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Trinidad ospita una nave USA e Caracas cancella gli accordi sul gas. Venezuela ancora più isolato

Tensione nei Caraibi: una nave da guerra USA a Trinidad fa saltare l’accordo sul gas Dragon. Caracas accusa, ma la mossa isola ancora di più il Venezuela.

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Il Venezuela ha richiesto la cancellazione degli accordi energetici con la vicina nazione insulare di Trinidad e Tobago. La causa scatenante è la decisione di quest’ultima di ospitare una nave da guerra statunitense per esercitazioni congiunte, in un clima di crescente tensione regionale.

Come riportato dall‘AP, la vicepresidente del Venezuela, Delcy Rodrigues (che detiene anche la delega strategica al petrolio e al gas), ha definito le azioni di Trinidad e Tobago “ostili”. La Rodrigues ha accusato il primo ministro dell’isola di aver “deciso di unirsi all’agenda guerrafondaia degli Stati Uniti”, un riferimento diretto alle recenti azioni di Washington contro imbarcazioni che, secondo l’amministrazione USA, verrebbero utilizzate per il narcotraffico.

Saltano gli accordi sul gas

Sul tavolo c’è molto più di una scaramuccia diplomatica. Gli accordi che Caracas intende stracciare risalgono al 2015 e sono cruciali: riguardano l’esplorazione congiunta di gas naturale nelle acque tra i due paesi. Si tratta di giacimenti fondamentali, come il “Dragon field”, essenziali per Trinidad che deve alimentare i suoi impianti di GNL (Gas Naturale Liquefatto) a fronte di riserve interne in calo.

Dragon Field è a solo 20 km dalle infrastrutture del campo gasifero Hibiscus, collegato agli impianti di Trinidad e Togabo, quindi è la più semplice fonte energetica per gli importantissimi impiandi di liquefazione e lavorazione dell’arcipelago caraibico, che costituisce l’80% dell’export del paese.

Guyana, direttamente minacciata da Maduro, e Trinidad sono i due paesi vicini che hanno direttamente ospitato forze americane, anche se nel caso delle isole solo in visita.

Il deposito Dragon Field, in acue venezuelane, ma sfruttato e collegato ai depositi di Trinidad e Tobagoda S&P

Il contesto USA e la presunta offerta di Maduro

Il presidente degli Stati Uniti ha intensificato la retorica contro il governo di Nicolas Maduro, accusando lui e alti membri del suo gabinetto di essere direttamente coinvolti nel traffico di droga. Trump ha inoltre alzato la taglia sulla testa di Maduro a 50 milioni di dollari, ordinando la distruzione delle imbarcazioni provenienti dal Venezuela sospettate di trasportare droga.

In questo clima, emerge un retroscena quasi ironico. Secondo quanto riportato dal New York Times all’inizio del mese, lo stesso Maduro avrebbe tentato una disperata apertura verso l’amministrazione Trump per evitare un’ulteriore escalation, offrendo un accesso privilegiato alle immense ricchezze di risorse naturali del Venezuela.

L’offerta, secondo i media statunitensi, includeva:

  • Aprire tutti i progetti petroliferi e auriferi venezuelani alle aziende statunitensi.
  • Offrire contratti preferenziali alle ditte americane.
  • Reindirizzare le esportazioni di petrolio venezuelano dalla Cina (principale creditore) verso gli Stati Uniti.
  • Ridurre gli accordi energetici e minerari con attori ostili a Washington, come Iran, Cina e Russia.

Un successivo report ha però specificato che Trump avrebbe rifiutato l’offerta. La mossa di oggi di Caracas, pur essendo una diretta conseguenza della provocazione militare, finisce per isolare ancora di più il Venezuela, congelando asset energetici vitali per l’intera regione caraibica. L’accordo era anche un modo per incassare dei diritti d’estrazione in valuta forte che, a questo punto, rischiano di cessare, lasciando il Venezuela ancora più in difficoltà.

Impianto gasifero nei Caraibi – Reuters

Domande e Risposte

Perché questi accordi sul gas sono così importanti per Trinidad e Tobago?

Trinidad e Tobago è uno dei maggiori esportatori mondiali di GNL (Gas Naturale Liquefatto). Tuttavia, la sua produzione è in calo da anni a causa dell’esaurimento dei giacimenti nazionali. Gli accordi con il Venezuela, in particolare per lo sviluppo del giacimento “Dragon” (che si trova in acque venezuelane ma vicino al confine marittimo), sono visti come l’unica via per garantire nuova materia prima ai suoi impianti di liquefazione (come l’Atlantic LNG) ed evitare una crisi economica interna. Senza quel gas, la sua infrastruttura energetica rischia di diventare obsoleta.

Qual è la strategia degli Stati Uniti nell’area?

La strategia ufficiale di Washington è duplice. Da un lato, contrastare il narcotraffico, che secondo gli USA transita massicciamente dai porti venezuelani. Dall’altro, mantenere la politica di “massima pressione” sul governo di Nicolas Maduro, considerato illegittimo. Inviando navi da guerra e applicando sanzioni, gli USA cercano di isolare Caracas. Tuttavia, queste sanzioni (come la revoca delle licenze OFAC per lo sviluppo dei giacimenti) finiscono per bloccare anche gli investimenti di alleati occidentali (come Shell, coinvolta nel progetto Dragon) e danneggiare l’economia dell’intera regione caraibica.

L’offerta di Maduro a Trump per le risorse naturali era credibile?

È difficile stabilirlo con certezza, ma è plausibile. Il governo Maduro è economicamente alle strette, schiacciato dall’iperinflazione, dalle sanzioni e dal crollo della produzione petrolifera. Un’offerta così radicale (cedere il controllo delle risorse agli USA in cambio di un allentamento della pressione) rappresenterebbe un tentativo estremo di sopravvivenza politica ed economica. Il fatto che i media statunitensi ne abbiano parlato suggerisce che l’offerta sia stata discussa. Il presunto rifiuto di Trump indicherebbe che l’obiettivo USA non è economico (prendersi il petrolio), ma puramente geopolitico: un cambio di regime.

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