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Vento contrario sulla East Coast: Trump blocca i colossi dell’eolico ed Equinor ferma 3 miliardi di investimento
Trump blocca l’eolico offshore: miliardi a rischio per Equinor e Ørsted. La “sicurezza nazionale” e il ritorno al gas fermano le pale sulla East Coast.

La transizione energetica americana, almeno nella sua declinazione marittima, ha appena colpito un muro di cemento armato politico. Con una mossa che non sorprende gli osservatori più attenti della nuova amministrazione, ma che scuote profondamente i mercati dell’energia “verde”, la norvegese Equinor ha annunciato la sospensione dei lavori sul suo faraonico progetto eolico offshore, Empire Wind 1.
La decisione non è una scelta aziendale, ma la diretta conseguenza di un ordine di stop ai lavori emesso lunedì dall’amministrazione Trump. L’ordine non colpisce solo Equinor, ma congela le locazioni di ben cinque grandi progetti di energia eolica offshore lungo le coste statunitensi. La motivazione ufficiale, che fa leva su tasti delicatissimi, è quella di “motivi di sicurezza nazionale”, identificati nientemeno che dal Dipartimento della Guerra (un riferimento che sottolinea il tono marziale dell’approccio).
La “rivincita del buon senso”: fossile contro sussidi
L’azione della Casa Bianca è stata immediatamente rivendicata con toni che non lasciano spazio a interpretazioni. Il Segretario degli Interni, Burgum, ha utilizzato la piattaforma X per chiarire la filosofia alla base del blocco. Secondo l’amministrazione, si tratta di mettere in pausa locazioni per parchi eolici definiti “costosi, inaffidabili e pesantemente sovvenzionati”.
Offshore wind is one of the most expensive, unreliable, subsidy-dependent schemes ever pushed upon American taxpayers. Here’s why @POTUS is prioritizing energy projects like clean, beautiful coal & U.S. natural gas that actually WORK 🧵
— Secretary Doug Burgum (@SecretaryBurgum) December 22, 2025
Burgum ha anche ripostato le parole scettiche del segretario Kennedy:
Offshore wind is bad energy policy, bad environmental policy, and bad economic policy. It kills whales, destroys local ground fisheries, and decimates shoreline communities. The turbines—some of them twice the height of the Washington Monument—pose navigational hazards, and… https://t.co/JVsu4DQgCn
— Secretary Kennedy (@SecKennedy) December 22, 2025
Il punto nodale del ragionamento di Burgum, che piacerà ai sostenitori della “realpolitik” energetica e farà storcere il naso ai puristi della decarbonizzazione a ogni costo, è una brutale comparazione di densità energetica: “UN SOLO gasdotto di gas naturale fornisce tanta energia quanto questi 5 progetti MESSI INSIEME”, ha tuonato il Segretario, aggiungendo che il Presidente sta riportando il “buon senso” nella politica energetica, mettendo la sicurezza al primo posto. È evidente il cambio di paradigma: l’affidabilità della fornitura e la sicurezza strategica tornano a prevalere sulle aspirazioni climatiche, specialmente se queste ultime dipendono da massicci aiuti di Stato.
I numeri del disastro economico (per ora)
L’impatto finanziario di questo stop è semplicemente enorme e rischia di trasformarsi in un bagno di sangue per gli investitori coinvolti. Non stiamo parlando di progetti sulla carta, ma di infrastrutture in fase avanzata di realizzazione, dove miliardi di dollari sono già stati letteralmente affondati nel fondale marino.
Prendiamo il caso di Empire Wind 1 di Equinor. Se completato, il progetto avrebbe avuto una capacità di 810 MW. Ecco la situazione al momento del blocco:
L’installazione era completa al 60% al 22 dicembre.
Il valore contabile lordo del progetto a settembre era di 3,1 miliardi di dollari.
Questa cifra include il South Brooklyn Marine Terminal, cruciale per la logistica del sito offshore.
Secondo Reuters, Equinor aveva già attinto circa 2,8 miliardi di dollari da un prestito a termine per finanziare i lavori.
È chiaro che, se la sospensione dovesse protrarsi per un periodo prolungato, le perdite per il colosso norvegese sarebbero ingenti, trasformando un asset strategico in una passività tossica. Se non completato il progetto è una enorme, solida, perdita netta.
Un approccio sistemico contro l’eolico
L’amministrazione Trump non ha mai fatto mistero della sua avversione per l’energia eolica, e in particolare per quella offshore, spesso vista come un’infrastruttura visivamente impattante, economicamente dipendente dai sussidi federali e, ora, persino rischiosa per la sicurezza. Da quando il Presidente si è insediato, il governo federale ha stretto la morsa su questi progetti attraverso una combinazione letale di ordini di stop ai lavori e la rimozione dei sussidi, strumenti che avevano reso questi investimenti attraenti in primo luogo.
La mossa contro Equinor non è isolata, ma segue un precedente illustre e altrettanto doloroso per l’industria. Il caso più noto riguarda Ørsted, il più grande sviluppatore di progetti eolici offshore al mondo. Ørsted e il suo partner Skyborn Renewables stavano avanzando nella costruzione di Revolution Wind al largo delle coste del Rhode Island. Ad agosto, con il progetto completato all’80% (una fase in cui i costi sostenuti sono massimi e i ricavi ancora nulli), l’amministrazione ha emesso un ordine di stop. Questa decisione ha gettato nell’incertezza non solo il destino di quel singolo parco eolico, ma gli interi obiettivi operativi e finanziari del gigante danese. Il valore delle azioni sta subendo questa situazione in modo molto pesante:
La situazione attuale delinea uno scenario chiaro: gli investimenti in infrastrutture energetiche che non siano allineate con la visione “fossile-centrica” e di sicurezza nazionale dell’attuale amministrazione americana sono ad alto rischio politico. Il capitale, che odia l’incertezza quasi quanto le tasse, potrebbe presto iniziare a guardare altrove, lasciando arrugginire in mezzo al mare le cattedrali incompiute della transizione energetica.
Domande e risposte
Qual è la vera motivazione dietro il blocco dei progetti eolici?
Ufficialmente, l’amministrazione cita la “sicurezza nazionale”, che potrebbe riferirsi a interferenze con i radar militari o alla vulnerabilità delle infrastrutture in mare aperto. Tuttavia, le dichiarazioni del Segretario Burgum evidenziano una forte motivazione ideologica ed economica: la preferenza per le fonti fossili (gas naturale), considerate più affidabili e meno costose dei progetti eolici, visti come “pesantemente sovvenzionati” e inefficienti rispetto alle infrastrutture tradizionali.
Quali sono le conseguenze economiche immediate per le aziende coinvolte?
Le conseguenze sono potenzialmente devastanti. Aziende come Equinor e Ørsted hanno già investito miliardi di dollari (3,1 miliardi di valore contabile solo per Empire Wind 1, completo al 60%). Uno stop prolungato significa che questi capitali “affondati” non generano ritorni, mentre i costi dei prestiti corrono. Se i progetti venissero cancellati definitivamente, si tratterebbe di svalutazioni massicce che impatterebbero pesantemente sui bilanci e sulla fiducia degli investitori nel settore.
Questo significa la fine dell’eolico offshore negli Stati Uniti?
Sotto l’attuale amministrazione, sembra essere la fine per lo sviluppo su larga scala supportato dal governo federale. Il clima politico è diventato estremamente ostile, con la rimozione dei sussidi e l’uso di ordini esecutivi per bloccare i lavori. È improbabile che vengano approvate nuove locazioni significative e i progetti esistenti dovranno affrontare una battaglia legale e politica per sopravvivere, rendendo il settore molto meno attraente per i capitali privati.









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