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Tungsteno: il Tallone d’Achille dell’Occidente. Mentre la Cina chiude i rubinetti, USA e UE scoprono di essere disarmati
Allarme Tungsteno: USA e UE a secco mentre la Cina blocca l’export. Sottotitolo: L’Occidente ha azzerato la produzione di questo metallo vitale per l’industria bellica. Ora, con le scorte ai minimi, la dipendenza da Pechino diventa una minaccia esistenziale.

C’è un metallo che non fa notizia come il litio per le auto elettriche o l’oro per i beni rifugio, ma che decide chi vince e chi perde le guerre, e chi comanda l’industria pesante. Si chiama Tungsteno (o Wolframio). E indovinate un po’? L’Occidente, nella sua decennale ubriacatura di globalizzazione a basso costo, ha consegnato le chiavi del magazzino globale alla Cina. Ora, con i venti di guerra che soffiano dall’Ucraina al Pacifico, il risveglio è traumatico.
La fine dell’innocenza geologica
Mentre a Bruxelles e Washington si discuteva di massimi sistemi, Pechino faceva incetta di realtà. La Cina non domina solo le terre rare (che, ironia della sorte, tanto rare non sono), ma detiene un monopolio quasi assoluto sul tungsteno. Lewis Black, CEO della canadese Almonty Industries, una delle poche voci fuori dal coro nel deserto minerario occidentale, ha lanciato l’allarme: Pechino sta cambiando strategia.
Se prima la Cina si accontentava di essere la miniera del mondo, esportando materia prima, ora punta al value added. Vogliono esportare prodotti finiti nel civile e, cosa ben più grave, chiudere i rubinetti per l’export militare. “Già oggi la Cina vieta l’uso militare dei metalli critici esportati”, spiega Black. È la classica mossa del monopolista: prima ti rendo dipendente, poi decido io cosa puoi costruire.
Perché il tungsteno è insostituibile (e l’Occidente è nei guai)
Per i non addetti ai lavori: il tungsteno ha il punto di fusione più alto di qualsiasi metallo e una densità paragonabile all’oro. Non serve per fare gioielli, ma per cose molto più “pratiche” in uno scenario di conflitto:
Munizioni perforanti: I penetratori cinetici che bucano le corazze dei carri armati sono fatti di leghe di tungsteno.
Corazze: Protegge i veicoli e i soldati.
Missilistica: È fondamentale per i sistemi di guida e i pesi di bilanciamento dei missili.
Ecco una tabella riassuntiva della dipendenza e dell’utilizzo:
| Caratteristica | Dettaglio Strategico |
| Produzione Cinese | ~83% della produzione mineraria globale (2023) |
| Import USA | 67% del consumo apparente dipende dall’estero |
| Produzione USA | ZERO (dal 2015, anno di chiusura dell’ultima miniera) |
| Consumo Militare | ~2.500 tonnellate/anno (in rapida ascesa post-Ucraina) |
La situazione è grottesca: i paesi NATO prevedono un aumento del consumo di tungsteno del 25-30% entro il 2035 per riarmarsi, ma la materia prima per farlo è in mano al loro principale rivale sistemico. È come voler fare una gara di Formula 1 comprando la benzina esclusivamente dal team avversario.
Gli Stati Uniti: Il gigante dai piedi d’argilla
La situazione americana è emblematica del disastro industriale occidentale. Secondo il US Geological Survey (USGS) del 2024, gli Stati Uniti non hanno estratto un solo grammo di tungsteno nel 2023. L’ultima miniera ha chiuso nel 2015.
Non è che il tungsteno manchi fisicamente nel sottosuolo americano o europeo; mancano la volontà politica e la capacità industriale di estrarlo.
Tra permessi ambientali che richiedono decenni (grazie alla burocrazia che ci siamo auto-inflitti) e la concorrenza sleale dei prezzi cinesi del passato, l’industria mineraria occidentale è stata smantellata. Il Dipartimento degli Interni USA lo ha classificato come “minerale critico” nel 2022, e il Pentagono sta cercando di bloccare l’acquisto di materiali cinesi o russi. Ma le leggi non scavano la roccia. Senza miniere attive, le restrizioni rimangono carta straccia.
La “Trappola del Prezzo Basso” e la reazione tardiva
Lewis Black di Almonty ha centrato il punto con una chiarezza disarmante: “La fissazione dei consumatori occidentali per i prezzi bassi ha permesso alla Cina di dominare. Ora arrivano alla conclusione, a malincuore, che pagare di più è l’unica opzione per la sicurezza. Senza tungsteno non si lavora. Il prezzo è secondario“.
In termini economici, stiamo assistendo al fallimento del mercato di breve periodo. L’efficienza allocativa (comprare dove costa meno) ha distrutto la resilienza strategica.
Le catene di approvvigionamento attuali sono un incubo logistico: fino a poco fa, il 90% del tungsteno diretto in UE passava attraverso il territorio russo. I tempi di consegna dalla Cina sono esplosi da due settimane a due mesi. Se Pechino decidesse domani un embargo totale, le scorte europee durerebbero dai tre ai sei mesi. Dopodiché, le fabbriche di munizioni (e molte industrie civili di precisione) si fermerebbero.
La speranza (e l’intervento statale necessario)
C’è una luce in fondo al tunnel, ma è flebile e richiede tempo. Almonty Industries sta sviluppando la miniera di Sangdong in Corea del Sud.
Potenziale: Una volta a regime, potrebbe coprire il 30% della produzione non cinese.
Qualità: Il giacimento è di alto grado, superiore a molti concorrenti.
Contratti: Il 90% della produzione è già venduta con contratti a lungo termine, inclusi accordi con il Dipartimento della Difesa USA.
In Europa, ci aggrappiamo alla miniera di Panasqueira in Portogallo (sempre Almonty), che copre però un misero 3% del fabbisogno continentale, sebbene l’espansione di Sangdong potrebbe alleviare la pressione sul vecchio continente coprendo fino al 20% del consumo.
Tuttavia, il mercato da solo non basta più. Serve un ritorno allo Stato stratega. Black suggerisce, giustamente, che gli stati debbano abbattere la burocrazia e lanciare fondi di investimento specializzati in partnership con il privato (modello KfW tedesca o J.P. Morgan).
È il ritorno della politica industriale: non si può lasciare la sicurezza nazionale in mano alla “mano invisibile”, perché quella mano, negli ultimi vent’anni, ha firmato contratti solo con la Cina.
La lezione è amara ma necessaria: la sovranità ha un costo. L’Occidente deve decidere se vuole continuare a risparmiare qualche dollaro sul bilancio o se vuole avere la certezza di poter difendere i propri confini. Perché, come dimostra la storia, i carri armati non si costruiscono con le buone intenzioni, ma con acciaio e, soprattutto, tungsteno.
In Italia si potrebbe estrarre tungsteno e rilanciare il sud
Anche l’Italia non è povera di tungsteno, ma bisogna volerlo estrarre, e questo materiale potrebbe anche essere la base di un rilancio delle aree depresse: il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco. Si parla spesso di rilancio del sud, perché non farlo con una miniera strategica per l’estrazione del tungsteno con un prezzo garantito ai fini di riserva strategica? perché non farlo con gli alleati NATO?
Domande e risposte
Perché il tungsteno è considerato strategico per la difesa e non sostituibile?
Il tungsteno possiede il punto di fusione più alto di tutti i metalli (3.422 °C) e una densità simile all’oro. Queste proprietà fisiche lo rendono unico per applicazioni estreme dove il calore e la durezza sono critici. Nel settore militare, è essenziale per i proiettili perforanti (che devono penetrare corazze spesse senza disintegrarsi), per le blindature stesse e per componenti missilistici che operano ad alte temperature. Non esistono sostituti sintetici o naturali che offrano le stesse prestazioni a costi o disponibilità paragonabili, rendendo la dipendenza da fornitori esteri un rischio per la sicurezza nazionale.
Qual è la situazione della produzione di tungsteno negli Stati Uniti e in Europa?
La situazione è critica. Gli Stati Uniti non hanno alcuna produzione mineraria interna di tungsteno dal 2015 e dipendono per il 67% dalle importazioni (il resto proviene dal riciclo). L’Europa si trova in una posizione simile, con poche eccezioni come la miniera di Panasqueira in Portogallo, che copre solo il 3% del fabbisogno. La maggior parte dei progetti minerari occidentali è stata ostacolata per anni da una combinazione di prezzi cinesi predatori, che rendevano le miniere occidentali non redditizie, e da normative ambientali e burocratiche estremamente rigide che rallentano i nuovi permessi.
Come sta reagendo l’Occidente al monopolio cinese sul tungsteno?
L’Occidente sta tentando una corsa ai ripari tardiva. Le strategie includono la classificazione del tungsteno come “minerale critico” per sbloccare fondi e facilitazioni, e il divieto (come nel caso del Pentagono) di utilizzare materiali di origine cinese per commesse militari. Aziende come Almonty stanno riattivando miniere storiche come Sangdong in Corea del Sud, supportate da contratti a lungo termine con i governi occidentali. Tuttavia, la strategia richiede un cambio di paradigma: accettare prezzi più alti e investire direttamente tramite fondi statali o garanzie pubbliche per rendere le filiere resilienti e indipendenti dalla Cina. L’Italia dovrebbe iniziare a sfruttare le proprie ampie riserve in Calabria.










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