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UNA PROPOSTA ITALIANA PER L’AFRICA di Francesco S. Bovi.

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È probabile che a molti politici italiani e porporati nel solco di Papa Bergoglio sfugga un basilare concetto di chimica. Oltre una certa soglia di concentrazione il solvente non è più in grado di sciogliere il soluto, che precipita addensandosi. Illudersi di risolvere il problema dell’invasione migratoria diluendo tra 8.000 comuni italiani tanti nuovi migranti all’anno quanti gli abitanti di una media città capoluogo di provincia, quando il Paese è in regressione demografica, non è un solo fatto di colpevole miopia ma un evidente progetto di sostituzione etnica che spingerà ineluttabilmente l’Italia verso una guerra civile.

È sotto gli occhi di tutti come l’integrazione pacifica con masse etniche eradicate dai Paesi africani di origine non sia realisticamente possibile; non in tempi così accelerati, non con questi numeri.

Eppure una soluzione relativamente semplice per “aiutarli a casa loro” ci sarebbe: basterebbe creare nel continente africano un protettorato dell’Unione Europea, acquisendo in concessione da due o più Stati una regione estesa – poniamo – come la Svizzera, destinata a offrire asilo e a proteggere i milioni di profughi e migranti, consentendo la loro identificazione in loco. Una regione pacificata, presidiata da caschi blu della UE, da suddividere in province federali poste sotto l’amministrazione e la giurisdizione dei vari stati (Germania, Francia, Italia ecc.), nelle quali edificare villaggi, ospedali, strutture sociali, e favorire iniziative produttive per l’autosostentamento, traducendo i costi in un investimento socio-economico per gli stessi Paesi promotori.  

Presso le scuole e le università là impiantate verrebbero insegnate le lingue e impartita la conoscenza dei Paesi di riferimento, nei qual i profughi potrebbero in seguito essere accolti come migranti regolari, culturalmente e professionalmente formati e già parzialmente integrati. Si creerebbe in tale modo una sorta di camera di compensazione con la quale regolare i flussi migratori in piena legalità e sicurezza.

Il protettorato assolverebbe inoltre la più importante funzione di favorire la creazione di nuovi quadri dirigenti per i vari Stati afro-mediorientali, verso i quali profughi dovrebbero essere incoraggiati a ritornare per instaurarvi nuovi governi libertari. 

L’attuale difficoltà di istituire degli hot spot in Libia potrebbe nel mentre essere ovviata – almeno in parte – mediante un accordo tra Bruxelles e laTunisia. Quest‘ultima, grande circa la metà dell’Italia con un quinto della popolazione, è dotata di efficientistrutture alberghiere con capacità ricettiva per decina di migliaia di turisti; strutture che oggi giacciono in gran parte sottoutilizzate o semiabbandonate.

Gli argomenti politici ed economici per convincere il governo tunisino ad aprire le frontiere ai migranti non mancherebbero di certo: da un lato un copioso afflusso di valuta europea (sull’esempio dei 6 miliardi di euro versati da Bruxelles allaTurchia) e l’accollo dell’ospitalità dei rifugiati per iltempo della loro permanenza (in Italia 35 euro al giorno); dall’altro una ridefinizione degli accordi sull‘export del Paese nordafricano verso l’Europa, (il 77 per cento del totale, per un controvalore di circa 12 miliardi di dollari).

E’ verosimile che, prima o poi, questa soluzione politica maturerà in seno alla comunità internazionale per finire sui tavoli della Commisione Europea.

Se l’Italia la facesse propria e la avanzasse per prima troverebbe più di un consenso nell’allontanare il propblema dai confini dell’Europa mediterranea, e nel contempo recupererebbe quel ruolo politico nello scacchiere del Mare Nostrum che nel 2011 le venne proditoriamente sottratto dalle mire petrolifere della Francia di Nicolas Sarkozy, con l’appoggio dell‘allora Segretario di Stato USA, la democratica Hillary Clinton, e quello – in chiave squisitamente antiberlusconiana dell’emerito presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano.  

Fabrizio S. Bovi


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