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Attualità

Una economia dal volto umano e sostenibile per l’ambiente. Ce la possiamo permettere? (di Davide Gioco, da Attivismo.info)

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Molti di noi si stanno rendendo conto della crescente insostenibilità umana dell’attuale sistema economico.

Noi, persone comuni, siamo coloro che producono beni e servizi, siamo coloro che li distribuiscono lavorando nella rete commerciale, conducendo quei furgoni trasportanti merci ordinate online fino a destinazione.

Siamo noi i consumatori, che si trovano di fronte merci a prezzi sempre più “scontati”, ma nello stesso tempo sempre di più con le tasche vuote, avendo perso il lavoro o essendo occupati, nostro malgrado, in un lavoro a orario ridotto e mal retribuito.

La scarsa disponibilità di denaro ci obbliga ad acquistare merci di qualità sempre inferiore, ad un prezzo più basso, che danneggiano la nostra salute e l’ambiente in cui vengono prodotte. E il denaro è sempre più scarso, a causa del perdurare delle assurde politiche di austerità, che sottraggono il denaro alle imprese ed alle famiglie, per concentrarlo nelle mani di pochissimi soggetti privilegiati.

Merci sempre di più prodotte all’estero, dove “il lavoro costa di meno”, in quanto in quei paesi la gente accetta di lavorare con meno diritti sociali di noi (sanità, pensione, rischi di infortuni) e con meno attenzione per l’ambiente (costa meno produrre in paesi dove l’energia elettrica ha origine nucleare o dal carbone, che in Italia dove produciamo energia più pulita).

In Italia 8 organizzazioni (ci va bene, in Francia sono solo 4) controllano gran parte degli acquisti dei prodotti alimentari che vengono venduti nei grandi supermercati. Queste organizzazioni impongono ai piccoli produttori i prezzi, le caratteristiche di cosa devono produrre (il diametro delle zucchine, il colore dei pomodori…).

Decidono se acquistare in Italia o all’estero.
Decidono che cosa ci vogliono vendere, limitando la nostra facoltà di scelta.
Decidono che dobbiamo fare i nostri acquisti in grandi spazi in cui non conosciamo nessuno, in cui non esiste un rapporto umano fra noi che acquistiamo e chi ci sta vendendo le merci.

Il successo di Amazon, che sta “portando a perfezione” il sistema economico in cui viviamo, comporterà la chiusura di molti negozi di paese o di quartiere, dopo che già ci siamo abituati, purtroppo, alla chiusura delle fabbriche.

Il prezzo delle merci è davvero il parametro giusto per misurarne il valore?

Cosa fa la differenza di prezzo fra una scarpa realizzata in Italia ed una scarpa, della medesima qualità, realizzata in Cina? Non parliamo solo di scarpe cinesi di più scarsa qualità (che pure conta), ma di anche scarpe di qualità equivalente.

La differenza fra la scarpa cinese e quella italiana sta nella QUALITA’ UMANA della società in cui è stata realizzata e nel diverso rispetto dell’ambiente.

Le frontiere fra i vari paesi del mondo non sono innanzitutto frontiere geo-politiche, ma sono frontiere giuridiche, sociali, ambientali. Quando paghiamo il prezzo più caro di una scarpa realizzata in Italia, non paghiamo solo il prodotto, ma finanziamo i diritti sociali, le relazioni umane, il rispetto dell’ambiente tipici dell’Italia, che non sono gli stessi in altre parti del mondo. E neppure d’Europa.

Quando torno al mio paese del Monferrato mi appassiono nel “perdere tempo” quando faccio la spesa, incontrando vecchi amici con cui si discute delle “cose di paese”.

Non è un “modo efficiente” di vendere i prodotti. I lavoratori dei centri commerciali o di Amazon non hanno tempo da perdere per parlare con me. Proprio per questo sono “economicamente più competitivi” e potranno proporre dei prezzi inferiori.

Quanta umanità abbiamo perduto cambiando sistema economico?

Ora possiamo fare la spesa più in fretta, ma poi per fare cosa di quel tempo, se non usarlo per socializzare in altri ambienti?
Possiamo forse risparmiare un po’ di denaro (ma non è tutto oro quel che luccica, ne parliamo più avanti).

Certamente abbiamo perduto il valore dei consigli di una persona di paese che conosciamo e di cui ci fidiamo, quando dobbiamo acquistare qualche cosa.

Oltre a questo, la progressiva chiusura dei negozi di paese e di quartiere riduce i nostri centri abitati a dei dormitori, in quanto privati dei luoghi di incontro quotidiano fra le persone.

Quando il cibo consumato era acquistato dal contadino della cascina ed il mobile costruito dal falegname dell’isolato accanto, i vantaggi non si limitavano alle piacevoli relazioni umane ed al rapporto di fiducia. Dal punto di vista economico, il denaro che si era speso veniva ri-speso soprattutto localmente. Ovvero il fatto di pagare “più cari” i pomodori o l’armadio consentiva a quei produttori di avere più denaro da spendere per acquistare ciò che io producevo con il mio lavoro, per cui quel “denaro in più” mi ritornava indietro.

Una maglietta prodotta in Cina mi costa 5 euro, che pagherò e non riceverò più indietro.
Una maglietta prodotta vicino a casa mia mi costa 20 euro, ma quei 20 euro saranno spesi per acquistare altri beni e servizi vicino a casa mia ed alla fine ritorneranno nelle mie tasche.
Nel caso della Cina il bilancio economico netto è -5 euro. Nel caso della produzione locale il bilancio economico netto è 0 euro, in pareggio.

Nel caso della produzione in Cina della maglietta, questo significherà la chiusura della produzione locale, con la perdita di posti di lavoro. E la perdita di posti di lavoro porta, come noto, alla riduzione dei nostri diritti sociali. Mantenendo la produzione locale, vengono mantenuti i posti di lavoro locali e vengono mantenuti i diritti sociali, “pagati” con il prezzo aggiuntivo di 15 euro per maglietta. 15 euro che ci ritornano, in più come diritti sociali, e di fatto, a causa della circolazione del denaro.

Nel caso della produzione in Cina della maglietta avremo, probabilmente, un fiume inquinato, a causa di una scarsa sensibilità ambientale e di una legislazione meno stringente in materia. E avremo molte più emissioni di anidride carbonica, a causa della produzione di energia elettrica basata sul carbone. Producendo la stessa maglietta in Italia non avremmo inquinamento dei fiumi (vietato dalle nostre leggi) ed una quantità minore di emissioni di anidride carbonica.

Dobbiamo superare, innanzitutto culturalmente, l’attuale sistema che misura il valore delle merci, e delle nostre relazioni umane e con l’ambiente, unicamente sulla base del prezzo.

Dobbiamo liberarci dall’assurdo concetto di “competitività economica” finalizzata alla massimizzazione del profitto “monetario”, che dimentica che noi esseri umani siamo esseri sociali, collaborativi, parte viva dell’unico pianeta che ci è dato di abitare.

Il sistema produttivo italiano era un sistema ideale per attuare tutto questo, in quanto era basato su piccole e medie imprese, sui negozi di quartiere, di persone capaci di valorizzare le relazioni umane, di sviluppare modalità produttive rispettose dell’ambiente e della salute dei cittadini, se non sottomessi ad eccessi di concorrenza che li obblighino a scegliere fra la sopravvivenza ed il rispetto delle leggi.

L’attuazione di questa rivoluzione economica, affrancandoci dai condizionamenti della grande finanza, della grande distribuzione organizzata, dagli eccessi di scambi commerciali con l’estero, dagli eccessi di concorrenza sul mercato, è l’unica possibilità che abbiamo per garantire la sopravvivenza economica e sociale dell’Italia.

Se non lo faremo, siamo destinati alla distruzione, diventando lavoratori schiavi delle grandi centrali di acquisto, indebitati nei confronti delle grandi società finanziarie, nutriti con cibo scadente e malati a causa dell’inquinamento dell’ambiente in cui viviamo.

In Italia esistono realtà che si occupano di questi temi. Esiste la Rete di Economia Solidale, esistono gruppi di acquisto organizzato a livello locale e, in alcuni casi, a livello nazionale. Esistono delle associazioni consumatori. Esistono organizzazioni che promuovono l’uso di monete complementari locali. Esistono centinaia, migliaia di piccole e medie imprese che operano con grande attenzione alle ricadute sociali della loro attività ed al rispetto dell’ambiente.

Il passo successivo potrebbe essere, con coraggio e determinazione, la creazione di un “nostro” circuito economico.
Una economia dal volto umano e sostenibile per l’ambiente.

Ce la possiamo permettere. Senza ombra di dubbio.

 


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