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Trump va di traverso ai tedeschi di Marcello Bussi

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Navarro, primo consigliere del presidente Usa per il Commercio: costruiremo un’economia come quella della Germania, dove il 20% della forza lavoro è impiegata nel settore manifatturiero.
La Germania comincia a sentire l’effetto Trump. L’indice Ifo, che misura il clima di fiducia tra le imprese tedesche, è sceso a sorpresa a gennaio sulle incertezze geopolitiche globali e il minor ottimismo sul futuro. L’Ifo si è infatti attestato a 109,8 punti dai 111 di dicembre mentre gli analisti si attendevano un rialzo a 111,3.

«L’economia della Germania ha iniziato l’anno all’insegna di una minore fiducia», ha rilevato Clemens Fuest, il direttore dell’istituto di ricerche che dà il nome all’indice. Se da un lato le imprese hanno mostrato un maggior grado di soddisfazione per le loro rispettive situazioni attuali, dall’altro risultano meno ottimistiche sulle prospettive dei prossimi sei mesi. L’Ifo non ha detto esplicitamente che il calo di fiducia è conseguenza dell’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, ma è chiaro che le sue politiche protezionistiche potrebbero farsi sentire anche sul gigantesco export tedesco.

Per surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti, la Germania è al terzo posto mondiale con 59,5 miliardi nel periodo gennaio-novembre 2016 (dal computo sono esclusi i servizi), preceduta solo da Giappone (62,4 miliardi) e Cina (319,3 miliardi). In molte attività industriali Berlino è in diretta concorrenza con Washington. E proprio ieri Peter Navarro, nominato da Trump alla guida del Consiglio nazionale per il commercio, ha dichiarato in un’intervista a Cnbc che «prevediamo di costruire un’economia più in stile tedesco, dove il 20% della forza lavoro è impiegata nel settore manifatturiero». «E non stiamo parlando di martellare lo stagno nel retrobottega», ha avvertito, «stiamo parlando di alta tecnologia su tutta la linea, che si tratti di chip per computer o automobili o qualsiasi altra cosa stia nel mezzo».

Navarro ha poi ribadito il concetto espresso da Trump fin dagli albori della sua campagna elettorale per le primarie repubblicane. Spiegando perché tra i primissimi atti della sua presidenza, Trump ha definitivamente sepolto il Partenariato Trans-pacifico (Tpp), il consigliere del presidente ha detto che «i trattati multilaterali coinvolgono migliaia di lobbisti e avvocati. Ci vogliono anni e anni e anni, mentre i trattati bilaterali si possono fare più in fretta perché riguardano poche persone chiuse in una stanza che parlano di quello che deve essere fatto». Questo vuol dire che gli Stati Uniti vogliono trattare direttamente con la Germania? Ma allora Trump vuole la fine dell’Ue? Chiaro che di fronte a incognite di questa portata la fiducia delle imprese tedesche vacilla.

Intanto Berlino, come del resto Pechino, continua a farsi paladina della globalizzazione «Il successo del processo del G20 si basa sulla convinzione che la cooperazione internazionale e un approccio di mercato aperto forniscono benefici a tutti i Paesi e le popolazioni coinvolte», ha affermato ieri il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Ma non c’è solo Trump: Berlino deve fare i conti anche con la Brexit. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha condannato la minaccia di Londra di attuare un dumping fiscale per convincere le imprese straniere con base nel Regno Unito a non lasciare il territorio britannico. Secondo Schaeuble, la minaccia di abbassare la tassa sulle imprese per mantenere competitive le imprese straniere non è degna di un grande Paese come il Regno Unito. «La Gran Bretagna non si può paragonare alle isole Cayman. Sarebbe un insulto per il Paese, non ha senso». Forse Schaeuble ignora che le Cayman sono un territorio d’Oltremare del Regno Unito, la cui sovrana è la regina Elisabetta II.

Marcello Bussi, MF 26 gennaio 2017


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