione monetaria e del funzionamento della stessa. In altre parole, equivale a riconoscere implicitamente  che all’interno della zona euro, siccome i rischi sovrani non sono uguali per tutti i paesi (fatto indubbiamente vero) e che pertanto esistono stati meno solvibili di altri,  la banca centrale europea non può farsi carico di quei debiti sovrani più rischiosi, poiché, se fatto, questo implicherebbe il rischio che i costi derivanti da eventuali insolvenze dovrebbero essere ripartiti tra tutti i paesi della zona euro. Cosa che i  tedeschi (giustamente e legittimamente) hanno voluto evitare. Per dirla in altre parole, i mercati potrebbero chiedersi: “Cara BCE, se non ti fidi tu nel comprare debito degli Stati per conto dei quali, tu stessa, emetti moneta, per quale ragione dovrei fidarmi io a compare lo stesso debito che ti consente di emettere moneta?” 

Se lo chiederanno? Non possiamo saperlo, ma avere un atteggiamento di cautela rispetto agli eventi che accadono nel contesto dell’eurozona appare comunque indispensabile per assumere comportamenti precauzionali. Questo è tanto più vero se si considera l’esito delle recenti elezioni in Grecia. Come noto, Tsipras, il leader di Syriza (partito uscito vincitore dalle recenti elezioni), vorrebbe rinegoziare il debito della Grecia (ne abbiamo parlato qui). A parer di chi scrive le intenzioni di Tsipras sono del tutto inconciliabili con le logiche della moneta unica e con il funzionamento dell’eurozona. Questo fa si che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi i mercati guarderanno con attenzione l’evoluzione degli eventi cercando di anticipare (sia in positivo che in negativo) gli scenari che potrebbero determinarsi per via delle trattative  con le autorità europee, che peraltro si muovono entro un sentiero assai stretto e incidentato.

Concludendo, è verosimile attendersi che i mercati potranno trovare slancio da un miglioramento delle prospettive di crescita nell’eurozona ( stimolata anche dalla caduta dei prezzi del petrolio e dai bassi tassi di interesse che, verosimilmente, saranno destinati a rimanere tali per un periodo di tempo non affatto breve) e dal raggiungimento di una soluzione  di compromesso della vicenda greca, che tuttavia è assai difficile da definire. Ma, sul fronte greco,  se gli eventi  dovessero precipitare, allora si aprirebbero scenari poco rassicuranti che farebbero aumentare significativamente la volatilità e l’avversione al rischio, anche in considerazione del fatto che i mercati hanno corso già abbastanza sulle attese del Qe della Bce.
La prudenza è d’obbligo.


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