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Tribunale di Genova: la battaglia contro le imposte sulla casa è arrivata al suo culmine

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th879

Mentre ancora siamo in attesa che il Tribunale di Genova decida in merito all’illegittimità delle cessioni di sovranità compiute con le leggi di ratifica dei trattati europei, si avvicina alla conclusione anche la causa per far dichiarare illegittime le imposte sulla casa in quanto gravemente incostituzionali.

Pubblico per i lettori, ma anche i professionisti la memoria conclusionale che ho redatto per il Comune di Pontinvrea ed il suo Sindaco Matteo Camiciottoli, che ha consentito di dare il via a questa splendida lotta di civiltà. Arriviamo peraltro al momento della verità con una novità importante, ovvero l’accoglimento dell’eccezione d’incostituzionalità dell’IMU compiuto dalla Commissione Tributaria di Massa Carrara.

Buona lettura.

* * * *

TRIBUNALE CIVILE DI GENOVA

COMPARSA CONCLUSIONALE

Nell’interesse del

Comune di Pontinvrea                                                                                                                                                                             -interveniente-

                                                                                                                                                                                                                       Avv. Marco Mori

Nella causa tra:

**********

-attore-

Avv. Laura Muzio

Avv. Gabriela Musu

CONTRO

Presidenza del Consiglio dei Ministri

Ministero dell’Interno

-convenuta-

Avv. Ernesto De Napoli

§ § §

Il Comune di Pontinvrea ha formulato intevento adesivo nel presente giudizio al fine di richiedere all’Ill.mo Tribunale adito l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, per le causali di cui in narrativa, previa sospensione del presente giudizio e rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale della legislazione riepilogata nell’atto di citazione di parte attrice e dunque con specifico riferimento alle norme contenute nel D.lgs. n. 23/2011, nella L. 214/11 (a conversione D.L. n. 201/11) e nella Legge di stabilità 2013, che hanno introdotto dapprima l’IMU e poi la IUC (che comprende in essa TASI ed IMU), accogliere integralmente le domande del Sig. ******** come formulate in atto di citazione 10.11.2014;

In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali”.

Il processo si è svolto secondo rito ed a seguito dei termini di legge per le memorie ex art. 183 comma VI c.p.c. la causa è stata trattenuta in decisione.

Si sottopongono a giustizia le seguenti osservazioni conclusive esclusivamente in diritto.

* * *

1. In merito al principio della capacità contributiva e alla tutela del risparmio.

Allorquando si parla di tasse ed imposte ovviamente si deve tenere ben a mente il dato testuale dell’art. 53 Cost.

Trattasi di una delle norme maggiormente violata durante la storia della nostra Repubblica e ciò principalmente sulla base della falsa rappresentazione di una ragione di Stato che avrebbe imposto di ometterne il rispetto.

Infatti è ovvio che le imposte indirette non trovano alcuna legittimazione costituzionale posto chel’unico indice possibile di capacità contributiva è il reddito. Il modo con cui tale reddito è speso ovviamente è irrilevante. Non incrementa la capacità contributiva in alcun modo.

Tale affermazione non può essere negata logicamente o giuridicamente e le argomentazioni per controbatterla sono, in realtà, esclusivamente politiche.

Le imposte indirette inoltre sono regressive e non già progressive con ulteriore evidente violazione dell’art. 53 Cost.

Dell’art. 53 Cost. sorprende immediatamente l’ubicazione. La norma trova spazio, non già nei “rapporti economici”, ma nel titolo IV della parte I della Costituzione rubricato come “rapporti politici”.

L’inserimento della norma che disciplina i tributi nei rapporti politici, e non in quelli economici, non è affatto il frutto di un caso o di una svista.

I Costituenti erano infatti perfettamente consapevoli di come la tassazione non servisse per motivi strettamente economici, ma servisse a fare politica nel senso più ampio del termine.

Non sono le tasse a dover pagare i servizi pubblici, ed infatti la norma inequivocabilmente parla di mero “concorso” dei cittadini alla spesa pubblica. Ovvio che tale principio si sposa con la tutela del risparmio e con il conseguente obbligo costituzionale di attuare politiche di deficit di bilancio per poterlo matematicamente realizzare. Parte della spesa si deve necessariamente attuare a deficit per creare risparmio e non è coperta da qualsivoglia imposta.

In sostanza le tasse non servono a pagare i servizi, ma servono a fare politica monetaria. Il ruolo delle tasse è dunque quello di drenare moneta quando essa è troppa e quello di redistribuire il reddito ai fini di una più efficace politica monetaria. Le tasse poi sono il mezzo con cui si impone una moneta su un determinato territorio. Se i cittadini infatti sanno di poter pagare i tributi unicamente in una determinata moneta, sono ovviamente obbligati ad accettare la stessa come mezzo di scambio di beni e servizi.

Questi concetti non devono assolutamente sorprendere, benché ci troviamo oggettivamente innanzi ad aspetti fortemente controintuitivi, che non vengono mai ricordati dagli odierni organi informativi, né menzionati dalla classe politica che tutela esclusivamente gli interessi finanziari di quei cartelli economici che sono diventati così forti da diventare veri poteri politici.

Può essere un semplice esempio a chiarire il concetto a chi fatica a digerire il ribaltamento di convinzioni da tempo radicate dalla propaganda.

Basta immaginare cosa accade durante il primo anno in cui si introduce la moneta in uno Stato. Esso dovrà decidere di battere moneta e poi spenderla per distribuirla tra i cittadini. La nuova moneta viene dunque creata dal nulla e non può essere certamente ottenuta attraverso la tassazione. I cittadini del nuovo Stato non hanno la nuova moneta prima che essa sia distribuita dalla Stato attraverso la sua spesa pubblica.

La tassa viene dunque logicamente dopo la spesa pubblica e dunque non può in alcun modo servire per pagare quest’ultima, ma appunto serve per fare qualcosa di decisamente più importante, serve per fare politica monetaria: redistribuire il reddito, controllare il risparmio, determinare il valore stesso della moneta ed il livello dei prezzi.

I Costituenti avevano poi chiaro che la tassazione, in quanto strumento politico, dovesse essere indirizzata conformemente al disegno complessivo della nostra Carta, ovvero essere prodromica alla tutela dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili dell’uomo (il deficit per la piena occupazione, obiettivo primario della Repubblica). Ecco dunque perché, secondo il dimenticato dato testuale della Costituzione, l’unico indice di capacità contributiva dovesse divenire il reddito.Le imposte indirette, infatti, attuano una progressione alla rovescio incidendo maggiormente sui poveri rispetto ai ricchi.

Lo Stato può ovviamente creare risparmio per i suoi consociati solo con politiche di deficit, e tale deficit è un preciso obbligo costituzionale specificato nell’art. 47 Cost., laddove si enuncia l’obbligo della Repubblica di tutelare il risparmio.

In seno alla Costituente, nel dibattito già enunciato in questo giudizio, si procedeva nel riconoscere la possibilità astratta di imposte indirette unicamente sui beni non necessari e di lusso e già, con questa apertura concettuale, si era comunque già andati ben oltre al dato testuale della norma poi approvata.

Si può anzi affermare che l’idea di tassare eventualmente il consumo di beni non necessari e di lusso fosse, di fatto, stata abbandonata nella formulazione definitiva dell’art. 53 Cost. Fermo restando che l’intervento del Comune in giudizio è legato all’illegittimità costituzionale delle imposte sulla casa, dunque certamente si parla di un bene indispensabile alla vita umana.

Anche la Corte Costituzionale ha purtroppo contribuito a questo stato di cose omettendo di definire correttamente (con coraggio) il concetto di capacità contributiva che in realtà è univoco ed ovvio. In particolare l’equivoco nasce laddove la Corte ha affermato che gli indici di capacità contributiva possono essere i più vari, purché essi non siano arbitrari.

La frase è un ossimoro. Infatti la capacità contributiva si può misurare unicamente con le entrate di un cittadino e non con il modo con cui esse vengono spese.Il reddito è l’unico indice razionalmente possibile di capacità contributiva, ogni altro criterio è un arbitrio.

Non è il come spendo i miei guadagni ad incidere sulla mia capacità di contribuire alla spesa pubblica, ciò che determina tale capacità è esclusivamente l’ammontare dei miei guadagni.

Se il mio reddito è 100.000,00 euro la mia capacità contributiva non cambia affatto se spendo un terzo o la metà di tale reddito. Si può oggettivamente negare un simile principio?

Pensiamo poi al dramma che tale regime fiscale crea nei casi limiti. Ad esempio quale può essere la capacità contributiva di un disoccupato? La stessa è nulla anche se, grazie al cielo, ha ancora una casa di proprietà o una vettura. Nel momento in cui è senza reddito si trova in una totale privazione della libertà e della dignità personale, non deve ulteriori tributi. Oppure qual era la capacità contributiva dell’attore della presente causa allorquando ha avuto l’enorme sfortuna di ereditare? Oggettivamente non aveva i soldi per corrispondere le imposte richieste, si può parlare dunque di una tassazione rispettosa dei principi degli artt. 42, 47 e 53 Cost. a suo carico?

Evidentemente non si può.

Ricordiamo ancora una volta le parole dell’On. Salvatore Scoca durante l’assemblea costituente i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria (omissis…). La regola della progressività deve essere effettivamente operante”

Ecco dunque che le imposte sulla casa, comprese quelle ipotecarie e catastali sono, sic et simpliciter, tributi, non solo scorrelati dalla capacità contributiva, ma addirittura regressivi.

Al Giudicante non sfuggirà che questi sono i ragionamenti giuridici più volte reiterati nella presente vertenza. Tuttavia ad oggi siamo in pendenza di una novità certamente di non poco conto, ricordando come l’intervento adesivo di questo Comune verta, in primo luogo, sulle imposte sulla prima casa.

Ebbene la Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara con ordinanza n. 43 del 25 marzo 2015, in Gazzetta Ufficiale n. 43 del 28 ottobre 2015 (all. A) ha avuto il coraggio di interpretare alla lettera il dato Costituzionale, in una fattispecie avente ad oggetto specificatamente l’IMU, ha affermato che: “L’imposta di cui si tratta appare, invero, in contrasto con il principio di capacità contributiva, essendo dovuta indipendentemente dalla percezione di un reddito da parte del proprietario del bene”.

La Corte Costituzionale avrà finalmente il coraggio di infischiarsene degli effetti della sua decisione sulle casse dello Stato (svuotate unicamente dall’illegittima cessione di sovranità economica e monetaria, ovvero di quelle sovranità che anche l’ex Presidente della Corte Costituzionale Zagrebelsky definisce elementi fondanti di uno Stato) ed affermare ciò che pacificamente è scritto nel dato testuale dell’art. 53?

Lo scopriremo a breve. Ma a questo punto, se l’Ill.mo Tribunale adito ritenesse di avere la giurisdizione per decidere la presente vertenza, come questa difesa ritiene, dovrebbe certamente sospendere il presente giudizio in attesa della decisione della Corte Costituzionale.

* * *

2. In merito alla giurisdizione del G.O.

Veniamo appunto al problema giurisdizione.

Onestamente non sembra necessario dilungarsi troppo sul tema in quanto la nota sentenza della Cassazione sul cd. “porcellum” (n. 8878/14), la legge elettorale dichiarata incostituzionale con pronuncia n. 1/2014, ha confermato la possibilità di adire al Giudice Ordinario per la tutela di un diritto costituzionale puro e dunque per l’accertamento della violazione di tale diritto, anche quando commessa dal legislatore in persona con legge illegittima.

La riconosciuta giurisdizione circa l’esercizio conforme alla costituzione del diritto di voto è del tutto analoga alla richiesta di giurisdizione circa il rispetto del principio della capacità contributiva (che è appunto il diritto ad essere tassati in base ad essa), il rispetto del diritto al risparmio e dunque, in primis, alla sua creazione, o il rispetto del diritto di proprietà.

La portata innovativa della pronuncia della Cassazione è chiara ed evidente. Oggi è possibile convenire in giudizio le istituzioni al fine di accertare l’esercizio arbitrario della potestà legislativa, che avviene nel momento in cui la legge comprime, illecitamente (e questo lo può dire solo la Corte Costituzionale) diritti di rango costituzionale.

La democrazia ha oggi a disposizione uno strumento in più che in precedenza non appariva così pacifico, tanto che in riferimento al diritto di voto, sia il Tribunale di Milano che la Corte d’Appello del capoluogo, avevano sostenuto la tesi contraria, quella della carenza di giurisdizione.

Con osservanza.

Rapallo, 1 dicembre 2015

Avv. Marco Mori


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