Analisi e studi
Un decreto legge per sterilizzare la fattura elettronica. Matteo, pensaci tu! (di P. Becchi e G. Palma su Libero di ieri)
Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di ieri, 08 gennaio 2019.
Dal 1° gennaio è entrato in vigore l’obbligo di emissione della fattura elettronica tra partite Iva. Una boiata ereditata dal Partito Democratico che l’attuale governo non è riuscito a bloccare. L’obbligo riguarda il regime Iva ordinario, mentre ne sono esclusi – quantomeno per le fatture in uscita – il regime dei minimi, cioè di durata limitata nel tempo e fino a 30 mila euro di reddito l’anno, e quello forfettario, di durata temporale illimitata e il cui tetto è stato innalzato (per fortuna!) fino a 65 mila euro di reddito annui.
A parte il mal funzionamento del sistema operativo dell’Agenzia delle entrate, andato più volte in tilt in questi giorni, il problema è di natura politica. Uno Stato democratico che si dimostri troppo invasivo, tanto nel fisco quanto nella libertà degli individui, fa presto a trasformarsi in Stato di polizia. Il principio democratico non si risolve unicamente nel voto popolare, ma anche in un rapporto fiduciario tra Stato e cittadini dove sono i secondi a dover “controllare” il primo e non viceversa. Non è un caso infatti che non sia il governo bensì il Parlamento, organo costituzionale elettivo, ad esercitare la sovranità popolare, e proprio per questo gli eletti rispondono agli elettori. La cultura del sospetto in ambito fiscale, introdotta in Italia dall’insediamento del governo Monti in avanti, ha distrutto il rapporto fiduciario rendendo lo Stato un’entità distante dalle reali esigenze popolari. Del resto, sul tema della fattura elettronica, siamo l’unico Paese in Europa ad averne introdotto l’obbligatorietà. Un brutto affare.
Il governo si è trovato tra le mani la patata bollente lasciata dal PD e, per evitare ulteriori rotture con la Commissione europea, non se l’è sentita di rinviare l’obbligo. Anche perché avrebbe dovuto trovare 2 miliardi di euro che i precedenti governi avevano previsto quali maggiori entrate per le casse dello Stato, dovute proprio dall’introduzione dell’obbligo della fattura elettronica tra partite Iva. Un calcolo demenziale. L’obbligatorietà della fatturazione elettronica spingerà infatti professionisti e imprese che si trovino in regime fiscale forfettario (non servendo a questi alcuna fattura in entrata in quanto la detrazione avviene in quota fissa già stabilita per legge), a non pretendere il rilascio della fattura da parte di quelle imprese che si trovino invece in regime fiscale ordinario, e quindi obbligate ad emettere fatture elettroniche. Ciò produrrà una corsa a ridurre il numero di fatture in uscita. I 2 miliardi previsti dal PD quali maggiori entrate sono dunque stati calcolati coi piedi.
Ora però, evitata la procedura di infrazione e portata a casa la legge di bilancio, bisogna intervenire subito abrogando l’obbligatorietà. Il “contratto di governo” prevede un nuovo rapporto cittadini-fisco, col superamento degli strumenti invasivi di accertamento fiscale e l’inversione dell’onere della prova in ambito tributario, che Monti aveva scaricato sul contribuente e che nelle intenzioni del “contratto” deve tornare invece a carico dell’Amministrazione finanziaria. Si tira in ballo sempre questo cazzo di contratto: bene, allora applicatelo anche in questo caso!
Lo strumento legislativo per intervenire in tempi brevi è il decreto legge, da convertirsi in legge entro sessanta giorni. Il decreto dovrebbe semplicemente prevedere la sospensione dell’obbligatorietà, mentre la legge di conversione dovrebbe abrogare l’obbligo. L’art. 77 della Costituzione prescrive per i decreti legge il requisito dei “casi di straordinaria necessità e urgenza”, che nel caso di specie sono rinvenibili sia nel cattivo funzionamento del sistema operativo, sia nel dover garantire in tempi brevi che il principio di uguaglianza non subisca una compressione irragionevole a causa della diversità di trattamento tra regimi Iva differenti.
L’elettorato leghista al Nord è in larga parte costituito da piccoli e medi imprenditori, e parecchie imprese sono in regime fiscale ordinario. Si pensi ad esempio alle fabbriche del nord-est, alle officine metalmeccaniche del nord-ovest oppure alle centinaia di migliaia di professionisti e commercianti che tirano la baracca. Tutte piccole e medie realtà imprenditoriali ma talvolta con fatturati superiori a 65 mila euro l’anno, benché con utili appena sufficienti a far campare la famiglia. Se Salvini non prende di petto la situazione e non vi pone rimedio prima delle elezioni europee, nelle urne troverà meno voti a vantaggio di Fratelli d’Italia e Forza Italia, che contro la fattura elettronica si sono battuti dall’opposizione sin dall’inizio e continuano a farlo.
Salvini deve tornare per un momento ad essere il leader del vecchio centrodestra. Se non lo farà sarà purtroppo l’unico a pagarne le conseguenze politiche.
Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di ieri, 08 gennaio 2019.
Consiglio letterario: “Dalla Seconda alla Terza Repubblica. Come nasce il governo Lega-M5S“, di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, con Prefazione di Matteo Salvini, Paesi edizioni, luglio 2018: https://www.amazon.it/Dalla-Seconda-Repubblica-governo-Lega-M5S/dp/8885939074/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1546966736&sr=1-1&keywords=dalla+seconda+alla+terza+repubblica
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