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La visione macroeconomica classica, attualmente dominante, ha fallito (di Luigi Pecchioli)

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Come spiega lucidamente Frances Coppola in un suo recente post i modelli lineari con cui i maggiori macroeconomisti, a cominciare da Blanchard del FMI, hanno cercato di spiegare e quindi guidare i processi economici durante la crisi si sono rivelati inadatti ed errati. Lo stesso Blanchard ha dovuto ammettere nel WEO 2012 che il moltiplicatore della spesa pubblica non era il misero 0,5% da lui indicato, con la conseguenza che la spesa sarebbe stata maggiore del beneficio dato dalla crescita del PIL, ma doveva situarsi in una forbice fra lo 0,9% e l’1,7% e quindi la spesa pubblica avrebbe creato più reddito di quanto speso.

 

In America il Congressional Budget Office in un suo rapporto del 2014 ha evidenziato che i modelli adottati si basano su ipotesi teoriche altamente improbabili come l’assenza di disoccupazione involontaria, che assume che gli individui possano scegliere quante ore lavorare al salario determinato dal mercato, o come il presupposto che gli agenti economici siano pienamente razionali e lungimiranti. Secondo i modelli dell’equilibrio economico generale, inoltre, le politiche espansive spingono gli individui a ridurre i consumi, perché prevedono di pagare in futuro per ogni aumento di spesa pubblica o minori tasse del presente (equivalenza ricardiana) e tendono anche a spiazzare una notevole quantità di altre attività economiche (effetto spiazzamento), ma l’evidenza empirica non mostra prove sufficienti a sostegno di queste tesi (così Hemming R., Kell M., Mahfouz S., The Effectiveness of Fiscal Policy in Stimulating Economic Activity: A Review of the Literature, Working Paper no. 02/208, International Monetary Fund, Washington DC, 2002  tratto da http://www.economiaepolitica.it/tag/krugman/#sthash.7bXLfZ0m.dpuf).

 

La difesa di Blanchard, secondo il quale si tratta di “dark corners” nei quali la teoria ed i modelli non funzionano bene, ma che delle corrette policies economiche possono evitare (scaricando quindi la colpa su chi fa politica economica, che andrebbe a cacciarsi in questi “angoli oscuri”) è stata demolita da Coppola con una frase che merita di essere riportata: “the desperate cry of an aging economist who discovers that the foundations upon which he has built his career are made of sand.” (il grido disperato di un anziano economista che scopre che le fondamenta sulla quali ha costruito la sua carriera sono fatte di sabbia). Applausi.

 

Ciò porta a considerare errate tutte le conseguenze ad essa collegate, prima di tutto il mantra dell’austerità e della stabilità. L’austerità trova ormai pochi sostenitori, soprattutto in Germania: come ha dimostrato Krugman in un recente articolo sul suo blog, la Grecia, dopo anni di cura di austerità per uscire dalla crisi è arrivata ad crollo del reddito pro-capite persino superiore a quello della Germania dopo la 1° Guerra Mondiale. Ecco il grafico relativo:

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Fonte: Krugman
 

Gli altri Paesi che hanno, pur in maniera minore, sperimentato la c.d. austerità espansiva, come la Spagna od il Portogallo, hanno avuto i seguenti risultati:

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Da notare che per ottenere queste performance la Spagna è arrivata ad avere una disoccupazione intorno al 27%, Il Portogallo al 17,5% e l’Italia sta viaggiando sul 13% ed i redditi reali sono calati con questa dinamica

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Questi dati incontestabili sono ormai, salvo rari casi, pienamente riconosciuti come causati dalle manovre di austerità ed ormai tutti i governi europei, eccetto la Germania, considerano finita la stagione del rigore e dei sacrifici ed invocano manovre di crescita. Se non che queste si scontrano con l’altro mantra neoclassico, ovvero la stabilità, che si traduce con pareggio di bilancio e controllo dell’inflazione.

 

Anche qui il fallimento è stato totale: per paura dell’inflazione siamo arrivati ad una deflazione che sta minando la sostenibilità dei debiti pubblici, che ha distrutto quello che rimaneva di una domanda interna ed intra-europea già al collasso e che sta minando il tessuto economico che ancora resiste alla crisi. Per tenere i conti in ordine si impedisce allo Stato di spendere per creare, via investimenti, quel lavoro che potrebbe far ripartire l’economia e si stanno man mano eliminando o peggiorando quei servizi fondamentali che sono l’espressione della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, come quello alla salute, all’assistenza sociale o all’istruzione.

 

Nonostante ciò, nessun economista ortodosso e nessun ministro dell’Economia mette in dubbio la necessità del consolidamento fiscale attraverso tagli alla spesa e, quando non basta, inasprimento delle tasse, magari indirette, che colpiscono cittadini, già sfiniti e provati dal crollo dei propri redditi. Questo “sonno della ragione” – che nasce dall’ottusa applicazione di ricette economiche che non hanno mai funzionato, ma che fanno suggestivamente presa sulla gente, specie se veicolate da slogan come “lo Stato deve tenere i conti in ordine come una famiglia” o “lo Stato deve agire come una sana impresa”, magari condite da considerazioni su “Stato ladro”, “Stato sprecone” e “Stato corrotto” – è molto pericoloso, perché permette l’affermarsi ed il consolidarsi di forze e partiti dichiaratamente estremisti ed antidemocratici i quali, in nome della liberazione dai vincoli assurdi imposti dall’Europa e nel nome di un giusto ritorno alla sovranità nazionale, fanno incetta di consensi, anche tra le persone più moderate.

 

Tutto questo è stato già visto. Ecco uno stralcio di “Una storia di austerità” dal blog www.laprivatarepubblica.com (grassetto mio):

 

Il programma di austerità più catastrofico della Storia è sicuramente quello della Repubblica di Weimar, portato avanti nel pieno della Grande Depressione (tra il 1930 e il 1932) dal “cancelliere della fame” Heinrich Brüning. Dopo aver appreso i fondamenti dell’austerity durante il dottorato alla London School of Economics, il cancelliere era fortemente supportato nel suo piano dai big dell’industria tedesca. Ma dopo due anni di austerità la situazione era degenerata: Brüning sospese di fatto la democrazia parlamentare e governò a colpi di decreti emergenziali; la disoccupazione raddoppiò dal 15% del 1930 al 30% del 1932; la miseria dilagò; le proteste si fecero sempre più violente; e le milizie paramilitari e i nazisti acquisirono un potere sconfinato. Brüning fu infine costretto a dimettersi, e nel 1933 salì al potere un certo Adolf Hitler.“. Governare sospendendo di fatto la democrazia parlamentare a colpi di decreti legge… Non vi ricorda qualcuno?

 

Ancora un altro esempio:

 

Un altro interessante caso di studio sull’efficacia dei programmi di austerità è la Lituania dei primi anni ’90. L’URSS era appena collassata e la piccola repubblica sovietica cercava di sganciarsi definitivamente dall’orbita del Cremlino, anche e soprattutto sul versante economico. Per fare ciò, il governo lituano si rivolse all’economista Larry Summers (ex Segretario del Tesoro sotto Clinton ed ex presidente del National Economic Council sotto Obama), che prescrisse la solita medicina dell’austerità per la transizione dall’economia pianificata al libero mercato. I risultati? Disoccupazione alle stelle, corruzione galoppante, una popolazione che addirittura rimette al potere i comunisti (nel 1992, appena due anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Russia) ed il più alto tasso di suicidi del mondo. Nel 1990, infatti, in Lituania il tasso era fermo a 26.1 persone su 100.000; dopo appena cinque anni era schizzato a 45.6 su 100.000“. Corruzione come effetto dell’austerità: ne parleremo.

 

Per finire ecco un grafico che dovrebbe far meditare: il rapporto fra disordini sociali ed austerity

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Fonte: www.laprivatarepubblica.com. tratto da Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010″
 

Stanno scherzando con il fuoco nella loro ottusa difesa di teorie errate e rovinose ed i mostri sono dietro l’angolo: ancora non sono apparsi (ma in Grecia, la più colpita, Alba Dorata è diventato il terzo partito…), ma se ne sente il passo. D’oca.

 

Poi non dite che non vi avevo avvertito.

Luigi Pecchioli


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