Crisi
Tapering USA ed Unione Bancaria UE
La prima notizia viene dagli USA
Al via il tapering, la riduzione del programma di acquisti di titoli della Federal Reserve. Con una mossa a sorpresa, il Fomc, il comitato di politica monetaria della banca centrale Usa, nell’ultima riunione del 2013 (ma anche l’ultima della presidenza Bernanke) ha scelto di tagliare da 85 a 75 miliardi al mese il piano di interventi varato nel dicembre 2012. La riduzione è di 5 mld per ognuno dei due programmi in corso. Tra l’altro da segnalare la mancanza dell’unanimità nella decisione. Sembra proprio che calzi a pennello anche il voto contrario (perché ritiene la mossa “prematura”) da parte del Presidente della Fed di Boston, Eric Rosengren, non uno qualunque.
In pratica s’e’ deciso di ridurre il Quantitative Easing con estrema progressività: la Fed “sta sostanzialmente verificando gli effetti” e “vediamo che effetto che fa”. Ovviamente le Borse festeggiano, perche’ l’uscita effettiva dal QE appare decisamente soft e dilazionata nel tempo. In estrema sintesi: la crisi c’e’ ancora e l’economia USA resta stentata e necessita di “droga” monetaria in copiose quantita’.
Passiamo ora alla notizia sull’Unione Bancaria. Qui i maggiori dettagli tecnici: le cifre in gioco sono enormi, il transitorio lunghissimo, e ci torneremo sopra per analizzare effettivamente chi paga questo “castello”:
I ministri delle Finanze dell’Unione hanno raggiunto nella notte un accordo sulla nascita di un meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie. L’intesa … dovrà ora essere approvata dal Parlamento europeo entro la fine della legislatura. Ai più l’accordo apparirà un compromesso al ribasso. Eppure comporta una importante cessione di sovranità e una prima mutualizzazione di risorse.
Il pacchetto prevede la nascita di un consiglio di risoluzione; di un fondo di risoluzione; e di un paracadute finanziario da utilizzare mentre il fondo sale a regime. L’accordo si basa su un regolamento e un trattato intergovernativo. Quest’ultimo è stato voluto da alcuni paesi, in particolare la Germania, per dare una base legale certa al fondo di risoluzione. Il nuovo assetto è un tassello dell’unione bancaria e giunge sulla scia del trasferimento della vigilanza bancaria alla Banca centrale europea.
«In futuro le crisi bancarie del recente passato saranno gestite in modo completamente diverso – ha detto il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem –. Le banche da ora in poi saranno chiamate a rispondere delle loro perdite e dei loro rischi. Mi sembra un cambiamento molto salutare». I ministri questa notte si dicevano ottimisti di un prossimo accordo con il Parlamento, anche se l’idea di un trattato intergovernativo con il quale creare il fondo di risoluzione non piace a molti deputati.
Il fondo verrà finanziato da denaro privato. L’obiettivo è di evitare che gli stati siano chiamati come negli anni passati a usare denaro pubblico per salvare banche in difficoltà. Tra il 2008 e il 2011, i paesi dell’Unione Europea hanno usato circa 4.000 miliardi di euro per sostenere il settore finanziario in crisi. Il fondo nascerà composto da compartimenti nazionali. Su un periodo di dieci anni, a un ritmo del 10% all’anno, le quote nazionali saranno progressivamente messe in comune
Nella fase transitoria, il fondo potrà godere “come estrema ratio” di finanziamenti-ponte, anche di natura pubblica, nazionale o attraverso il meccanismo europeo di stabilità (Esm). L’intesa prevede anche un non meglio precisato “paracadute finanziario comune” che “dovrebbe permettere la presa in prestito di denaro da parte del fondo di risoluzione”. Questo strumento, che dovrebbe essere “pienamente operativo entro dieci anni”, deve essere neutro per i bilanci nazionali.
Il settore bancario sarà infatti chiamato a rimborsare i prestiti concessi al fondo di risoluzione, attraverso prelievi sui bilanci degli istituti anche ex post. Infine il processo decisionale prevede che le decisioni sull’uso del fondo vengano prese da un consiglio di risoluzione in sessione esecutiva (composto cioè dalle autorità nazionali coinvolte) ed entrino in vigore entro 24 ore. In caso di parere contrario da parte della Commissione, il dossier passerebbe all’Ecofin che voterebbe a maggioranza semplice.
Quando la ristrutturazione impegnerebbe almeno il 20% del fondo o richiederebbe l’accesso al fondo dopo che nell’anno in corso sono già stati usati cinque miliardi di euro, la procedura è gestita dal consiglio di risoluzione in sessione plenaria (presenti tutte le autorità nazionale. In questi casi, la decisione sarà presa da una maggioranza dei due terzi e il benestare di paesi pari al 50% dei contributi al fondo. “I governi avranno tendenzialmente l’ultima parola“, nota un responsabile comunitario.
La modalità di voto può apparire complessa ai più, ma riflette una cessione di sovranità in un ambito bancario che è nei fatti la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia. Sempre nel completare l’unione bancaria, Parlamento e Consiglio hanno trovato nella notte tra martedì e mercoledì un accordo su regole armonizzate a 28 nel campo delle garanzie sui depositi bancari. La nuova direttiva stabilisce l’ammontare dei vari fondi nazionali e le scadenze entro le quali rimborsare i correntisti.
L’accordo riflette la difficoltà di trovare un compromesso tra la paura di alcuni paesi (come la Germania) di firmare un’intesa troppo onerosa per i conti nazionali e l’esigenza di altri stati (come l’Italia) di presentare ai mercati un assetto dotato di un paracadute finanziario convincente. L’obiettivo ora è di trovare un accordo con il Parlamento entro la fine della legislatura, fissata in aprile. Il meccanismo unico di gestione delle crisi dovrebbe entrare in vigore il 1 gennaio 2015.
By GPG Imperatrice
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