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VISCO INFERNO: LA CONTRADDIZIONE PERMANENTE TRA €-RIFORME STRUTTURALI E COSTITUZIONI DEMOCRATICHE (di Luciano Barra Caracciolo)

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Da orizzonte48.blogspot.it di Luciano Barra Caracciolo vi proponiamo questo articolo molto interessante.

1. Visco a Francoforte, al convegno della European House,- Center for Financial Studies, (organizzato da una nostra vecchia conoscenza, Otmar Issing), ci racconta delle “stime tecniche” di Bankitalia che comproverebbero come, in assenza delle scelte adottate da Draghi e dagli altri membri del board BCE tra il giugno 2014 e il dicembre 2015, sia l’inflazione annuale che la crescita del prodotto sarebbero risultate più basse di circa mezzo punto percentuale nel periodo 2015-2017, nell’area euro complessivamente considerata.
“Il contributo della BCE sarebbe stato ancora più importante per l’Italia, in quanto in assenza dell’impulso monetario, la recessione italiana sarebbe terminata solo nel 2017 e l’inflazione sarebbe rimasta negativa per l’intero arco di tre anni.
Visco (come riporta “Il Messaggero” di ieri in argomento, a pag.5), si sofferma sul “legame tra crisi economica, alta disoccupazione e bassa inflazione: “nell’area euro la correlazione negativa tra disoccupazione, inflazione di fondo e tasso di crescita delle retribuzioni contrattate è molto evidente“.
“In altre parole, la crisi ha reso i salari più legati alla disoccupazione: più è alta quest’ultima, meno crescono gli stipendi. Una tesi confermata dai dati empirici analizzati da Bankitalia, relativi a Francia, Italia e Spagna”.
“In particolare una riduzione di 3 punti del tasso di disoccupazione avrebbe l’effetto di incremetare le retribuzioni di uno 0,5-1%. Ecco perchè, spiega Visco, “sostenere la crescita e l’occupazione è cruciale per riportare l’inflazione verso l’obiettivo“.
2, La crisi ha reso i salari più legati alla disoccupazione?
Ma in realtà i salari sono sempre legati alla disoccupazione in senso inverso e ciò è un importante fattore di variazione conseguenziale dell’inflazione.
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Politiche deflattive come quelle perseguite in nome dell’Europa, cioè a partire dall’introduzione del “vincolo esterno”, sono quelle che tendono a limitare per via fiscale la domanda, in particolare agendo sulla riduzione del deficit pubblico annuale (maggiori tasse e minore spesa pubblica reale) nonchè agendo sulla flessibilità del lavoro per via legislativa,(politiche note complessivamente come “riforme strutturali“): esse inducono un aumento delladisoccupazione e della precarizzazione (che, in termini di potere di contrattare il salario ha effetti del tutto equivalenti).
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Questo, secondo l’apposito indice OCSE, è il recupero di flessibilità del lavoro in Italia PRIMA del jobs act e della definitiva abolizione pressocchè integrale dell’art.18. Come vedete eravamo già strutturalmente convergenti sulla flessibilità tedesca, con un performace di flessibilizzazione e di potenziale “Disoccupabilità” persino superiore a quella realizzata dalla Grecia, al 2013:
3. L’effetto di tali politiche deflattive, il cui scopo essenziale è l’aumento della competitività verso l’estero, è sempre stato quello di sfruttare il legame tra disoccupazione e calo dei salari reali: cioè un’ampia disoccupazione, indotta da tali politiche fiscali (“vincolate” dall’UEM),determina una crescita salariale inferiore alla produttività nominale (cioè alla stessa crescita del PIL complessivamente rilevata), a meno che rigidità contrattuali, cioè di regime giuridico del rapporto di lavoro, impediscano un’adeguata elasticità di tale effetto: da qui, l’esigenza di ulteriori riforme strutturali. Ma anche il costo sistemico di andare incontro all’alta instabilità economica – e finanziario-bancaria- determinata dall’equilibrio della sottoccupazione.
4. Risultato: l’obiettivo-target di inflazione, posto e mantenuto al 2% anche in costanza della fase successiva alla recessione mondiale – sempre per il mantenimento della competitività, essenziale alla sopravvivenza dei vari paesi all’interno dell’unione monetaria- è la causa implicita (ma nondimeno “istituzionale”) della disoccupazione e della minor crescita o della stessa recessione, almeno quella registratasi successivamente all’esaurirsi, per l’€uropa, degli effetti della crisi finanziaria, a epicentro USA, del 2007-2008.
Tali effetti si erano esauriti, in Italia e in gran parte dell’eurozona, già nel 2010 (anno di ritorno alla crescita dopo la recessione circoscritta a 2008-2009): la recessione successiva è stata determinata appunto dalle politiche deflattive, dette di “austerità” e istituzionalizzate in €uropa dal fiscal compact, che hanno mandato la disoccupazione a livelli tutt’ora “fuori controllo”, portando il calo della domanda (il potere di acquisto delle famiglie, in particolare i consumi), e pertanto della stessa inflazione, a livelli anch’essi “fuori controllo” (rispetto al target del 2%).
5. L’obiettivo, dunque non dovrebbe essere quello di rispettare un target di inflazione quanto, in termini di comune buon senso economico, quello di ripristinare un certo livello di disoccupazione e di conseguente crescita.
Solo che, e questo Visco non lo ha detto a Francoforte, questa maggior occupazione con conseguente variazione positiva dei livelli salariali reali, avrebbe a sua volta portato a non correggere, e anzi a perpetuare, gli squilibri commerciali e finanziari privati tra i paesi appartenenti all’eurozona, vanificando il funzionamento programmativo dell’eurozona.
Infatti, all’interno di quest’ultima, essendo vietati i trasferimenti a sostegno delle aree (Stati)che risultino indebitati verso altre aree (Stati) della stessa eurozona, allorché i flussi di capitale finanziario privato dai paesi creditori – per finanziare le loro stesse esportazioni ovvero per finanziare attività di investimento nei paesi a più alta inflazione, e dunque a tassi reali più convenienti per i sistemi creditizi dei paesi più “competitivi” (cioè che comunque in precedenza registravano un tasso di inflazione più basso, anche in violazione del target del 2%!)- si interrompano per via di una crisi finanziaria mondiale, come appunto quella del 2008, l’unico modo di ripristinare la solvibilità e la competitività dei paesi indebitati (a titolo privato, commerciale e di finanziamento), è quello di inaugurare una stagione di riforme strutturali accelerate.
E queste sono appunto le riforme del lavoro, in senso flessibilizzante e precarizzante, nonché le politiche fiscali di taglio del deficit pubblico, che determinano un forte calo dell’inflazione relativa, rispetto ai paesi creditori.
6. Una vecchia storia di cui s’è parlato in lungo e in largo, negli anni scorsi, e che Visco ribalta nei suoi meccanismi di causa-effetto, incentrando l’attenzione sull’inflazione quando, invece, la questione è di squilibri commerciali e finanziari interni all’area euro che, come sappiamo, sono preventivati come inevitabili, ma a cui, altrettanto inevitabilmente, si sopperisce tagliando la spesa pubblica e aumentando le imposte, tagliando in definitiva la domanda interna e riducendo così sia i salari che il loro effetto di “spesa”, che equivale alle importazioni che, appunto, devono essere limitate fino a portare, possibilmente, in attivo i conti correnti con l’estero del paese debitore.
Del fatto che la faccenda stia in questi termini, e non esattamente in quelli esposti a Francoforte (cioè, improvvisa e quasi “sorprendente” correlazione tra disoccupazione e calo dei salari e quindi dell’inflazione, quando si tratta di un effetto programmativo delle politiche di correzione adottate forzatamente all’interno dell’UEM), Visco appare in qualche modo ammetterlo successivamente in una preannunziata intervista al Sole24ore, che dovrebbe uscire quest’oggi, dicendo:
In questa unione monetaria imperfetta, penso che alla fine mantenere per un lungo periodo la moneta senza uno Stato sia impossibile. (Non a caso, Otmar Issing, sopra linkato, è un deciso sostenitore dell’euro come strumento per arrivare alla denazionalizzazione della moneta, come via perenne alla stabilità monetaria, che sarebbe poi l’assenza di (variazione della) inflazione, in omaggio esplicito alle teorie hayekiane).
Salvo, però, aver prima detto, non senza una certa contraddizione sulla sostenibilità nel lungo periodo (che ormai è in buona parte già trascorso) delle stesse “riforme strutturali”:
La Bce, dice Visco in un’intervista sul Sole 24 Ore in edicola sabato, dovrà continuare ad agire “con decisione”, a fronte di un’inflazione che resta lontanissima dall’obiettivo di avvicinarsi al 2 percento, “comprando tempo” perché la politica fiscale e le riforme strutturali mostrino i loro effetti.
7. Insomma, l’importante è tenere sotto controllo l’inflazione al target: il resto, occupazione e crescita, sono solo strumenti da dosare sempre e e comunque per non compromettere la stabilità monetaria e finanziaria conseguenti.
Quindi, le riforme strutturali, che liberalizzano principalmente il mercato del lavoro, – dato che, per i restanti settori di mercato, gli oligopoli sono considerati intangibili stakeholders della stessa “stabilità”-, sono irrinunciabili: ma se è così, la crescita e l’occupazione sono perennemente sacrificabili, in nome del mantenimento dell’euro.
Con buona pace della nostra Costituzione, e in buona parte delle altre, che, invece, predicano politiche economico-fiscali di piena occupazione per tutelare l’esistenza libera e dignitosa dei popoli di lavoratori, una volta sovrani e oggi assoggettati all’euro che infatti,secondo Carli (ma nel suo pensiero del 1974) avrebbe determinato quella esatta situazione che, oggi, Visco lamenta, cadendo in insanabile contraddizione (in quanto deve dire tutto e il contrario di tutto):
Se in questo momento la lotta all’inflazione appare l’obiettivo prioritario, l’Unione monetaria europea non può tuttavia essere imperniata su un meccanismo che tenda a relegare verso il fondo della scala gli obiettivi dello sviluppo e della piena occupazione, cioè ad invertire le scelte accettate dalla generalità dei popoli e dei governi in questo dopoguerra“.
8. Ma questa contraddizione non nasce per caso: è la conseguenza del non poter dire mai la verità, sugli scopi dell’euro e sul costo di disoccupazione strutturale, e di controllo “mercificato” del mercato del lavoro e di calo dei salari, che esso è inteso a instaurare.
Come confermaDraghi che individua nelle Costituzioni democratiche  l’ostacolo all’adozione e all’efficacia delle “riforme strutturali”, consigliando, proprio ieri, ai portoghesi di “rivedere” la loro Costituzione.

Draghi sugeriu revisão da Constituição e das leis eleitorais

Forse, incidentalmente (a quanto pare), una moneta senza Stato per Visco non è indefinitamente sostenibile: ma di certo le riforme strutturali devono andare avanti.
L’insanabile contraddizione segnalata da Carli può proseguire, in nome della pac€ e della fratellanza €uropea, fino al Maelstrom
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