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Tra Abrams e F-35: l’America First di Trump riabilita Riad e svende il QME d’Israele (per un trilione)

L’accordo di Difesa Strategica USA-Arabia Saudita sblocca la vendita dei caccia F-35 e un trilione di dollari di investimenti sauditi. Tutta la Realpolitik che spazza via il QME e le preoccupazioni etiche.

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Il principio “America First” non è solo uno slogan, ma una dottrina geopolitica che monetizza ogni allineamento strategico. Lo si è visto chiaramente nell’annuncio della Casa Bianca, giunto al culmine di una visita di alto profilo del Principe Ereditario saudita Mohammed bin Salman (MBS): Washington ha dato il via libera alla vendita dei caccia stealth F-35 e di circa 300 carri armati Abrams all’Arabia Saudita, cementando un Accordo di Difesa Strategica (SDA).

La Casa Bianca ha presentato l’SDA come una vittoria per l’agenda interna, sottolineando come l’affare non solo rafforzi la base industriale della difesa statunitense, ma salvaguardi centinaia di posti di lavoro americani (produzione Lockheed Martin e Abrams) e assicuri nuovi fondi sauditi per alleggerire i costi difensivi USA. Insomma, un brillante esempio di come la spesa pubblica estera, incanalata nell’industria nazionale, possa diventare un volano per l’occupazione.

L’affare del secolo: F-35, trilioni e un tappeto rosso

L’accordo è un pacchetto geopolitico ed economico di vasta portata che supera la mera vendita di armamenti, puntando a legare l’Arabia Saudita alla sfera tecnologica e militare americana, di fatto prevenendo un’eccessiva deriva verso la Cina.

Area di CooperazioneDettaglio dell’AccordoNota Geopolitica
Difesa (SDA)Vendita di un numero imprecisato di caccia F-35 e circa 300 carri armati Abrams.Forte impulso all’industria bellica USA e rafforzamento di Riad contro l’Iran.
Investimenti EconomiciImpegno di MBS a portare gli investimenti sauditi negli Stati Uniti da 600 miliardi a quasi 1.000 miliardi di dollari.Colossale iniezione di capitale in settori strategici USA (AI, tecnologia, minerali critici).
Tecnologia/EnergiaDichiarazione congiunta per il completamento dei negoziati sulla Cooperazione per l’Energia Nucleare Civile, Quadro per i Minerali Critici e Memorandum d’Intesa sull’IA.Riad si assicura l’accesso a settori chiave per la sua visione “Vision 2030”.

Abrams 1A2

Il compromesso etico e il prezzo del QME

L’elemento di maggiore frizione (e ironia geopolitica) risiede nella questione della Qualitative Military Edge (QME) di Israele. Per decenni, Washington si è impegnata a garantire che lo Stato Ebraico mantenesse un vantaggio militare qualitativo sui suoi vicini. L’F-35, finora, era un’esclusiva israeliana nella regione.

Quando interpellato sulla QME, l’atteggiamento del Presidente è stato sorprendentemente diretto: i jet per i Sauditi saranno “abbastanza simili” a quelli israeliani. Un’affermazione che, rivolta a MBS, suona quasi come un monito ad Israele: «So che vorrebbero aerei di calibro ridotto. Non penso che questo vi renderebbe molto felici». Il messaggio è chiaro: in un’era di Realpolitik e conti miliardari, l’alleanza diretta e i flussi di cassa passano sopra le garanzie storiche, soprattutto se l’alleato è disposto a spendere cifre da capogiro per legarsi a doppio filo agli Stati Uniti.

Da notare come l’incontro si sia svolto nel lusso del tappeto rosso, segnando la piena riabilitazione di MBS a Washington, nonostante i risultati dell’intelligence americana sull’omicidio del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, avvenuto a Istanbul.

Caccia F35 A

Caccia F35 A

L’Intoppo Diplomatico: La Palestina è la Tassa da Pagare

Se l’asse militare ed economico sembra ormai tracciato, il dossier diplomatico resta il “vicolo cieco” (o sticky wicket): la normalizzazione dei rapporti con Israele attraverso gli Accordi di Abramo.

MBS, pur dichiarandosi interessato a farne parte, ha messo un paletto: l’adesione saudita è subordinata alla garanzia di una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Un’esigenza non negoziabile per Riad, ma che resta un ostacolo per la parte israeliana. Il Presidente ha confermato di voler spingere per la normalizzazione, ma ha glissato sulla formula dei “due Stati”, definendola una soluzione ancora da definire e sottolineando, con un cambio di prospettiva, che «la cosa principale è che non avreste mai potuto avere alcun tipo di accordo se aveste avuto un Iran nucleare. E in sostanza avevate un Iran nucleare. E io li ho fatti a pezzi».

In sintesi, la nuova partnership USA-Riad è una dimostrazione di forza geoeconomica: i contratti e gli investimenti (un trilione!) definiscono il perimetro strategico, mentre le sensibilità diplomatiche (QME) e quelle etiche (Khashoggi) vengono messe pragmaticamente in secondo piano per massimizzare il vantaggio economico americano.

Domande e risposte

Cosa implica la vendita degli F-35 per l’equilibrio militare in Medio Oriente?

La vendita degli F-35 segna una svolta storica. Finora, Israele era l’unico Paese mediorientale a possedere questi caccia stealth di quinta generazione, garantendogli un netto “Qualitative Military Edge” (QME). Fornire gli stessi velivoli a Riad erode questa esclusività e, potenzialmente, innesca una corsa agli armamenti regionali. Sebbene il Presidente Trump abbia minimizzato le differenze tra i modelli F-35 sauditi e quelli israeliani, la mossa altera il bilanciamento di potere, posizionando l’Arabia Saudita come un attore militare di pari livello tecnologico, un elemento cruciale nel contenimento dell’Iran e nella ridefinizione delle alleanze.

Qual è il ruolo economico dell’Arabia Saudita nel sostenere l’agenda “America First”?

Il ruolo saudita è centrale e prettamente keynesiano. L’impegno di Mohammed bin Salman di aumentare gli investimenti negli Stati Uniti a quasi 1.000 miliardi di dollari non è solo una promessa di spesa, ma un legame economico strategico. Questi investimenti finanzieranno settori chiave come l’intelligenza artificiale, i minerali critici e le tecnologie avanzate. Inoltre, l’acquisto massiccio di hardware militare (Abrams, F-35, droni) garantisce miliardi di entrate alle aziende di difesa statunitensi (Lockheed Martin, General Atomics) e sostiene direttamente posti di lavoro americani, rendendo l’alleanza un motore di crescita economica per gli Stati Uniti.

Perché Riad insiste sulla “soluzione a due Stati” come condizione per gli Accordi di Abramo?

L’Arabia Saudita, in quanto custode dei luoghi più sacri dell’Islam e principale potenza sunnita, non può permettersi una normalizzazione dei rapporti con Israele che appaia come un tradimento della causa palestinese. Legare l’adesione agli Accordi di Abramo a una “chiara via verso la soluzione a due Stati” è un requisito politico interno ed esterno. Serve a placare le istanze islamiche e arabe, mantenendo una leva negoziale significativa. Senza una concessione credibile sui Palestinesi, l’adesione agli Accordi esporrebbe Riad a severe critiche regionali.

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