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UN CONSIGLIO A SALVINI: MEGLIO CARDINALE CHE PAPA di Fabio Dragoni

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Per la formazione del prossimo Governo non si prevedono tempi immediati o quanto meno brevi. Nessuna delle forze in parlamento ha la maggioranza assoluta dei seggi. E le pressioni delle cancellerie europee sul Quirinale si fanno e si faranno ogni giorno che passa più insistenti. Quasi sfacciate se non spacciate.

Senza bisogno di essere ricevuti da Mattarella, gli ambasciatori da Parigi e Berlino hanno le idee chiare. Un governo Salvini non s’ha da fare. Ne ora né mai. Molto meglio Di Maio, che pur di governare sarebbe dispostissimo a siglare un nuovo personalissimo Patto del Nazzareno. E se proprio Di Maio vuole la bicicletta, che lo si lasci pedalare. Il groviglio sembra solo apparentemente inestricabile.

Esaminiamo la situazione alla Camera dei Deputati. Al Centro Destra servirebbero almeno una cinquantina di voti in più rispetto a quelli disponibili. Anche immaginando che dal Gruppo Misto arrivino tutti i 14 deputati attualmente non riconducibili ad alcun schieramento, i numeri sarebbero comunque consistenti.  Sperare di guadagnarli immaginando emigrazioni di massa da parte degli altri schieramenti ad inizio legislatura è piuttosto improbabile. Lo sarebbe a governo già insediato di fronte ad una prospettiva di sua caduta e conseguente rischio di ritorno alle elezioni. Qui molti sarebbero i peonesa trasformarsi in “responsabili”. Ma servirebbe un casus belli. Un pretesto per litigare. Bisticciare prima ancora di mettersi all’opera e quindi divorziare dal proprio gruppo non è così facile.

Per il Movimento Cinque Stelle la strada è ancora più in salita dal momento che per raggiungere la maggioranza assoluta alla Camera servirebbero un centinaio di deputati o comunque almeno 85 sempre ipotizzando che i soliti 14 peones del Gruppo Misto siano pronti ad appoggiare un qualsiasi governo pur di non andare alle elezioni. Se infine Di Maio volesse veramente pescare la carta del PD, finirebbe per trovarsi in mano il gobbo nero. E Salvini all’opposizione stapperebbe champagne a fiumi. Per questo non accadrà.

La razionale tentazione di Salvini di menarla per le lunghe è inoltre forte. Le probabilità che possa aggiudicarsi il governo di Friuli Venezia Giulia e Molise nelle elezioni di fine aprile è alta. Il suo potere contrattuale aumenterebbe. Ed arrivare almeno a fine mese, con due giri di consultazioni quirinalizie e connesse pause di riflessione assieme al ponte del 25 aprile è un gioco da ragazzi.

Sfrutti Salvini il tempo che rimane per stendere un vero e proprio contratto di governo fatto di premesse ed impegni; stabilendo cosa fare (non oltre 10 cose lui sa quali), tempi di realizzazione (ovvero grosso modo entro quando si deve fare cosa), modalità di implementazione (decreto legge immediatamente esecutivo e successiva approvazione del parlamento entro 60 giorni ovvero proposta di legge) ed un tagliando di controllo alla fine. Quello che nella Prima Repubblica si sarebbe chiamato verifica di governo. Prevedendo in anticipo cosa fare dopo.  

Non sottovaluti Matteo l’ipotesi di staffetta come ventilata dal Prof. Paolo Becchi lasciando a Di Maio l’onore di fare il presidente per primo, visto che ci tiene così tanto. E stando pronto aprendere le redini del governo ovvero a litigare qualora le cose non filassero tutte per il verso voluto. Come del resto è facile prevedere. Magari andando alle urne con una legge elettorale nel frattempo modificata. Ovvero raccogliendo i cocci di una maggioranza in frantumi. Non si preoccupi Matteo della lunghezza del contratto di governo. E lo renda pubblico. Mai nessuno prima d’ora si è mosso in questo modo.

Si ricordino i protagonisti che chi dei due contendenti rinunciasse alla premiership, avrebbe titolo e diritto a pretendere comunque due dicasteri chiave: Economia ed Interni. Tutto il resto deve essere lasciato agli altri. A partire dalla premiership. Che stia lontano inoltre Salvini dal Viminale. Come se fosse la peste bubbonica. Gli uomini capaci di amministrare i dossier più delicati lontano dai riflettori non gli mancano certo. Uno su tutti Giancarlo Giorgetti. Una vita da mediano. Scelga Matteo il dicastero dell’economia. I collaboratori su cui appoggiarsi non gli mancano. Ne contiamo almeno quattro. Borghi, Bagnai, Siri e Garavaglia. Potremmo fare quasi una squadra di calcetto.

Da ministro dell’economia si attenga ad una semplice regola nell’esercizio del suo dicastero. Valuti l’impatto delle sue decisioni sul PIL in termini di maggiori consumi ed importazioni. Ogni nuova manovra del Governo dovrà infatti essere espansiva. Aumenteranno cioè i consumi e quindi aumenterà il PIL. Ma aumenteranno anche le importazioni e ciò contribuirà alla riduzione del reddito interno invece. E’ la croce dell’avere una moneta innaturalmente sopravvalutata. Rende le importazioni più convenienti. Aumenterà il deficit della bilancia commerciale. Quello sarà il segnale per scatenare l’inferno. Avrebbe detto Russel Crowe ne “Il Gladiatore”.

Quando infatti il deficit delle partite correnti raggiungerà livelli di guardia,  chi gli sta intorno saprà come consigliarlo al meglio avendo sperabilmente nel frattempo già messo in circolazione 70 miliardi di minibot. Sarà il momento ideale per propiziare la disintegrazione dell’euro; perché questo è il destino di ogni moneta unica come rivela uno studio del 2015 dell’Università di Oxford. Oltre 70 casi di disgregazione monetaria nel secondo dopoguerra. In pratica una l’anno. Ed in due casi su tre chi ha lasciato la moneta unica è tornato a correre fina dal primo anno del divorzio con un tasso mediano di crescita del 2,7%. In altre parole: le unioni monetarie sono come i coglioni. Si rompono.  

Fabio Dragoni


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