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TTIP verità e bugie (di C.A.Mauceri)

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Del TTIP si parla ormai da anni. Ma, come spesso accade ogni volta che si cerca di stipulare un accordo tra multinazionali (perché, in definitiva, questo è il TTIP e nient’altro), c’è un trade off, un limite: all’aumentare della segretezza e delle informazioni aumenta anche la probabilità che, alla fine, sorga uno scoglio politico insormontabile che rende inattuabile l’accordo. Non mancano, on line e sui media, notizie di ogni genere. E, come sempre, non tutte sono veritiere.

È per questo motivo che il premio Nobel Joseph Stiglitz ha lanciato l’allarme su questo accordo tra USA e Unione Europea. E lo ha fatto già un paio d’anni fa dicendo: “Penso che l’accordo […] sia un pessimo accordo e vi esorto a non firmarlo”. Secondo Stiglitz “non si tratta di un accordo di libero scambio”. Somiglia di più agli accordi già firmati tra USA e altri paesi, come, ad esempio, quello con gli altri paesi nordamericani: accordi basati sugli interessi delle multinazionali e mai dei singoli paesi o dei cittadini.

Tutto questo mistero ha generato sospetti e teorie alcune dimostratesi, nel tempo, esatte; molte altre, invece, errate.

Come quella che vorrebbe il Parlamento europeo tagliato fuori da ogni potere decisionale. Molti hanno ribadito a gran voce che a contrattare l’accordo per l’Europa sarà solo un panel di esperti nominato dalla Commissione europea. Vero, ma non del tutto. Infatti, questo gruppo di esperti sarà tenuto a rispettare il mandato e le “raccomandazioni” approvate dal Parlamento europeo. Gli unici documenti ufficiali disponibili sono lacunosi (per non dire basati su falsità): l’ultimo, contenente le raccomandazioni del Parlamento parla di garantire “negoziati trasparenti” per il TTIP; di un accordo “ambizioso e vincolante per tutti i livelli di governo su entrambe le sponde dell’Atlantico”…..

Ciò da un lato significa che il mandato della Commissione è limitato, dall’altro, però, significa anche che le proteste dei cittadini europei che sono scesi in piazza per protestare, non otterranno nulla. Nessuno ne ha parlato a suo tempo, ma il potere decisionale su certi argomenti (quella che sarebbe più corretto chiamare sovranità nazionale) i singoli stati lo hanno già ceduto anni fa. Altro errore di chi manifesta contro il TTIP senza conoscere a fondo le carte: è dal 2009 che la riforma dei trattati ha attribuito alla Commissione la responsabilità della politica commerciale. Sorprendersi ora non serve a molto. I singoli paesi hanno ceduto da tempo all’Unione il potere di decidere su questi trattati. La giustificazione, allora, fu evitare la famosa “palla di spaghetti” del WTO, come dicono gli esperti, ovvero un intreccio di accordi bilaterali che rischia di strozzare la globalizzazione invece che indirizzarla allo stallo del Wto che ha reso le relazioni commerciali.

Ciò significa che questi presunti accordi di libero scambio potrebbero essere effettivamente scritti in pochi giorni ed essere composti da pochi, anzi di pochissimi articoli, miranti principalmente ad eliminare dazi doganali, sussidi e barriere non tariffarie. Ecco quindi che viene a galla un altro dei lati oscuri del TTIP: sono anni che gli “esperti” di Bruxelles e di Washington “lavorano” a questo accordo e senza giungere ad un reale accordo.

La verità, secondo Stigliz (ma sono in molti a condividere la sua opinione), è che quello che gli USA stanno cercando di fare non è un “accordo di libero scambio”, ma un “patto di gestione del commercio”. Qualcosa di molto diverso. Un trattato che non ha niente a che vedere con gli interessi dei cittadini americani né, tantomeno, con quelli dei cittadini europei legati allo scambio di merci e servizi: serve solo ed esclusivamente a favorire e tutelare gli interessi delle grani imprese.

Non sorprende, quindi, che l’accordo non riguardi affatto problemi di dazi alla frontiera (tra l’altro già molto bassi). Al contrario si parla di norme sulla sicurezza, di qualità dei prodotti (e, soprattutto, quelli alimentari), di tutele per l’ambiente, del lavoro (non bisogna dimenticare che gli USA, ancora oggi, sono tra i pochi paesi al mondo che non hanno sottoscritto gli accordi internazionali sullo sfruttamento minorile) e molto altro.

Ancora una volta la difficoltà di accedere ai documenti in modo trasparente, ha dato adito a teorie rivelatesi, però, errate. Ad esempio, alcuni hanno detto che questi accordi dovrebbero permettere agli USA di commercializzare la carne proveniente da animali cui sono stati somministrati estrogeni anche in Europa. È falso. Le raccomandazioni del Parlamento europeo lo vietano espressamente. Per contro, però, è vero che come spesso è avvenuto in passato, i trattati di libero scambio si basano su un concetto di base: per avere maggior libertà di scambi, di solito si fa riferimento al paese che ha la regolamentazione meno severa. In altre parole, il rischio è che si passi da un concetto, come quello europeo, di vietare la vendita di un prodotto fino a quando non sia dimostrato che non è nocivo, al concetto “americano” che lo si può fare fino a prova contraria. Una differenza non da poco e che dovrebbe fare riflettere prima di mettere la firma su questo trattato.

Ma non basta. Un altro aspetto oscuro del trattato, e sul quale si sono scritti fiumi d’inchiostro, è il tema dell’arbitrato. In caso di controversie, a decidere non saranno né i singoli stati (ennesima dimostrazione che la sovranità nazionale è andata a farsi benedire da tempo) né l’Unione (che avrebbe dovuto assumere il ruolo di protettore degli interessi dei cittadini comunitari); a decidere sarà una giuria composta da tre giudici. Anche qui molte falsità e altrettante verità. Da una lato

l’Isds (Investor-state dispute settlement), questo il suo nome tecnico non è affatto una novità. Gli Isds vengono usati da tempo. Secondo un monitoraggio dell’Ocse, nel 2012 risultavano 274 casi da dirimere con Isds. Così come non è vero che a perdere sono sempre gli stati e a vincere sempre le multinazionali. Il 43 per cento sono stati decisi in favore degli Stati, il 31 a favore dell’investitore, il 26 per cento si sono chiusi con un accordo tra le parti. Sembrerebbe, in base a questi dati, un sistema equo.

Per contro, è vero che quando sono scese in campo multinazionali di dimensioni planetarie raramente hanno permesso alla controparte di vincere: nonostante abbiano sottoscritto ben 50 Isds, gli USA non hanno mai perso una causa (neanche dopo la crisi del 2008 causata dalle speculazioni di una finanziaria americana)!

La cosa più grave è che il TTIP è uno strumento del tutto sganciato dalla giurisdizione ordinaria di ciascuno stato. In altre parole, ad essere applicate non sono più le norme introdotte dall’assemblea legiferante, il Parlamento (che dovrebbero garantire il rispetto della Legge fondamentale di uno stato, la Costituzione). L’unico strumento per dirimere questioni da cui dipendono le vite di centinaia di milioni di persone diventerebbe la negoziazione commerciale nel quadro globale del mercato libero.

Se guardato da questa angolazione, il TTIP appare come un pezzo di carta con il quale alcuni soggetti mai eletti da nessun europeo permetteranno a grandi imprese e multinazionali di violare le norme che tutelano i cittadini, i consumatori e l’ambiente a livello nazionale e comunitario. Tanto più che il diritto all’Isds potrebbe essere legittimo fino a che si parla di trattati commerciali. Nel caso del TTIP, invece, le conseguenze saranno altre.

Come, ad esempio, i salari: con la libertà di vendere i propri prodotti su un mercato unico e libero, ogni azienda sarà libera di insediarsi dove vuole (tanto poi i propri prodotti può venderlo dove stava prima…). Inutile dire che la scelta ricadrà sui paesi dove i costi sono minori e dove non esistono tutele sindacali (è quello che è già avvenuto con l’Unione europea ma elevato all’ennesima potenza). Se il TTIP verrà approvato, il libero scambio dei prodotti senza intralci o intoppi da parte delle componenti definite “irritanti commerciali” svaluterà il lavoro e la qualità stessa dei lavoratori (contraendo i salari e riducendo le tutele e le garanzie) allo scopo di consentire ampi profitti alle multinazionali. Al confronto quello che è successo con l’art.18 (che ha portato ad un arretramento del potere dei lavoratori a decenni e decenni fa) sembrerà un bazzecola: per evitare che i capitali stranieri espatrino, verranno autorizzate riduzioni dei salari e delle tutele contrattuali e di legge dei lavoratori.


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