Attualità
La visione tedesca della crisi dell’euro
Sul suo sito Credit Writedowns, l’economista internazionale Edward Harrison analizza la crisi dell’euro in una prospettiva tedesca. L’atteggiamento intransigente tedesco è dovuto ai timori per le proprie finanze traballanti alla luce di una tendenza demografica molto preoccupante. L’impossibilità di conciliare le diverse esigenze dei paesi costringerà l’Europa a un costante declino, fino al verificarsi di eventi traumatici, come la rottura dell’unione monetaria. A quel punto sarà forse possibile trovare un nuovo paradigma di sviluppo economico e politico europeo.di Edward Harrison, 23 Ottobre 2014
I tedeschi sono entrati nell’eurozona per il desiderio di aumentare l’integrazione europea e di rinforzare l’Europa come area economica in concorrenza con gli Stati Uniti. Nonostante questo, siamo in un momento storico in cui la Germania viene accusata di tutte le cose che non vanno bene dell’euro. Penso che i tedeschi si meritino parte delle accuse ma non tutte, e voglio spiegare brevemente perché. Considerate questo scritto come un’aggiunta a quello dell’altro Edward pubblicato prima di questo, ma dal mio personale punto di vista pro-tedesco.
Al meeting annuale IIF a Washington, c’è stata un’ottima discussione con Axel Weber, capo di UBS, Stephen King, capo economista alla HSBC, Willem Buiter, capo economista di Citigroup, e Stephanie Flanders, capo stratega di marketing per l’Europa e il Regno Unito di JPMorgan Chase.
Quel che mi ha colpito della discussione è stata la differenza tra quanto diceva Willem Buiter e quel che sosteneva Axel Weber. Penso che le loro prospettive divergenti racchiudano i problemi in Europa che considerano la Germania colpevole per le difficoltà dell’Europa.
Nel mio post del 10 ottobre sulle debolezze del modello Tedesco, ho riportato parte di quanto sostiene Weber e la debolezza di quel punto di vista. Ma il video dell’IIF e il testo di Edward Hugh mi hanno fatto venire voglia di ritornarci sopra.
Come sottolineavo venerdì, il principale obbiettivo del modello tedesco è di minimizzare il debito, in quanto potenziale causa di crisi. La Germania aveva affrontato un compito enorme per la riunificazione di 20 anni fa ed è riuscita ad integrare la Germania dell’Est in quella dell’Ovest senza incrementare i livelli di indebitamento pubblico e privato o penalizzare troppo gravemente la rete di sicurezza sociale. Ciò detto, la Germania è in permanente violazione del trattato di Maastricht da molti anni. E con un trend demografico sfavorevole, il paese deve affrontare una difficile battaglia per mantenere la crescita necessaria a sostenere la propria rete di protezione sociale, mantenendo basso il proprio livello di indebitamento. Ma l’obiettivo è di mantenere il debito basso, a qualsiasi costo. E se questo significa comprimere i salari, affidarsi alle esportazioni o rendere la rete di protezione sociale meno solida, allora credo che i tedeschi siano pronti a fare i compromessi necessari.
E’ l’adesione a questo paradigma di basso debito che vedo come il marchio di fabbrica del pensiero tedesco, più ancora che il terrore anti-inflazionistico che viene attribuito ai tedeschi. Per esempio, mentre gran parte dell’eurozona chiede che la Germania faccia una politica espansiva, essa è in realtà preoccupata delle sue stesse finanze. Il paese è ben al di sopra del limite del 60% di Maastricht nel rapporto debito pubblico / PIL e deve affrontare una società che tende all’invecchiamento, che peserà ancor più sulle finanze pubbliche mentre tenta ancora di preservare a un alto livello il proprio stile di vita. Un esempio di questo è la SPD che ha costretto la CDU a mettere da parte il proprio desiderio di innalzare l’età pensionabile tra i punti dell’accordo della coalizione di governo. In questo contesto, quello che sembra un feticismo da parte Wolfgang Schäuble riguardo al debito e deficit pubblico, ha più senso. Esso deriva da un senso di insicurezza e instabilità riguardo alle finanze pubbliche di un paese dove la disciplina e l’ordine sono degne di ogni lode.
Fino alla fine del 2013, Angela Merkel faceva parte insieme a Jörg Asmussen della SPD, il suo collegamento con la BCE, di un circolo intellettuale con gente come Stark e Weber. Essi poi si dimisero, ma la presenza di Asmussen attenuò l’impatto di tali dimissioni. Asmussen ora se ne è andato, perciò la pressione su Mario Draghi perché ascolti i lamenti di Weidmann è aumentata, poiché non c’è nessuno a contrastare le voci tedesche sulla politica monetaria.
Da analista guardo a questo dibattito come a una situazione dove è evidente che non c’è sufficiente consenso per cambiare il paradigma politico ed economico e fermare il declino dell’inflazione e del PIL nominale europeo Per me, l’Europa sembra bloccata in una traiettoria che garantisce un’altra crisi in un futuro più o meno prossimo. E se le manovre OMT hanno consentito la discesa degli spread della periferia, una crisi significherà un’esplosione degli spread, che terminerà con dei default, con l’esplosione dell’eurozona e/o con un sostegno della BCE agli stati molto più esplicito di adesso. Solo a quel punto potremo vedere un nuovo paradigma economico e politico condiviso per l’Europa. Fino a quel momento, l’Europa rimarrà debole e continuerà a produrre risultati deludenti.Traduzione di Malachia Paperoga
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