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Trump a tutto campo: “L’Europa parla, ma non produce. Zelensky legga le proposte o sarà la fine”

In un’intervista di fuoco, Trump demolisce la strategia UE: Zelensky non legge le proposte di pace, Bruxelles è debole e la guerra d’attrito porterà solo alla fine dell’Ucraina. Serve realismo, subito.

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Donald Trump non usa mezzi termini. In una lunga intervista concessa a Politico, il Presidente degli Stati Uniti offre quello che potremmo definire un “bagno di realtà” gelido per le cancellerie europee. Niente retorica trionfalistica, niente “fino alla vittoria finale”, o alla fine degli ucraini, ma un pragmatismo brutale che mette a nudo le contraddizioni di un conflitto che si trascina da troppo tempo.

L’intervista, definita “sismica” per l’impatto che sta avendo oltreoceano, tocca i nervi scoperti dell’amministrazione Biden e, soprattutto, dell’Unione Europea. Trump si presenta come il risolutore, il “deal maker”, contrapponendo la sua visione transazionale all’immobilismo ideologico di Bruxelles e Washington. Per chi desiderasse ascoltarla direttamente, qui abbiamo il video in totale:

“Until they drop”: l’Europa combatte fino alla caduta, ma di chi

Il passaggio forse più umiliante per la leadership europea arriva quando l’intervistatrice cita il “consenso risonante” in Europa sulla necessità di sostenere l’Ucraina “until they can win” (finché non potranno vincere). Trump la interrompe bruscamente, correggendo il tiro con una frase lapidaria: “Until they drop” (Finché non crollano).

Non è chiaro se si riferisca agli ucraini o agli stessi europei, ma il senso è quello di un esaurimento fisico ed economico. Trump non nega di avere buoni rapporti personali con i leader del Vecchio Continente, ma il suo giudizio politico è impietoso:

“Vado d’accordo con tutti loro, mi piacciono… Ma non stanno facendo un buon lavoro. L’Europa non sta facendo un buon lavoro in molti modi. Parlano troppo e non producono. Stiamo parlando dell’Ucraina: loro parlano, ma non producono nulla e la guerra continua, ancora e ancora.”

È la critica classica del realismo americano verso l’alleato europeo: un gigante burocratico capace di produrre vertici e comunicati stampa, ma incapace di incidere sulla realtà fattuale (o militare) del terreno.

Dasha Burns, l’intervistatrice di Politico.com

Zelensky, le elezioni e il rifiuto di leggere

Se per l’Europa c’è lo scetticismo, per la leadership ucraina c’è un misto di ammirazione per la resistenza e frustrazione per l’ostinazione. Trump tocca un tasto che sui media mainstream è spesso tabù: la legittimità democratica in tempo di guerra e la necessità di negoziare.

Riguardo alle bozze di accordo di pace che circolano tra Washington, Mosca e Kiev, Trump rivela – o accusa – Zelensky di non aver nemmeno preso visione delle ultime proposte:

“Non ha letto la bozza più recente… Sarebbe bello se la leggesse. Sapete, un sacco di gente sta morendo. Quindi sarebbe davvero positivo se la leggesse. I suoi uomini hanno apprezzato la proposta, ma dicono che lui non l’abbia ancora letta. Penso che dovrebbe trovare il tempo per farlo.”

E qui arriva l’affondo sulla democrazia. Mentre la narrazione occidentale dipinge l’Ucraina come il bastione della libertà contro l’autocrazia, Trump ricorda sommessamente che “è passato molto tempo dall’ultima elezione”:

  • “Penso sia arrivato il momento di tenere un’elezione. Usano la guerra per non farla, ma credo che il popolo ucraino dovrebbe avere questa scelta. Parlano di democrazia, ma si arriva a un punto in cui non è più una democrazia.”

Il realismo bellico: “Le dimensioni contano”

L’analisi del conflitto sul campo è puramente numerica, priva di quell’afflato eroico che caratterizza la narrazione europea. Trump loda il coraggio dei militari ucraini (“Dò loro un credito tremendo”), ma poi guarda la mappa e i numeri:

  • Il territorio: L’Ucraina ha perso una striscia di terra fondamentale, “terra molto buona”, e l’accesso vitale al mare.

  • La demografia: “A un certo punto la dimensione vince. E la Russia ha una dimensione massiccia”.

  • Le perdite umane: Trump contesta le cifre ufficiali al ribasso. Parla di milioni di morti (probabilmente includendo feriti e sfollati nel disastro generale) e di “città rase al suolo con missili che volano ovunque”.

La sua posizione è che la guerra non sarebbe mai dovuta iniziare e che la continuazione del conflitto è solo un “triste spreco di umanità”. “Voglio smettere di vedere gente che muore”, ripete, posizionandosi paradossalmente come il “pacifista” realista contro i “falchi” democratici che, a suo dire, hanno solo prolungato l’agonia inviando miliardi senza strategia.

Un’Europa in declino

L’intervista si allarga poi a una visione quasi spengleriana del declino europeo, non solo militare ma sociale. Trump cita Parigi e Londra come esempi di città “che non sono più quelle di una volta”, distrutte da politiche migratorie che definisce disastrose.

“L’Europa sta venendo distrutta… Se continua così, molti di quei paesi non saranno più nazioni vitali. Hanno voluto essere politicamente corretti, e questo li ha resi deboli.”

Anche qui, il tycoon collega la debolezza geopolitica alla debolezza interna: nazioni che non controllano i propri confini (lodando invece il modello ungherese di Orban e quello polacco) non possono proiettare forza all’esterno. Nota lo snaturamento culturale causato dal politically correct, dal voler essere “Inclusivi” ad ogni costo, che ha distrutto l’identità europea.

Conclusioni: il ritorno del “Deal Maker”?

Quello che emerge da questa conversazione è un Trump che si sente già con le mani sul timone, o che comunque detta l’agenda. Mentre Bruxelles discute del prossimo pacchetto di sanzioni o aiuti, Trump parla di chiudere i conflitti. La sua visione è brutale? Forse. Ma in un’Europa che sembra aver esaurito le opzioni strategiche e si affida all’inerzia, il realismo trumpiano – che piaccia o meno – pone domande a cui prima o poi bisognerà rispondere: quanto a lungo si può sostenere una guerra di attrito contro una potenza nucleare più grande, e qual è il prezzo finale che siamo disposti a pagare per non “leggere le proposte”?

Zelensky, e l’Europa, sono avvisati: il tempo degli assegni in bianco e della retorica senza scadenze sta per finire.

Una fase dell’intervista

Domande e risposte

Perché Trump insiste sulle elezioni in Ucraina proprio ora? Trump solleva la questione delle elezioni per mettere in dubbio la legittimità assoluta di Zelensky come unico interlocutore. Sottolineando che “non è più una democrazia” se non si vota, indebolisce la narrazione morale della guerra (democrazia contro autocrazia) e prepara il terreno per fare pressione su Kiev. Se il leader non è “fresco” di voto, è più facile costringerlo a trattare o, cinicamente, sostituirlo con qualcuno più propenso al compromesso. È una tattica di pressione politica travestita da preoccupazione democratica.

Cosa intende Trump con “Until they drop”? L’espressione gioca sull’ambiguità. Mentre l’intervistatrice parlava di sostegno “fino alla vittoria”, Trump corregge con “fino al crollo”. Intende dire che l’attuale strategia di guerra d’attrito non porterà alla vittoria dell’Ucraina, ma al suo totale esaurimento fisico e demografico (e all’esaurimento delle scorte europee). È una critica diretta alla strategia NATO: prolungare il conflitto senza un piano realistico di vittoria non aiuta l’Ucraina, ma la distrugge lentamente fino a quando non ci sarà più nulla da salvare.

Le cifre sulle perdite citate da Trump sono corrette? Trump parla di “milioni di morti” e cifre molto alte, che sono superiori alle stime ufficiali attuali (che parlano di centinaia di migliaia tra morti e feriti). Tuttavia, Trump tende spesso a includere nel computo del “disastro umano” anche feriti gravi, dispersi e la distruzione demografica causata dalla fuga di massa. Il suo punto non è la precisione statistica, ma l’impatto emotivo: vuole comunicare che la guerra è una catastrofe di proporzioni storiche ben peggiore di quanto i media ammettano, per giustificare la necessità di un accordo immediato.

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