Esteri
Thailandia-Cambogia: i giochi di potere e il rischio guerra dietro i mortali scontri di confine
Due soldati morti al confine tra Thailandia e Cambogia. Ma dietro l’escalation si celano i giochi politici di Hun Sen e un governo thailandese sotto assedio. Un’analisi della crisi che minaccia il Sud-est asiatico.

Il 28 maggio 2025, un breve scontro a fuoco tra soldati cambogiani e thailandesi lungo il confine conteso di Chong Bok, nell’area nota come Triangolo di Smeraldo, ha riacceso una disputa territoriale che da decenni infiamma le relazioni tra i due paesi del Sud-est asiatico.
L’incidente, che ha causato la morte di due soldati cambogiani, rappresenta l’ultimo capitolo di un conflitto radicato in questioni storiche, nazionalismi esasperati e ambiguità geopolitiche. Mentre la Cambogia cerca di internazionalizzare la disputa, la Thailandia insiste su negoziati bilaterali, e la Cina, potenza regionale, si muove con cautela per evitare un’escalation che potrebbe destabilizzare i suoi interessi economici e strategici.
Le radici del conflitto
Il confine terrestre tra Cambogia e Thailandia, lungo 798 chilometri, è stato tracciato tra il 1904 e il 1907 durante il periodo coloniale francese, ma alcune aree, tra cui 155 chilometri, restano indefinite. Al centro delle recenti tensioni c’è il complesso templare di Ta Muen, che comprende i templi di Ta Muen Thom, Ta Muen Tod e Ta Muen Kwai, situato in una zona non delimitata. Un accordo bilaterale consente alla Thailandia il controllo effettivo dell’area, con accesso regolato per turisti e civili, ma la sovranità rimane contesa.
Le tensioni non sono nuove. Nel 2008, l’iscrizione del tempio di Preah Vihear, situato al confine, nella lista dei patrimoni UNESCO a favore della Cambogia aveva scatenato scontri che, fino al 2011, causarono almeno 28 morti. La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha confermato nel 1962 e nel 2013 la sovranità cambogiana su Preah Vihear, ma la Thailandia rifiuta la giurisdizione della Corte, preferendo soluzioni bilaterali.
L’escalation del 2025
Dopo un periodo di relativa calma, le tensioni sono riaffiorate a febbraio 2025, quando cittadini cambogiani, accompagnati da un alto ufficiale militare, hanno cantato l’inno nazionale al tempio di Ta Muen Thom, suscitando proteste thailandesi. Il governatore della provincia cambogiana di Oddar Meanchey ha incoraggiato tali azioni, alimentando sospetti di una strategia deliberata per provocare Bangkok.
Il 28 maggio, lo scontro armato a Chong Bok ha segnato un punto di svolta. Entrambe le parti si accusano a vicenda: la Thailandia sostiene che i soldati cambogiani abbiano aperto il fuoco dopo aver invaso un’area contesa, mentre Phnom Penh denuncia un attacco “non provocato”. Dopo il conflitto, i due eserciti si sono ritirati di 200 metri, ma hanno inviato migliaia di rinforzi, con la Cambogia che schiera oltre 10.000 truppe e armamenti pesanti. La Thailandia ha risposto chiudendo parzialmente i valichi di frontiera e minacciando di interrompere la fornitura di elettricità e internet alla Cambogia, che a sua volta ha vietato l’importazione di frutta, verdura e media thailandesi.
Il ruolo della politica interna cambogiana
Le motivazioni dietro l’escalation sembrano legate alla politica interna cambogiana. Il primo ministro Hun Manet, al potere dal 2023, affronta una situazione economica fragile, aggravata dalle recenti tariffe del 49% imposte dagli Stati Uniti, che colpiscono il 27% delle esportazioni cambogiane.
Con il 40% del PIL dipendente dall’export, queste misure potrebbero innescare instabilità sociale e politica. In questo contesto, l’ex premier Hun Sen, padre di Manet e figura di spicco nel Senato, sembra orchestrare una strategia nazionalista per consolidare il sostegno interno, accusando la Thailandia di violazioni territoriali e paragonando il conflitto a “una Gaza”. Le truppe coinvolte negli scontri sarebbero sotto il suo controllo, evidenziando una possibile frattura tra le fazioni militari fedeli a lui e quelle legate al nuovo ministro della Difesa, Tea Seiha.
La Thailandia e le pressioni interne
Sul fronte thailandese, il governo di Paetongtarn Shinawatra, leader del partito Puea Thai, è sotto pressione. La gestione della disputa ha riacceso il nazionalismo, con proteste a Bangkok che accusano il governo di essere troppo conciliante.
Una telefonata trapelata tra Paetongtarn e Hun Sen, in cui la premier thailandese definisce un generale del suo esercito un “oppositore”, ha ulteriormente indebolito la sua posizione, portando un partner di coalizione ad abbandonare il governo il 18 giugno. Queste fughe di notizie hanno reso la sua posizione estremamente fragile e il governo si sente sotto assedio.
La Thailandia insiste su negoziati bilaterali attraverso la Joint Boundary Commission (JBC), ma il rifiuto di riconoscere la giurisdizione dell’ICJ, la corte di giustiazia internazionale, complica il dialogo.
Il ruolo della Cina e dell’ASEAN
La Cina, principale partner commerciale e investitore di entrambi i paesi, ha interessi strategici nel mantenere la stabilità nella regione. Dopo lo scontro di maggio, l’ambasciata cinese a Bangkok ha esortato al dialogo, esprimendo la volontà di coordinarsi con Thailandia e Cambogia per preservare la pace. Tuttavia, gli analisti ritengono improbabile una mediazione diretta, data la politica di non interferenza di Pechino e i suoi stretti legami militari con la Cambogia, che includono la modernizzazione della base navale di Ream e forniture di armi. La Thailandia, alleata degli Stati Uniti, potrebbe percepire la Cina come un mediatore parziale.
Pechino potrebbe invece sostenere un approccio “ASEAN-centrico”, collaborando con l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, attualmente presieduta dalla Malesia. Il premier malese Anwar Ibrahim ha offerto la sua mediazione, ma l’ASEAN, tradizionalmente riluttante a intervenire in dispute tra membri, fatica a trovare un ruolo incisivo. Proposte come l’invio di osservatori neutrali o la convocazione di un dialogo ministeriale d’emergenza restano sul tavolo, ma senza progressi concreti. Non ci sono apesi abbatanza neutrali che si siano offerti di mandare osservatori.
Prospettive future
Le tensioni al confine tra Cambogia e Thailandia riflettono una combinazione di dispute storiche, interessi politici interni e pressioni economiche. La Cambogia sembra intenzionata a spingere per una soluzione internazionale attraverso l’ICJ, mentre la Thailandia resiste, temendo di perdere terreno in un contesto di crescente nazionalismo. La Cina, pur desiderosa di evitare un conflitto aperto, si limiterà probabilmente a un ruolo di supporto indiretto, lasciando all’ASEAN il compito di mediare.
Senza un compromesso, il rischio di ulteriori scontri rimane alto, anche se entrambe le parti sembrano voler evitare una guerra su larga scala. Azioni simboliche, come il rafforzamento militare o misure economiche punitive, potrebbero continuare a dominare la scena, alimentando una spirale di tensione che minaccia la stabilità regionale. Per i lettori di Scenari Economici, questo conflitto sottolinea come le dispute territoriali possano intrecciarsi con dinamiche economiche e geopolitiche, con implicazioni che vanno oltre i confini dei due paesi coinvolti.
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