Economia
L’Affronto a Bengasi: quando l’Europa (e l’Italia) si fanno scolaretti timidi, qualcuno gli dà una lezione
Un’analisi del recente incidente diplomatico libico, dove la sovranità si fa scudo e l’Europa scopre di non essere poi così “influente”, anzi di non contare nulla senza la Marina Militare…

Martedì scorso, la delegazione europea, composta dal Commissario UE per gli Affari Interni e la Migrazione Magnus Brunner, e dai ministri dell’Interno di Italia (Matteo Piantedosi), Malta (Byron Camilleri) e Grecia (Thanos Plevris), ha vissuto una giornata che verrà ricorderata a lungo. O forse no, considerata la memoria corta che spesso affligge le diplomazie. L’obiettivo era incontrare il governo di Osama Hamad, alleato del generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica e ampie zone del sud della Libia. Tutto normale, penserete. Invece no, questo semplice meeting si è concluso con un’umiliazione epocale.
Il “dramma” si è consumato all’aeroporto di Bengasi. La delegazione, fresca di un incontro con il governo di Tripoli, quello riconosciuto dall’ONU ma in perenne affanno e in contrasto con Haftar, si è vista negare l’ingresso e dichiarare addirittura “persona non grata“. Il motivo? Avrebbero “disatteso la sovranità nazionale libica”.
Una scusa pretestuosa, certo, ma che la dice lunga su chi, al momento, sente di avere il coltello dalla parte del manico. Il governo di Bengasi aveva infatti diramato un avviso il giorno prima, precisando che qualsiasi visita o missione diplomatica richiedeva una loro previa autorizzazione. Evidentemente, l’Europa ha deciso di ignorarlo, magari pensando che le regole valgano per tutti tranne che per la UE.
La Dura Realtà di Haftar e la Timidezza Europea
Questo affronto, tutt’altro che un semplice incidente diplomatico, è gravissimo. Khalifa Haftar se lo può permettere per diverse ragioni, e nessuna di esse depone a favore della politica estera europea. In primis, il generale libico conta ormai su un solido appoggio russo. La verità è che l’Europa, distratta da altre priorità o forse semplicemente inerme, non ha mosso un dito per impedire la ricollocazione di Mosca nel paese dalla Siria. Un classico “se lo meritano”, sussurrerebbe qualcuno, ma di certo non è una buona notizia per gli interessi occidentali nel Mediterraneo.
In secondo luogo, Haftar sa benissimo con chi ha a che fare. L’Italia, in particolare, è percepita come un paese timido, impaurito, con una Marina sì relativamente potente, ma che resta “in potenza”, quasi mai in azione. L’idea di un’azione decisa da parte italiana, anche solo diplomatica con un minimo di “muscoli” dietro, sembra un’utopia. Se un episodio del genere fosse accaduto a un ministro turco, probabilmente avremmo visto la portaeromobili della Marina militare Anadolu stazionare di fronte al porto di Bengasi , non per un picnic, ma per ricordare che la Turchia usa la propria marina per raggiungere i propri scopi nazionali. “Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”, recita un vecchio adagio. E in questo caso, l’Europa (e l’Italia) si sono presentate a Bengasi con un bel campanellino al collo.
Troppa improvvisazione?
Resta, al di là dell’ironia amara, un dubbio legittimo che aleggia sui corridoi della Farnesina e dei servizi di intelligence. Qualcuno, prima di organizzare questa spedizione, aveva avuto le relative garanzie sull’accesso a Bengasi? Queste garanzie sono state verificate? Esisteva un garante politico in loco in grado di rendere la visita possibile? Oppure, come spesso accade, tutto è stato organizzato “all’Europea”, ovvero a casaccio?
La sensazione, non confortante, è che la seconda ipotesi sia la più probabile. E se è così, questo incidente non è solo un affronto, ma anche una sonora batosta alla credibilità e alla capacità di agire di un’Europa che, nel Mediterraneo, sembra sempre più un gigante dai piedi d’argilla.
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