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Ucraina: Kiev cede e apre al “Piano Trump”. L’Europa dei falchi da salotto resta a guardare

L’ora della verità, quella che molti a Bruxelles e Berlino temevano come la peste, è scoccata. Mentre i leader europei si affannano in vertici che sanno tanto di terapia di gruppo a Johannesburg, la storia – quella vera, fatta di mappe, sangue e firme su decreti – sta prendendo una direzione precisa. L’Ucraina ha accettato di sedersi al tavolo. Non un tavolo qualsiasi, ma quello imbandito dagli Stati Uniti di Donald Trump, sulla base di un piano in 28 punti che ha il sapore amaro del realismo e la consistenza del cemento armato.
Lontano dalle retoriche sulla “vittoria totale” che hanno dominato la narrazione occidentale per oltre due anni, Kiev si prepara a quelle che vengono diplomaticamente definite “consultazioni” in Svizzera. La realtà è molto più cruda: è l’inizio della fine delle ostilità, alle condizioni dettate da chi paga il conto (Washington) e da chi avanza sul terreno (Mosca).
La mossa di Zelensky: realismo o disperazione?
La notizia è deflagrata sabato con la conferma ufficiale: Volodymyr Zelensky ha firmato un decreto per formare la delegazione che tratterà con gli USA e, indirettamente, con la Russia. Non è un dettaglio da poco analizzare chi comporrà questa squadra. A guidarla sarà il fedelissimo capo dell’ufficio presidenziale, Andriï Iermak, affiancato dai vertici dei servizi di sicurezza, dell’intelligence e dallo Stato Maggiore.
È una delegazione essenzialmente militare e tecnica, come si addice alla firma di un armistizio. Questo ci dice una cosa fondamentale: non si andrà in Svizzera per discutere di filosofia politica o di aspirazioni europeiste, ma di confini, zone smilitarizzate e garanzie di sicurezza concrete. Si parlerà di dove si fermano i carri armati, e quando.
Secondo quanto trapelato, l’amministrazione Trump ha dato un ultimatum: accettare il piano entro giovedì. Un take it or leave it (prendere o lasciare) tipico dello stile negoziale del tycoon, che mette Kiev di fronte a una scelta esistenziale: perdere la “dignità” (o meglio, l’illusione della riconquista totale) o perdere il supporto vitale americano.
Il Piano Americano e la sponda di Mosca
Il piano di pace statunitense, stando alle indiscrezioni e alle reazioni, ruota attorno al congelamento dell’attuale linea del fronte e al riconoscimento de facto delle istanze russe su territori chiave come il Donbass e la neutralità dell’Ucraina rispetto alla NATO.
E Mosca? Vladimir Putin, con il tempismo di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico, ha definito le proposte USA “una base per la risoluzione del conflitto“. Non senza aggiungere il consueto avvertimento: se Kiev rifiuta, le forze russe avanzeranno ancora. E non è un bluff: la caduta di quasi tutta la città di Kupiansk a inizio novembre dimostra che la dinamica sul campo è favorevole ai russi. Gli ucraini combattono coraggiosamente, ma arretrano.
Putin ha gioco facile a dire che “l’Ucraina era contro, ma gli europei non capiscono la realtà”. La Russia controlla poco più del 19% del territorio ucraino. L’obiettivo del Cremlino resta il controllo totale degli oblast di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. Il messaggio è chiaro: questo è il miglior accordo che potete ottenere oggi. Domani sarà peggiore.
L’isteria tedesca e l’impotenza europea
Mentre Washington e Mosca delineano il futuro dell’Est Europa, la reazione del Vecchio Continente oscilla tra il panico e l’indignazione isterica. È qui che la situazione assume i contorni di una farsa tragica.
In Germania, il piano americano è stato accolto con grida di dolore. I Verdi tedeschi, trasformatisi negli ultimi anni nel partito più bellicista d’Europa, gridano al tradimento. La leader Franziska Brantner parla di “tentativo di sottomissione dettato da Putin”. I liberali della FDP, per bocca di Marie-Agnes Strack-Zimmermann, definiscono la pace americana “folle” e “distruttiva per la NATO”, ma son talmente sostenuti dai tedeschi da non essere in parlamento.
Anche la CDU, ora al governo con il Cancelliere Friedrich Merz, mostra i muscoli. Roderich Kiesewetter definisce la proposta un “piano di capitolazione”. Si evocano i fantasmi di Monaco 1938, si parla di “piano diabolico” perché apparentemente ragionevole.
Tuttavia, c’è un gigantesco elefante nella stanza che nessuno a Berlino vuole vedere: l’Europa non ha alcuna alternativa credibile.
I leader europei – Merz, Macron, Starmer – si incontrano a margine del G20, discutono, rilasciano dichiarazioni congiunte sulla necessità di una “pace giusta”. Ma la verità è che l’Europa si è comportata come un tifoso scalmanato a un incontro di boxe: ha urlato, incitato, sventolato bandiere, ma è rimasta comodamente seduta a bordo ring.
Ecco un quadro riassuntivo delle posizioni attuali:
| Attore | Posizione Ufficiale | Realtà Sottostante |
| Stati Uniti (Trump) | Pace rapida, piano in 28 punti. | Vogliono chiudere il rubinetto finanziario e spostare l’attenzione sulla Cina. |
| Russia (Putin) | Apertura al piano USA come “base”. | Posizione di forza militare; pronti a prendere di più se il negoziato fallisce. |
| Ucraina (Zelensky) | Accetta “consultazioni” per necessità. | Tra l’incudine russa e il martello americano. Rischio collasso interno. |
| Germania (Merz/Verdi) | Indignazione, rifiuto del piano. | Nessuna capacità militare autonoma per sostenere la guerra senza gli USA. |
| Francia/UK | Sostegno verbale a Kiev. | Irrilevanza strategica nel negoziato diretto USA-Russia. |
Il “Tifoso” europeo e il prezzo del biglietto
L’ipocrisia europea raggiunge vette inesplorate. Per anni, cancellerie e media mainstream hanno sostenuto la linea della vittoria militare a tutti i costi, dipingendo ogni tentativo di negoziato come intelligenza col nemico. I media europei, espressione di una maggioranza politica che ha investito tutto sulla sconfitta russa, oggi parlano di “umiliazione”.
Ma chi è stato davvero umiliato? Forse l’illusione che l’UE fosse un attore geopolitico autonomo. Francesi, tedeschi e britannici erano disposti a combattere fino all’ultimo ucraino, fornendo armi (spesso col contagocce o in ritardo) ma guardandosi bene dall’inviare i propri figli al fronte. Hanno delegato il sacrificio di sangue a Kiev e la sicurezza strategica a Washington. Ora che Washington cambia idea, l’Europa scopre di essere nuda.
Il rischio mortale per Zelensky
L’unico attore che rischia la pelle, in senso letterale e politico, è Volodymyr Zelensky. Accettare il piano Trump significa ammettere che i confini del 1991 sono, per ora, una chimera. Significa dover spiegare al suo popolo perché sono morte centinaia di migliaia di persone per tornare a un accordo che, forse, poteva essere raggiunto (con condizioni migliori) nell’estate del 2023 o addirittura a Istanbul nel 2022.
Se Zelensky avesse chiuso la partita quando la controffensiva mostrava i primi segni di stanchezza, o quando aveva ancora capitale politico da spendere, la sua posizione sarebbe stata più solida. Oggi rischia di essere travolto dalla rabbia interna: dai nazionalisti che lo accuseranno di resa e dalla popolazione esausta che chiederà conto dei lutti e delle distruzioni che non hanno portato alla vittoria promessa, il tutto condito da scandali di corruzione tutti attorno a lui.
Conclusioni: il ritorno della Realpolitik
Quello a cui assistiamo è il ritorno prepotente della realtà sulla propaganda. La guerra è una questione di logistica, industria e demografia, non solo di “valori” o comunicati stampa del G7.
Il piano americano, per quanto brutale possa apparire agli occhi dei sognatori europei, prende atto di una situazione: la Russia non è collassata, l’Ucraina non può riconquistare tutto con la forza e l’Occidente non vuole la Terza Guerra Mondiale. Le élite europee ormai cercano solo di auto-giustificare la propria esistenza al potere nonostate gli incredibili errori commessi.
Agli europei resta l’amarezza di aver scommesso tutto su una strategia fallimentare senza avere un “Piano B”. E mentre a Berlino ci si straccia le vesti parlando di Monaco ’38, a Washington e Mosca si ridisegnano le mappe. Ancora una volta, l’Europa paga il biglietto, ma la partita la giocano altri.
Domande e risposte
Cosa prevede concretamente il piano in 28 punti per i territori occupati?
Sebbene i dettagli siano riservati, le indiscrezioni e le dichiarazioni di Putin suggeriscono un congelamento della linea del fronte. I territori attualmente sotto controllo russo (Donbass, parte di Zaporizhzhia e Kherson) rimarrebbero de facto sotto amministrazione russa, pur senza un riconoscimento giuridico internazionale immediato, simile al modello coreano o cipriota. L’Ucraina dovrebbe rinunciare a riconquistarli con la forza in cambio di una cessazione delle ostilità e garanzie di sicurezza diverse dall’articolo 5 della NATO.
L’Ucraina entrerà nella NATO dopo questo accordo?
Molto probabilmente no, almeno non nel breve-medio termine. Uno dei punti cardine per la Russia, e apparentemente accettato nella bozza Trump, è la neutralità di Kiev o comunque una moratoria sull’adesione all’Alleanza Atlantica. Questo è il “prezzo” politico principale richiesto a Zelensky per fermare l’avanzata russa. In cambio, l’Ucraina riceverebbe forniture di armi per l’autodifesa (il modello “porcospino”) ma senza l’ombrello nucleare diretto dell’Occidente che scatenerebbe una guerra mondiale.
Quali sono i rischi interni per Zelensky accettando questo piano?
I rischi sono altissimi. Zelensky ha costruito la sua legittimità sulla promessa della vittoria totale e del ritorno ai confini del 1991. Accettare amputazioni territoriali potrebbe scatenare una rivolta delle frange nazionaliste e dell’esercito, che si sentirebbero traditi. D’altro canto, la popolazione civile è stremata. Il Presidente rischia di essere il capro espiatorio sia per la sconfitta (dai falchi) sia per aver prolungato la guerra inutilmente (dalle colombe), aprendo una fase di profonda instabilità politica a Kiev.










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