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Trump vuole la base afgana di Bagram indietro: un sogno o una possibilità?

Trump vuole riconquistare la base di Bagram in Afghanistan per controllare la Cina, ma i militari avvertono: sarebbe un incubo logistico e militare da decine di migliaia di uomini. Un piano strategico audace o un azzardo insostenibile?

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Donald Trump non smette mai di sorprendere e, durante la conferenza stampa congiunta a Londra con il premier britannico Starmer, ha lanciato una di quelle che potremmo definire una vera e propria “bomba” geopolitica: gli Stati Uniti stanno lavorando attivamente per riprendere il controllo della base aerea di Bagram, in Afghanistan.

Sì, proprio quella base tentacolare che le forze americane hanno abbandonato nel 2021, durante la caotica ritirata orchestrata dall’amministrazione Biden. Una ritirata che, secondo Trump, ha lasciato nelle mani dei Talebani non solo un paese, ma anche un arsenale di armamenti e asset strategici di prim’ordine.

Ecco la dichiarazione direttamente dalla sua voce:


La motivazione dietro questa mossa apparentemente azzardata? Secondo Trump è duplice: strategica e negoziale. Da un lato, il tycoon sottolinea il valore inestimabile della base come strumento di contenimento della Cina. “Vogliamo quella base indietro”, ha dichiarato, aggiungendo un dettaglio non da poco: “si trova a un’ora di distanza da dove la Cina costruisce le sue armi nucleari”. Una frecciata diretta a Pechino, che secondo Trump ora controllerebbe di fatto la struttura, affermazione peraltro smentita dalle autorità afghane.

Dall’altro lato, Trump sembra convinto di poter strappare un accordo con i Talebani. La sua logica è quella del puro do ut des: “Stiamo cercando di riaverla, perché loro hanno bisogno di cose da noi”. Un approccio pragmatico che presuppone la possibilità di un’intesa con gli stessi ex-nemici che hanno combattuto per due decenni per cacciare gli americani.

Trump aveva in realtà già raggiunto un accordo con i Talebani a Doha nel 2020, proprio sui tempi per il ritiro dall’Afghanistan, operazione fu poi conclusa in modo caotico e disorganizzato sotto la presidenza Biden, abbandonando miliardi di attrezzature  in loco e con la caudta del governo filo americano.

Base aerea di Bagram Andolu

Il muro della realtà militare

La realtà militare e logistica dipinge un quadro decisamente più complesso, quasi un incubo. Funzionari ed ex ufficiali del Pentagono, parlando in condizione di anonimato, hanno messo in chiaro che un’operazione del genere assomiglierebbe più a una re-invasione che a un semplice trasloco.

Le sfide per rioccupare e rendere operativa Bagram sarebbero immense. Ecco i punti principali sollevati dagli esperti:

  • Forza d’invasione: Sarebbero necessari decine di migliaia di soldati (si parla di oltre 10.000 solo per iniziare) per prendere e mantenere il controllo della base.
  • Costi e logistica: La base è stata abbandonata e probabilmente saccheggiata. Ripristinarla richiederebbe uno sforzo finanziario enorme. Inoltre, rifornire un’enclave americana isolata in un paese senza sbocco sul mare come l’Afghanistan sarebbe un mal di testa logistico colossale.
  • Sicurezza: Il perimetro della base è enorme. Metterlo in sicurezza da attacchi con razzi e incursioni richiederebbe un dispiegamento di forze massiccio e costante.
  • Minacce multiple: Anche con un ipotetico accordo con i Talebani, la base dovrebbe essere difesa da altre minacce interne, come l’ISIS e ciò che resta di Al Qaeda.  Bisogna dire che gli accordi di  Doha prevedevano che fossero i talenbani ad occuparsi dei terroristi.
  • Vulnerabilità esterna: La base si troverebbe nel raggio d’azione dei missili balistici di potenze regionali come l’Iran, che ha già dimostrato in passato di non esitare a colpire basi americane.

Un ex alto funzionario della difesa ha smorzato gli entusiasmi anche sul presunto vantaggio strategico contro la Cina, affermando che “i rischi superano di gran lunga i vantaggi”.

Se queste affermazioni sembrano un Ballon d’Essai, o un attacco alla gestione Biden. Bisogna dire che i Talebani hanno rapporti contrastanti con la Cina e con il Pakistan, ma pensare a una nuova base USA nel paese è un po’ azzardato, per i costi economici e politici che comporterebbe.

La base aerea o quel che ne resta

 

1) Qual è il tema centrale della notizia?

Il tema centrale è l’annuncio del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di voler riprendere il controllo della base aerea di Bagram in Afghanistan. Questa intenzione rappresenta un potenziale e radicale cambio di rotta rispetto alla politica di disimpegno culminata con il ritiro del 2021. La notizia si sviluppa sul contrasto tra la visione strategica di Trump, che vede Bagram come un tassello fondamentale per contenere l’influenza cinese, e le enormi difficoltà militari, logistiche e finanziarie che un’operazione del genere comporterebbe, come sottolineato da fonti del Pentagono.

2) Perché questa notizia è importante?

L’importanza della notizia risiede nelle sue profonde implicazioni geopolitiche. Un ritorno degli USA a Bagram non solo invertirebbe una delle decisioni più significative dell’amministrazione Biden, ma ridisegnerebbe gli equilibri di potere in Asia Centrale. Segnalerebbe una postura americana molto più aggressiva nei confronti della Cina e potenzialmente dell’Iran. Inoltre, solleva interrogativi sulla fattibilità e sui costi di un simile impegno, mettendo in luce il divario tra la volontà politica di un leader e i pareri pragmatici e scettici degli apparati militari e di intelligence.

3) Quali potrebbero essere le ricadute pratiche di un’eventuale operazione su Bagram?

Le ricadute pratiche sarebbero enormi. Sul piano militare, richiederebbe il dispiegamento di decine di migliaia di soldati in un ambiente ostile, con costi operativi altissimi e un rischio costante per la sicurezza del personale. Economicamente, l’operazione comporterebbe una spesa di miliardi di dollari per la ricostruzione e la difesa della base. Geopoliticamente, potrebbe destabilizzare ulteriormente la regione, provocando reazioni da parte di Cina, Russia e Iran, e mettendo gli Stati Uniti in una posizione di vulnerabilità strategica, isolati in un paese senza accesso al mare e circondati da attori non necessariamente amichevoli.

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