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Una roccia maculata può indicare che su Marte c’era la vita

Macchie di leopardo scure in una roccia sedimentaria marziana potrebbero essere state create da micro organismi primordiali anaerobici presenti nell’acqua marziana

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Una roccia su Marte è punteggiata di segni scuri può essere il segno che vi era la chimica  di base che sosteneva la vita, miliardi di anni fa.

Trovato sul bordo di un’antica valle fluviale dal rover Perseverance e chiamato Chevaya Falls, il materiale sedimentario venoso contiene composti organici e macchie simili a quelle di un leopardo che indicano reazioni chimiche che i microbi chemio-sintetici avrebbero potuto utilizzare un tempo per ottenere energia.

“Queste macchie sono una grande sorpresa”, afferma l’astrobiologo David Flannery della Queensland University of Technology in Australia. “Sulla Terra, questo tipo di caratteristiche nelle rocce sono spesso associate alla documentazione fossile di microbi che vivono nel sottosuolo”.

Una serie crescente di prove indica sempre più che le condizioni su Marte sarebbero state ospitali per la vita come la conosciamo, una volta. C’era acqua e c’erano le condizioni chimiche nelle quali erano possibili le condizioni per la formazione dei mattoni della vita.

La roccia maculata oggetto dello studio ( fonte NASA)

Gli scienziati ritengono che se dovessimo trovare segni di vita, questa sarebbe simile alla prima vita sulla Terra; microbica e ottimizzata per condizioni di ossigeno basso o nullo.

Ciò che rimane di questa vita sulla Terra può essere difficile da analizzare, in quanto consiste in strati di tappeti microbici fossilizzati, inseriti tra strati di roccia sedimentaria. Parte del compito di Perseverance – una parte consistente, in realtà – è di cercare segni simili su Marte.

Quindi sta pattugliando una regione del pianeta rosso che un tempo era una zona umida, studiando le rocce sedimentarie alla ricerca di firme che riconosceremmo come biologiche qui sulla Terra.

Quando Perseverance ha trovato e poi perforato le cascate di Chevaya, ha trovato i segni più forti che abbiamo visto su Marte fino ad oggi.

Il campione analizzato dal rover ha rivelato materiale organico, ricco di carbonio. C’è molto materiale organico su Marte, ma ci sono anche molti processi non biologici che possono produrre materiale organico, il che significa che la presenza di tale materiale non è di per sé diagnostica.

In presenza di altri segni probabilmente biologici, tuttavia, la presenza di materiale organico diventa più significativa. Sappiamo che le cascate di Chevaya erano un tempo esposte all’acqua. Questo è il primo passo. La roccia è formata da strati di solfato di calcio separati da filoni di ematite – lo stesso minerale che rende Marte così rosso.

E in queste fessure ci sono piccole macchie bianche, bordate di nero, come le macchie di un leopardo. Questi bordi neri intorno alle macchie contengono ferro e fosfato.

Le macchie di leopardo e l’olivina presente nella roccia (Fonte NASA)

Macchie come questa si formano quando una reazione chimica che coinvolge l’ematite nella roccia trasforma una macchia da rossa a bianca, rilasciando ferro e fosfato e causando la formazione di anelli neri. Queste reazioni possono produrre chimica che i microbi possono utilizzare come fonte di energia.

Però ci sono anche altre spiegazioni: le cascate Chevaya contengono olivina, un minerale che si forma nelle rocce vulcaniche. Ciò significa che ci sono altri meccanismi di formazione che non richiedono la presenza di microbi e che possono spiegare le caratteristiche osservate.

Anche l’esposizione ripetuta all’acqua e il surriscaldamento in condizioni vulcaniche potrebbero aver prodotto le vene, le macchie e le inclusioni di olivina nelle cascate Chevaya.

Purtroppo il rover Perseverance ha esaurito il suo kit di strumenti, e non può fare altre analisi. L’ideale sarebbe prendere i caampioni e portarli in un laboratorio sulla Terra, ma questo parà possibile solo in futuro.

“Le cascate di Cheyava sono la roccia più sconcertante, complessa e potenzialmente importante che Perseverance abbia mai studiato”, afferma il geochimico Ken Farley del Caltech.

“Da un lato, abbiamo il primo rilevamento convincente di materiale organico, macchie colorate distintive indicative di reazioni chimiche che la vita microbica potrebbe utilizzare come fonte di energia, e prove evidenti che l’acqua – necessaria per la vita – un tempo passava attraverso la roccia.

“D’altra parte, non siamo riusciti a determinare esattamente come si sia formata la roccia e in che misura le rocce vicine possano aver riscaldato le cascate di Cheyava e contribuito a queste caratteristiche”.

Un mistero che richiederà ancora anni ad essere risolto.


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