Attualità
Unione Bancaria: ecco come si distrugge il risparmio nazionale
La Banca d’Italia, certamente non un movimento od un gruppo euroscettico, anche su twitter, ha avuto modo di affermare che le recenti perdite che subiranno i risparmiatori clienti delle banche nell’occhio della bufera di questi giorni, sono state imposte dalle regole UE.
Si tira in mezzo l’Unione Bancaria, ovvero quell’accordo che Saccomanni, all’epoca in cui era Ministro dell’Economia , aveva così salutato:
“L’accordo sull’unione bancaria europea, raggiunto dai 28 paesi della UE nella nottata di oggi, rappresenta un evento, la cui importanza sarebbe paragonabile solo all’unione monetaria”.
Era il dicembre 2013 ed in pochi, ho l’onore di poter dire che ero tra quelli, allora gridavano allo scandalo. Infatti mentre Saccomanni esultava mi scomodai a leggere la proposta di legge della Commissione Europea e obiettivamente ciò mi provocò un rapido distacco della mascella.
La data del documento è 10 luglio 2013 ed il contenuto surreale. Circa il cd. fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie la Commissione scriveva:
“L’azione del Comitato (vi spiegherò infra di cosa si tratta, è comunque l’organo demandato alla risoluzione della crisi – n.d.s.) sottende il principio che le perdite, i costi o le altre spese sostenuti in relazione all’applicazione degli strumenti di risoluzione delle crisi siano in primo luogo a carico degli azionisti e dei creditori dell’ente soggetto a risoluzione della crisi E SOLO IN ULTIMA ISTANZA, SE NECESSARIO, A CARICO DEL SETTORE FINANZIARIO”.
La verità non poteva che essere detta con più chiarezza, i garanti del settore bancario, in futuro, dovranno essere i Clienti e non i grandi speculatori finanziari che hanno impestato il sistema con i propri titoli tossici.
Forse la verità era però troppo brutale e benché, proprio tale principio sia poi divenuto il cuore codificato dell’Unione Bancaria, oggi sul sito ufficiale dell’UE leggiamo testi ben più rassicuranti:
“La crisi finanziaria iniziata nel 2007 ha palesato la necessità di armonizzare in tutta l’Unione europea, e soprattutto nella zona euro, la regolamentazione delle attività bancarie e la vigilanza su tali attività. La crisi ha rivelato in particolare che un’errata valutazione dei rischi da parte del settore bancario può compromettere la stabilità finanziaria di interi Stati membri. Nel giugno 2012 il Consiglio europeo ha pertanto deciso di «spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano». Una delle risposte dell’UE intese a correggere precedenti carenze è consistita nella creazione di due nuove istituzioni, che costituiscono gli elementi portanti della cosiddetta Unione bancaria. Il primo elemento portante è il Meccanismo di Vigilanza Unico, che assegna alla Banca centrale europea la vigilanza bancaria diretta, al fine di garantire che le maggiori banche europee siano soggette a una vigilanza indipendente sulla base di norme comuni. Il secondo è il Meccanismo di risoluzione unico, cui spetta la predisposizione di misure qualora si verifichi lo scenario meno favorevole, ossia il dissesto di una banca, per garantire che la situazione possa essere gestita in modo ordinato, a un costo minimo per i contribuenti. La volontà di evitare che i contribuenti sostengano il costo di future risoluzioni bancarie ha portato a una modifica delle norme di riferimento, ossia le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditrici, in base alla quale le risoluzioni devono essere sostanzialmente finanziate dagli azionisti e dai creditori degli enti creditizi. Se necessario, il Fondo di risoluzione unico recentemente istituito, che è alimentato dal settore bancario, può fornire finanziamenti complementari. Il Meccanismo di vigilanza unico è già pienamente operativo, mentre il Meccanismo di risoluzione unico lo diverrà nel gennaio 2016. Il Fondo di risoluzione unico dovrebbe raggiungere il livello-obiettivo nel 2023 (ovvero disporre di un patrimonio pari all’1% dei depositi complessivi, un nulla – n.d.s.). I membri dell’area dell’euro partecipano automaticamente all’Unione bancaria. Gli altri Stati membri possono aderirvi”.
Sul sito della Commissione Europea leggiamo invece quanto segue in merito agli obiettivi:
“L’unione bancaria si prefigge di:
-garantire la solidità delle banche e la loro capacità di superare in futuro eventuali crisi finanziarie
-evitare situazioni in cui il denaro dei contribuenti è utilizzato per salvare banche in dissesto
-ridurre la frammentazione del mercato armonizzando le norme che regolano il settore finanziario
-rafforzare la stabilità finanziaria nella zona euro e nell’insieme dell’UE”.
Sul meccanismo di vigilanza unico abbiamo ben poco da dire. La sua inutilità è evidente a prima vista. BCE è composta dalle banche centrali dei Paesi aderenti all’eurosistema le quali, a loro volta, sono composte dalle banche commerciali.
Il controllore sarebbe il controllato e viceversa, in un meccanismo che appare completamente privo di senso. Se la situazione non fosse grave ci sarebbe davvero di che sorridere.
Ma il cuore dell’Unione Bancaria, ciò che ha fatto gridare Saccomanni al miracolo, è il meccanismo di risoluzione unica delle crisi, ed il relativo fondo, ovvero il sistema che rende i clienti i garanti dell’intera stabilità del sistema bancario e finanziario.
L’UE ci racconta che la norma serve ad evitare che i costi delle crisi siano pagati dai contribuenti. Con ciò la propaganda di regime ha davvero colto nel segno.
Basta infatti dire “non aumenteremo le tasse” e arrivano grandi applausi, peccato che nessuno spieghi chi alla fine pagherà e vi garantisco che non saranno i marziani a farlo!
Con questo nuovo meccanismo si va esattamente nella direzione opposta rispetto agli obiettivi che ufficialmente ci si era fissati. Da ora in poi ci sarà più sfiducia nel sistema bancario e non certo più fiducia. La Repubblica italiana non si occuperà più di tutelare il risparmio in tutte le sue forme (ex art. 47 Cost.), avendo ceduto, con tale nuova normativa, uno degli ultimi brandelli di sovranità rimasta.
Da domani il sistema bancario si reggerà unicamente sulle garanzie fornite dai clienti ad eccezione (forse… leggerete dopo perchè) del risibile paracadute del fondo di garanzia. La banca centrale, malgrado crei ovviamente moneta dal nulla, non potrà intervenire in caso di dissesto bancario, idem lo Stato, che anche volendo non potrebbe in alcun modo decidere di salvare “sovranamente” una grande banca.
L’unione bancaria è semplicemente una ulteriore cessione della nostra sovranità nazionale, una scelta politica che ci renderà completamente e definitivamente impotenti nanti alle follie predatrici della finanza. In sostanza prima dell’Unione Bancaria, benché avessimo già ceduto la nostra sovranità monetaria a BCE e ci fossimo incatenati con i vincoli di bilancio del PSC (il patto di stabilità e crescita), con cui si sono evolute le politiche di austerità già codificate con il protocollo n. 12 del Trattato di Maastricht (in particolare il famoso 3% di tetto deficit/pil), lo Stato avrebbe ben potuto intervenire per salvare una banca, magari nazionalizzandola, salvando così i risparmi degli italiani.
In pratica è esattamente così visto che, dopo il fallimento di Lehman Brothers, gli USA salvarono le proprie banche. Lasciata fallire Lehman impedirono ogni ulteriore tracollo, così tornando a infondere fiducia nel sistema e nella sua tenuta. Le banche infatti vivono unicamente sulla fiducia visto che, per definizione, le passività degli istituti non sono garantite sostanzialmente da nulla di reale.
Negli USA la crisi innescata dalla bolla speculativa dei mutui subprime, fu stoppata dal Ministero del Tesoro di concerto con la FED pompando liquidità. Arma che l’europa non ha, anzi di cui si è scientemente spogliata, come già avvenne per la moneta da Maastricht in poi.
Non è difficile prevedere il tracollo del nostro sistema bancario a questo punto, questo avverrà non appena si verificherà una causa scatenante, il che potrebbe già essere avvenuto in questi giorni con il fallimento di diverse banche tra cui, tra le altre, Banca Marche e Banca Etruria.
Non pretendo mi crediate sulla parola. Vediamo dunque nel dettaglio alcune delle più significative norme che disciplinano il meccanismo di risoluzione unico della crisi di un istituto bancario, norme previste nel ferraginoso e praticamente illegibile (al confronto i tratatti europei sono chiari) Regolamento UE n. 806/14.
Peraltro, oltre l’illeggibilità, molte norme, semplicemente non significano assulutamente nulla, lasciando al Comitato demandato alla risoluzione della crisi il totale e completo potere di arbitrio.
L’art. 8 è subito chiarissimo nel dire cosa non presupporrà mai il piano di risoluzione:
“Il piano di risoluzione non presuppone alcuno dei seguenti interventi:
a) sostegno finanziario pubblico straordinario oltre all’impiego del Fondo istituito ai sensi dell’articolo 67;
b) assistenza di liquidità di emergenza fornita da una banca centrale;
c) assistenza di liquidità da parte di una banca centrale fornita con costituzione di garanzie (collateralisation), durata e tasso di interesse non standard”.
Non esiste quindi alcun reale meccanismo di sostegno, il Comitato potrà unicamente chiedere prestiti per ricapitalizzare il fondo, in caso di esaurimento dei conferimenti bancari, purché questi prestiti non siano concessi a condizioni agevolate: dovranno essere erogati a tassi di interessi “standard”.
L’art. 14 prevede gli obiettivi del piano di risoluzione delle crisi:
“Gli obiettivi della risoluzione (omissis…) sono i seguenti:
a) garantire la continuità delle funzioni essenziali (quali sarebbero? La legge non lo dice lasciando tutto all’arbitrio del Comitato – n.d.r.);
b) evitare effetti negativi significativi (cioè? – n.d.r.) sulla stabilità finanziaria, in particolare attraverso la prevenzione del contagio, anche delle infrastrutture di mercato, e con il mantenimento della disciplina di mercato;
c) salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario (in realtà è di fatto vietato come si dirà infra – n.d.r.);
d) tutelare i depositanti disciplinati dalla direttiva 2014/49/UE e gli investitori disciplinati dalla direttiva 97/9/CE (ciò che interessa davvero sapere che la copertura riguarda, purtroppo solamente in astratto per le ragioni che dirò, i correntisti fino al tetto di € 100.000,00 – n.d.r.);
e) tutelare i fondi e le attività dei clienti.
Nel perseguire gli obiettivi di cui al primo comma, il Comitato, il Consiglio e la Commissione e, se del caso, le autorità di risoluzione nazionali, cercano di ridurre al minimo i costi della risoluzione e di evitare la distruzione del valore, a meno che essa non sia necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.
Fatte salve le disposizioni contrarie del presente regolamento, i diversi obiettivi della risoluzione rivestono pari importanza e sono ponderati come opportuno a seconda della natura e delle circostanze di ciascun caso” (di nuovo siamo al completo arbitrio – n.d.r.).
L’art. 15 ci dice invece chiaramente chi perderà dalla crisi della banca ed in quale ordine, ed eccoci tornare sulla perfetta corrispondenza con quanto previsto nel 2013 dalla Commissione Europea:
“a) gli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione sostengono per primi le perdite (chi comprerà le azioni delle banche al momento notoriamente provate dalla crisi economica? – n.d.r.);
b) i creditori dell’ente soggetto a risoluzione sostengono le perdite dopo gli azionisti, secondo l’ordine di priorità dei loro crediti a norma dell’articolo 17 (art. che in sostanza demanda anche al diritto nazionale ed al relativo criterio dei privilegi benché la norma specifichi, forse erroneamente e non volontariamente, che esso debba essere “inverso”, precisamente “secondo l’ordine di priorità inverso dei crediti stabilito dal diritto nazionale” – n.d.r.), salvo espresse disposizioni contrarie del presente regolamento;
c) l’organo di amministrazione e l’alta dirigenza dell’ente soggetto a risoluzione sono sostituiti, salvo casi in cui il mantenimento della totalità o di parte dell’organo di amministrazione e dell’alta dirigenza, a seconda dei casi, sia considerato necessario per conseguire gli obiettivi della risoluzione (arbitrio assoluto, ancora una volta – n.d.r.);
d) l’organo di amministrazione e l’alta dirigenza dell’ente soggetto a risoluzione forniscono tutta l’assistenza necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione;
e) le persone fisiche e giuridiche sono tenute a rispondere, conformemente al diritto nazionale, a norma del diritto civile o penale, delle loro responsabilità per il dissesto dell’ente soggetto a risoluzione (ma è ovvio che una persona fisica non avrà mai un patrimonio personale tale da garantire i risparmiatori – n.d.r.);
f) salvo disposizione contraria del presente regolamento, i creditori di una stessa classe ricevono pari trattamento;
g) nessun creditore sostiene perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se l’entità di cui all’articolo 2 fosse stata liquidata con procedura ordinaria di insolvenza conformemente alle salvaguardie previste dall’articolo 29;
h) i depositi protetti sono pienamente salvaguardati (ovviamente se il fondo disporrà dei soldi sufficienti! – n.d.r.);
i) l’azione di risoluzione è adottata conformemente alle salvaguardie di cui al presente regolamento”.
Le norme appena enunciate sono a dir poco vuote di contenuti concreti. Tante parole che in definitiva implicano semplicemente un concetto: azionisti, obbligazionisti e correntisti non protetti (ovvero coloro che avevano più di € 100.000,00 sul conto) pagheranno il dissesto di una banca.
Il culmine delle cessioni di sovranità e l’abdicazione della Repubblica italiana rispetto alla tutela del risparmio si raggiunge probabilmente con l’art. 19.
La norma è fuorviante fin dalla rubrica, che recita “aiuti di stato e aiuti del fondo”.
Leggendo questo titolo si è propensi a ritenere legittimi gli aiuti di Stato (e gli aiuti da parte del fondo) per i quali si introduce una complessa, e del tutto inutile, procedura di richesta alla Commissione per ottenere il permesso ad effettuarli, una volta verificata la compatibilità di tali aiuti con il mercato interno.
La normativa condiziona l’ammissione agli aiuti di Stato o all’utilizzo del fondo al rispetto dell’art. 107 TUEF che, nella sostanza, vieta in toto tali interventi.
L’art. 19 infatti recita specificatamente:
“Se l’azione di risoluzione prevede la concessione di aiuti di Stato a norma dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE (omissis…)” ed ancora “La Commissione valuta se il ricorso al Fondo comporta o rischia di comportare distorsioni della concorrenza, in quanto favorisce il beneficiario o qualsiasi altra impresa, in questo modo pregiudicando gli scambi tra Stati membri, in modo tale da risultare incompatibile con il mercato interno. La Commissione applica al ricorso al Fondo i criteri stabiliti per l’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato sanciti dall’articolo 107 TFUE”.
L’art. 107 TFUE, rammentiamolo, dispone che:
“1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
2. Sono compatibili con il mercato interno:
a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti (questa è l’unica apertura ai risparmiatori, magari ci lasceranno il necessario per soprevvivere – n.d.r.);
b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera.
3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all’articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;
b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro;
c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune;
e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione”.
Come sempre tutto è lasciato all’arbitrio della Commissione Europea e alla discrezionalità con cui potrà avvallare o meno interventi a sostegno dei risparmiatori.
Insomma è documentale che davvero si è deciso di spogliare di qualsivoglia difesa i risparmiatori.
Teniamo presente, e qui c’è uno degli equivoci più evidenti della normativa, che, se anche l’utilizzo del fondo è soggetto ai limiti dell’art. 107 TFUE, è davvero possibile ritenere tutelati i conti correnti? Il contrasto tra la protezione assoluta degli stessi e la struttura dell’art. 19 del Regolamento pare evidente.
Il Comitato e dunque la Commissione Europea farà davvero ciò che vorrà con una normativa simile.
All’art. 22 sono poi elencati specificatamente gli strumenti di risoluzione che sono:
“a) la vendita dell’attività d’impresa (a chi se la banca è in dissesto? – n.d.r.);
b) strumento dell’ente-ponte (altra follia giuridica se in presenza di un dissesto, quale ente dovrebbe fare una cosa simile? E poi di che ente parliamo? Pubblico, privato, creato ex novo? La normativa non lo dice – n.d.r.);
c) strumento di separazione delle attività (vendere la banca a pezzi, sarà interessante vederne l’applicazione concreta, vendo le attività e svaluto le passività? – n.d.r.);
d) strumento del bail-in. (ovvero il taglio delle passività – n.d.r.)
Per concludere questa parziale disamina della normativa sull’Unione Bancaria, normativa, che anche per come è scritta, potrebbe essere considerata “buona ed utile” solo da chi non l’ha letta oppure ha evidenti problermi di mente, serve poi esaminare il funzionamento e le modalità di composizione del Comitato, che dovrebbe prendere le decisioni che riguarderanno i risparmi di tutti noi. Esso avrà sede a Bruxelles, e risponderà unicamente agli organi UE secondo l’art. 45.
Peccato che poi l’art. 47 (del regolamento) conferisca al Comitato stesso l’assoluta indipendenza, smentendo quanto scritto solo poche righe prima.
Si parte dalla definizione del suo status giuridico. L’art. 42 merita la lettura perché è un pezzo di straordinaria comicità:
“È istituito il Comitato. Il Comitato è un’agenzia dell’Unione con una struttura specifica corrispondente ai suoi compiti. Esso ha personalità giuridica. 2. In ciascuno Stato membro, il Comitato gode della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dall’ordinamento giuridico nazionale. In particolare, può acquistare o alienare beni mobili e immobili e stare in giudizio. 3. Il Comitato è rappresentato dal suo presidente”.
Il Comitato ha una struttura corrispondente ai suoi compiti… Cosa si voleva affermare con tale principio resterà uno dei grandi misteri degli abissi della mente degli euroburocrati.
I Parlamenti nazionali possono fare domande al Comitato che risponde in forma scritta, altresì possono invitare il Presidente del Comitato ad uno scambio di opinioni (art. 46).
Il vero nodo e su cosa verterà tale conversazione visto che l’art. 47 afferma qualcosa di molto diverso, codificando l’indipendenza assoluta del comitato:
“Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organismi dell’Unione, né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare il presidente, il vicepresidente o i membri del Comitato”.
Evidentemente i parlamentari potranno parlare con il Presidente delle condizioni meteo o forse del’ultima partita di calcio delle proprie squadre del cuore, ma certamente non avranno voce in capitolo sulle scelte del Comitato che risulta indipendente dalla politica e pertanto, ed è questo ciò che risulta più grave, indipendente dalla sovranità del popolo, indipendente dalla democrazia.
Non a caso i membri di tale nuovo organismo (agenzia, secondo l’UE) sono ovviamente scelti dalla Commissione Europea, dal cuore dell’apparato burocratico e non elettivo dell’Europa.
Il regolamento infine istituisce specificatamente il fondo di risoluzione unico il cui proprietario diviene il Comitato stesso. Tale fondo, la cui costituzione è stata approvata dall’Italia nel novembre u.s., specificatamente ratificando, con L 26/11/2015, n. 188, l’accordo europeo sul trasferimento e la messa in comune dei contributi al Fondo di risoluzione unico, con Allegati, fatto a Bruxelles il 21 maggio 2014, con processo verbale di rettifica, fatto a Bruxelles il 22 aprile 2015.
Al termine del periodo iniziale dei primi otto anni (2024) il fondo dovrebbe avere almeno l’1% dell’ammontare dei depositi bancari protetti, dunque in caso di vera crisi del sistema bancario con il fondo, in sostanza, si tenterà di svuotare il mare con un secchiello (Art. 69).
Per non farsi mancare nulla l’art. 80 dispone:
“Al Comitato ed al suo personale si applica il protocollo n. 7 sui privilegi e le immunità dell’Unione Europea” ovvero: “I locali e gli edifici dell’Unione sono inviolabili. Essi sono esenti da perquisizioni, requisizioni confisca o espropriazione. I beni e gli averi dell’Unione non possono essere oggetto di alcun provvedimento di coercizione amministrativa o giudiziaria senza autorizzazione della Corte di Giustizia”.
Ecco dunque, in sintesi, come si possa concludere affermando la totale correttezza dell’affermazione resa ai tempi dal Ministro Saccomanni. Siamo davvero di fronte ad una legislazione che, per la gravità delle conseguenze che porterà, non è affatto seconda a Maastricht. Privati della sovranità e degli strumenti, che la stessa Costituzione imporrebbe per difendere il risparmio nazionale, l’Italia sarà esposta più che mai a crisi sistemiche, che con ogni probabilità ci porteranno alla fine del nostro Stato e all’adesione, apodittica e per ragioni emergenziali, a quegli Stati Uniti d’Europa da tempo invocati coma la fasulla panacea a tutti i mali del mondo.
Vivremo giorni terribili, in coscienza, se avete risparmi, non posso che invitarvi a toglierli dalle banche, quantomeno in una parte sufficiente a garantire il vostro mantenimento, qualora l’intero SEBC, con annesse banche commerciali, dovesse fare la fine, che a questo punto è assai facile prevedere.
Matteo Renzi ci guida alla distruzione. Cari giornalisti, prendete alcuni passaggi di questo articolo e provate a fargli qualche domanda sui contenuti REALI dell’Unione Bancaria.
Renzi, benché abbia già dimostrato di non avere scrupoli nell’eseguire gli ordini della finanza, non ha la più pallida idea di cosa sia, di come funzioni e di cosa provocherà questa folle normativa.
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