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Una base USA da 10.000 uomini vicino a Gaza? Il Pentagono pianifica, la Casa Bianca, per ora, smentisce
Domande e risposte
Ma quindi ci saranno soldati americani a Gaza? No, almeno secondo le fonti ufficiali USA. La base sarebbe destinata a ospitare una “Forza di Stabilizzazione Internazionale” composta da truppe di varie nazioni, ma non statunitensi. La richiesta di informazioni è gestita dalla Marina USA per conto di questa potenziale forza multinazionale, che opererebbe in coordinamento con Israele ed Egitto.
Perché la Casa Bianca smentisce se la Marina cerca i contraenti? È una dinamica comune. Le agenzie militari (come il Pentagono) fanno pianificazioni di contingenza per ogni evenienza. Questa richiesta (RFI) è un passo molto preliminare, non un contratto firmato. La Casa Bianca, politicamente, smentisce per non creare tensioni diplomatiche o aspettative, affermando che “i massimi livelli” non hanno ancora approvato il piano. È un modo per tenere le mani libere.
Che impatto avrebbe questa base sulla sicurezza di Israele? Significativo. Anche se la base è “temporanea” (12 mesi) e per truppe internazionali, la sua sola presenza fisica costituirebbe un deterrente. Inoltre, una struttura logistica avanzata per 10.000 persone, finanziata dagli USA e vicina a Gaza, diventerebbe inevitabilmente un nodo strategico. Potrebbe facilmente integrarsi nei sistemi di difesa aerea regionali, fornendo supporto e profondità alla difesa israeliana nell’area meridionale.

Il Dipartimento della Difesa USA, nello specifico la Marina, sta sondando il terreno per una mossa che potrebbe cambiare la logistica (e forse gli equilibri) in Medio Oriente. Secondo un documento di appalto interno – una “Request for Information” (RFI) – visionato da Bloomberg, si sta valutando la costruzione di una base militare temporanea vicino a Gaza, capace di ospitare la bellezza di 10.000 persone.
L’obiettivo dichiarato è fornire supporto logistico a una potenziale “Forza di Stabilizzazione Internazionale” destinata a monitorare il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas, siglato il mese scorso dopo oltre due anni di conflitto.
Questa mossa, per quanto preliminare, rappresenta un chiaro investimento dell’amministrazione Trump nel tentativo di stabilizzare la regione, fornendo l’infrastruttura “keynesiana” necessaria per una forza multinazionale che, nei piani, dovrebbe supervisionare la ricostruzione del territorio.
Eppure, come spesso accade nelle complesse burocrazie, la mano destra (militare) non sembra perfettamente coordinata con la sinistra (politica). Interpellata sulla questione, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha gettato abbondante acqua sul fuoco. Ha definito la notizia “basata su un singolo pezzo di carta prodotto da persone a caso all’interno delle forze armate”, precisando che “un piano del genere non è stato considerato o approvato ai massimi livelli”. Intanto però viene preparato…
Insomma, circolare, non c’è (ancora) nulla da vedere. O forse sì?
I dettagli tecnici della base (non ancora esistente)
Una RFI non è un appalto formale e non garantisce un contratto futuro, ma offre una finestra molto tecnica su ciò che il Pentagono sta pianificando. La richiesta, inviata a contraenti pre-qualificati il 31 ottobre (con scadenza rapida al 3 novembre), non lascia spazio a dubbi.
Si cerca una “soluzione completa chiavi in mano” per una base autosufficiente della durata di 12 mesi. Le specifiche includono:
- Capacità di alloggio per 10.000 persone al massimo.
- 10.000 piedi quadrati (circa 930 mq) di spazi per uffici.
- Un “piano di sicurezza completo” che includa controllo accessi, risposta alle minacce e procedure per “eventi con vittime di massa”.
- Gestione totale dei servizi: tre pasti al giorno per 10.000 persone, gestione di acqua e rifiuti, generazione di energia, lavanderia, rete di comunicazione e una clinica medica.
Una vera e propria cittadina completamente autonoma, ma anche un eventuale bel problema per gli USA, se venisse costruita.
Un investimento strategico
Un funzionario statunitense, ovviamente anonimo, ha specificato che si tratta di una pianificazione iniziale e che la base sarebbe destinata alla forza di stabilizzazione, sottolineando che nessuna truppa statunitense sarebbe coinvolta direttamente nell’operazione a Gaza.
Tuttavia, la costruzione di una struttura del genere non è mai neutrale. Come riportato per primo dalla testata investigativa israeliana Shomrim, una base così imponente e avanzata, anche se gestita da contraenti privati, diventerebbe inevitabilmente un nodo strategico. Non solo un investimento per la stabilizzazione, ma di fatto un “punto fisso” avanzato che si integrerebbe perfettamente nel sistema di difesa aerea di Israele, fornendo una profondità strategica cruciale nell’area meridionale.
Da parte israeliana, il portavoce militare Nadav Shoshani è rimasto cauto, dichiarando di “non avere nulla di concreto” da condividere, pur ammettendo che “ci sono diverse idee sul tavolo”. Storicamente Israele è restio a ospitare grandi basi USA, ma una struttura “temporanea” per una forza internazionale potrebbe essere un compromesso accettabile.
Piccola nota a margine, per gli amanti della burocrazia: il veicolo contrattuale che verrebbe utilizzato, il WEXMAC della Marina, è lo stesso che l’amministrazione Trump ha riconvertito per soddisfare la domanda di maggiori spazi di detenzione per l’immigrazione, come il campo da 5.000 posti a El Paso. Dalla frontiera col Messico a quella di Gaza, la grande macchina della spesa pubblica (militare e civile) non si ferma mai.
Domande e risposte
Ma quindi ci saranno soldati americani a Gaza? No, almeno secondo le fonti ufficiali USA. La base sarebbe destinata a ospitare una “Forza di Stabilizzazione Internazionale” composta da truppe di varie nazioni, ma non statunitensi. La richiesta di informazioni è gestita dalla Marina USA per conto di questa potenziale forza multinazionale, che opererebbe in coordinamento con Israele ed Egitto.
Perché la Casa Bianca smentisce se la Marina cerca i contraenti? È una dinamica comune. Le agenzie militari (come il Pentagono) fanno pianificazioni di contingenza per ogni evenienza. Questa richiesta (RFI) è un passo molto preliminare, non un contratto firmato. La Casa Bianca, politicamente, smentisce per non creare tensioni diplomatiche o aspettative, affermando che “i massimi livelli” non hanno ancora approvato il piano. È un modo per tenere le mani libere.
Che impatto avrebbe questa base sulla sicurezza di Israele? Significativo. Anche se la base è “temporanea” (12 mesi) e per truppe internazionali, la sua sola presenza fisica costituirebbe un deterrente. Inoltre, una struttura logistica avanzata per 10.000 persone, finanziata dagli USA e vicina a Gaza, diventerebbe inevitabilmente un nodo strategico. Potrebbe facilmente integrarsi nei sistemi di difesa aerea regionali, fornendo supporto e profondità alla difesa israeliana nell’area meridionale.








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