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Politica

VIOLENTI DELLA TAV ALLA SBARRA

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Ci sono molti motivi per ribellarsi e il primo è ovviamente l’essere oggetto di gravi ingiustizie e maltrattamenti. Nell’antichità ci furono le guerre servili, in Francia le rivolte dei contadini (jacqueries), in ogni tempo la violenza di piazza ha fatto parte della storia. Ma recentemente c’è stato qualcosa di nuovo. Da un lato i “ribelli” non corrono più il rischio, come Spartaco e i suoi compagni, di essere crocifissi a centinaia lungo la Via Appia, dall’altro agiscono spesso per motivi evanescenti. La stessa Rivoluzione Francese, atto fondante dell’epoca contemporanea, non è nata da un malessere economico o da una grave oppressione politica, quanto dalla voglia di modernizzare il Paese, mettendo in atto le idee degli illuministi. La stessa (ingiustificabile) violenza del Terrore ebbe qualche spiegazione nella sindrome dell’accerchiamento e del tradimento. La fuga di Varennes fu una delle scintille del disastro, ma in origine la Rivoluzione fu tutt’altro che sanguinaria e non fu nemmeno repubblicana. La sua sostanza fu intellettuale e politica, un po’ come, prima, il contrasto fra Cromwell e Carlo I rispetto alla natura del potere del re.

Purtroppo la moderna concezione della rivolta ha avuto conseguenze impreviste. Invece di essere considerata come il più grave atto di disobbedienza allo Stato (quello, secondo il “buon” Rousseau, meritevole di morte) la moderna rivolta è stata vista come il motore del progresso, un’accelerazione della storia, un atto eroico quasi a prescindere dalle sue motivazioni. È divenuto comprensibile che lord Byron andasse a morire in Grecia senza essere greco e per ragioni che personalmente non lo riguardavano affatto.

Il secondo elemento aberrante della moderna concezione della rivolta è che, costituendo essa un diritto e un titolo di merito, i ribelli non devono essere puniti. Infatti l’opinione pubblica e i giornali sono più pronti a piangere sulle ecchimosi dei facinorosi che sulle ferite dei poliziotti. La rivoluzione deve anche essere a costo zero. E infatti, dove non lo sarebbe stata, come nella Russia di Stalin, non se ne è vista nemmeno l’ombra. Essa è divenuta il naturale sfogo del malessere esistenziale, la sceneggiata collettiva della rivolta contro i genitori (nel momento in cui si vive ancora a spese loro) l’affermazione della propria indipendenza e compiuta virilità.

Si spiegano così molti fenomeni sociali. I più disadattati, i più labili, i più immaturi non privi di qualche tendenza criminale si trasformano in una sorta di compagnia di giro. Cercano di sapere dove c’è uno sciopero, dove si progettano grandi lavori pubblici, dove si tiene un grande convegno internazionale e vanno lì – a volte dopo viaggi di centinaia di chilometri, non si sa a spese di chi – ben risoluti a menar le mani. Partono equipaggiati con i bastoni, le fionde e le bombe molotov, vanno a fare dei danni senza nemmeno sapere perché, e se ne tornano senza pagare dazio. Ché anzi, se qualcuno è ferito o ci lascia le penne, come un tale Carlo Giuliani, diviene un eroe nazionale.

In Piemonte la compagnia di giro della violenza si è trasformata in Teatro Stabile. Le rivolte e le violenze a puntate prendono di mira nientemeno un traforo alpino. Un lungo buco dentro una montagna. Qualcosa di cui normalmente “non potrebbe frega’ de meno” non a chi abita a Castelvetrano o a Brindisi, ma nemmeno a chi abita ad Avigliana o a Bussoleno. E invece i violenti hanno per così dire costituito un’associazione che si è data la missione – nel XXI, non nel XIX secolo – di lottare contro un treno. E gli è andata bene per anni.

Oggi invece leggiamo con sorpresa che i Pm d’udienza hanno richiesto quattro condanne a nove anni e mezzo di carcere per vari reati, fra cui l’atto terroristico, per l’attacco al cantiere Tav di Chiomonte del 14 maggio 2013. Il processo – vista la mansuetudine impunita degli amici degli imputati – si celebra in un’aula bunker. I magistrati dell’accusa si sono accorti che si è trattato di “violenza armata e organizzata in modo paramilitare per acquisire consensi e per costringere lo Stato a retrocedere. Un atto di guerra” lungamente e minuziosamente preparato.

C’è da essere lieti di questo risveglio dell’amministrazione della giustizia, anche per superare il contrasto fra la richiesta sottomissione del più importante ed onesto cittadino al primo vigile urbano che lo ferma e la libertà di violenza e devastazione accordata a chi crede che, per essere un rivoluzionario, basti farsi crescere la barba. Ma con un limite. Se si condannassero a nove anni questi imputati di Torino, per poi lasciare liberi tutti gli altri in tutte le altre manifestazioni, soprattutto quando hanno anche ferito dei pubblici ufficiali, non si sarebbe fatta giustizia, si sarebbe operata una inammissibile discriminazione, rendendo ridicola la scritta secondo la quale la legge è uguale per tutti. Dunque o la sentenza, quando la si emetterà, sarà l’inizio di una diversa politica penale, oppure, facendo giustizia, sarà ingiusta.

Gianni Pardo, [email protected]

15 novembre 2014

P.S. Una nota speciale riguarda lo scrittore Erri De Luca Questi ha sostenuto la legittimità dei sabotaggi come forma di lotta ed è stato rinviato a giudizio per istigazione a delinquere. Ecco un intellettuale che ha preso troppo sul serio la moda del diritto alla rivolta gratuita, immotivata e a spese degli altri.


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