Economia
Svizzera sotto tiro: Trump colpisce con dazi e accuse di manipolazione valutaria
La Svizzera affronta dazi del 32% e accuse di manipolazione valutaria da parte di Trump. Scopri come il Paese alpino reagisce alla pressione USA e le implicazioni per la sua economia.

Con grande sorpresa degli osservatori internazionali e degli stessi svizzeri, la Svizzera si trova al centro delle politiche protezionistiche di Donald Trump. Nonostante il suo ruolo di nazione neutrale e il suo approccio tradizionalmente permissivo in materia di regolamentazione, il Paese alpino è stato duramente colpito dalle decisioni dell’amministrazione statunitense, finendo nell’occhio del ciclone per dazi elevati e accuse di manipolazione valutaria.
Dazi shock e accuse di manipolazione valutaria
La Svizzera, inserita tra i Paesi con cui gli Stati Uniti registrano un deficit commerciale (38,5 miliardi di dollari nel 2024), ha subito una batosta inaspettata. Durante il cosiddetto “Giorno della Liberazione”, Trump ha imposto dazi del 32% sulle importazioni svizzere, un’aliquota ben superiore al 20% applicato all’Unione Europea, spesso bersaglio delle critiche del presidente.
Non è tutto: l’amministrazione Trump ha recentemente incluso la Svizzera nella lista dei Paesi sospettati di manipolare la propria valuta, equiparandola a nazioni come la Cina, principale rivale commerciale di Washington.
Nel rapporto semestrale del Dipartimento del Tesoro statunitense, pubblicato giovedì, la Svizzera è stata inserita nella “watchlist” per le sue pratiche valutarie, accanto a Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Vietnam, Germania e, a sorpresa, anche l’Irlanda. I criteri per finire in questa lista includono un surplus commerciale bilaterale con gli Stati Uniti di almeno 15 miliardi di dollari, un surplus delle partite correnti pari ad almeno il 3% del PIL e interventi valutari ripetuti per almeno l’8% del PIL in un anno. La Svizzera, già segnalata per lo stesso motivo nel 2020 durante la prima amministrazione Trump, si ritrova nuovamente sotto i riflettori.

banca nazionale Svizzera
La reazione svizzera: tra shock e diplomazia
A Berna, i politici sono rimasti “spaventati” di fronte a questa escalation. La Svizzera, nota per la sua neutralità e per aver recentemente eliminato i dazi industriali su tutte le importazioni (inclusi i prodotti americani), si considerava al riparo dalla tempesta commerciale transatlantica. Gli economisti della Banca Nazionale Svizzera (BNS) hanno ipotizzato che le massicce importazioni di oro da parte degli Stati Uniti possano aver distorto gli indicatori commerciali, contribuendo a questa situazione.
Nonostante lo shock iniziale, la Svizzera ha cercato una rapida intesa con Washington. Dopo alcune settimane di negoziati, con l’applicazione di una tariffa universale del 10% (come per molti altri Paesi), sembrava che i rapporti potessero distendersi. La Svizzera, sesto investitore straniero negli Stati Uniti e leader negli investimenti in ricerca e sviluppo grazie a colossi farmaceutici come Roche e Novartis, ha puntato su questi legami economici per ammorbidire le tensioni.
Una nuova ombra sul franco svizzero
Tuttavia, proprio quando un’intesa sembrava possibile, il Dipartimento del Tesoro ha gettato nuova benzina sul fuoco includendo la Svizzera nella lista di controllo per le pratiche valutarie.
“L’amministrazione Trump ha avvertito che le politiche macroeconomiche che favoriscono squilibri commerciali con gli Stati Uniti non saranno più tollerate”, ha dichiarato il Segretario al Tesoro Scott Bessent. Il rapporto sottolinea che il Tesoro monitorerà attentamente gli interventi valutari dei partner commerciali, valutando anche misure congiunte per affrontare i disallineamenti dei tassi di cambio.
Gli analisti hanno subito reagito. “I dazi sono la prima linea di attacco nella guerra commerciale, ma il mercato valutario potrebbe diventare centrale se queste misure non raggiungessero gli obiettivi”, ha commentato Shaun Osborne, responsabile della strategia valutaria di Scotiabank. Chris Turner, stratega di ING, ha osservato che l’inclusione della Svizzera nella lista non sarà ben accolta dalla BNS, già alle prese con un’inflazione prossima allo zero e un franco svizzero molto forte. “Questa designazione potrebbe limitare gli interventi valutari della BNS, spingendo verso un taglio dei tassi di 50 punti base il 19 giugno”, ha aggiunto Turner, notando che il mercato attualmente sconta un taglio di 30 punti base.
La difesa della Banca Nazionale Svizzera
La BNS ha risposto con fermezza venerdì scorso, negando ogni accusa di manipolazione valutaria. “La BNS non manipola il franco svizzero né cerca vantaggi competitivi ingiusti”, si legge in un comunicato riportato da Bloomberg.
La banca centrale ha ribadito che il suo obiettivo principale è la stabilità dei prezzi, con il tasso di interesse guida come strumento primario e interventi valutari solo in casi eccezionali per garantire condizioni monetarie adeguate. “La nostra politica monetaria è orientata alle esigenze della Svizzera”, hanno concluso le autorità.
Prospettive incerte
La Svizzera si trova ora in una posizione delicata, stretta tra la necessità di mantenere la stabilità economica interna e la pressione di un’amministrazione statunitense sempre più aggressiva. La forza del franco svizzero, combinata con le accuse di manipolazione valutaria, potrebbe spingere la BNS a rivedere la sua politica monetaria, con implicazioni sia per i mercati interni che per quelli internazionali. Nel frattempo, mentre Wall Street festeggia il ritorno dell’S&P 500 a 6.000 punti, trainato da dati occupazionali positivi, la Svizzera si prepara a navigare in acque sempre più turbolente.
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