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Turchia: strada in salita, ma con una possibile soluzione vicina

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Dell’economia turca non si è parlato molto, a parte qualche accenno durante la scorsa estate e l’articolo di Tanja Rancani sulla bolla immobiliare locale non si è letto molto. Eppure il caso della  Turchia è forse un esempio da manuale dei problemi che può portare una crescita eccessiva e forzata.

Prima di tutto notiamo che il PIL della Turchia è ancora crollato nel IV trimestre 2018:

La comparazione qui è con un altro paese, l’Argentina, facente parte degli emerging market con qualche problema. Abbiamo un calo  del PIL del 2,4% trimestre su trimestre. Si calcola  che rispetto al picco il PIL possa decrescere del 10%

Naturalmente una contrazione economica di queste dimensioni viene a portare delle conseguenze anche nei bilanci con l’estero, soprattutto come contrazione delle importazione. In questo caso poi la svalutazione ha favorito le esportazioni del settore industriale turco, ancora in fase di sviluppo, e il combinarsi di questi effetti, unito all’esaurirsi della spinta alla fuga dei capitali, ha portato per la  prima volta dopo tempo le  partite correnti in positivo (qui si indica il deficit, che quindi diventa negativo)

La linea nera indica il saldo della partite correnti.

La Turchia non è nuova a questi eventi, a queste forti oscillazioni economiche: ne ha già vissute a cavallo del 2000 e nel 2008, ma , in questo caso , la profondità non è stata come negli eventi precedenti. Il maggior peso del settore manifatturiero rispetto al passato tende a riequilibrare l’economia quando vi sono questo tipo di eventi svalutativi.

Naturalmente , per fermare inflazione e svalutazione, la Banca centrale ha effettuato una stretta monetaria impressionante con un aumento dei tassi di interesse del 19% secondo solo a quello dell’Argentina. Una cura da cavallo, con delle forti ricadute economiche.

Ora il problema è che politicamente Erdogan basa il suo consenso sulla crescita economica, e questa ne esce ferita. Solo una rapida ripresa potrà permettergli di conservare la presa sul potere, altrimenti rischia di seguire l’anziano presidente algerino, costretto a lasciare il potere sull’onda delle proteste popolari.

 

 


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