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SULLE POSSIBILI SVENDITE DI FINE ANNO DELLE AZIENDE DI STATO E SULLA VALUTAZIONE DI PROPOSTE SHOCK PER L’USCITA DALLA CRISI

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Penso sia una questione di correttezza intellettuale, oltre che si servizio al lettore, dare feedback a domande o richieste di chiarimenti relativi ai post precedentemente pubblicati.

Siamo qui tutti, certamente il sottoscritto, a pubblicare considerazioni ed analisi che per la loro stessa genesi dovrebbero essere indipendenti da influenze politiche o altro (questo non è il Corriere della Sera o Repubblica o altra testata), a maggior ragione vista la non appartenenza a caste giornalistiche. Ossia, tutti noi stiamo rubando tempo al nostro lavoro e alla nostra famiglia pubblicando opinioni ed analisi – chiamarli articoli sarebbe troppo – gratuitamente e con il solo scopo di rendere edotta la platea su aspetti che magari ai più sfuggono, o che magari i mezzi di stampa tradizionali semplicemente non trattano. Il mondo di oggi è estremamente complesso, come implicava Eric Hobsbawn – secondo chi scrive il più grande storico degli ultimi 50 anni – in una delle sue ultime interviste, dicendo alla soglia dei cento anni che – al contrario del passato – pochissime persone sanno cosa succederà in futuro, di fatto affermando che esiste qualcuno che dirige ed ha sempre diretto le danze. Grand’uomo, enorme saggista.

 

Bene, i feedback ricevuti hanno indicato chiaramente tre aspetti che devono essere approfonditi.

Primo, se le regole sono uguali per tutti in Europa il problema e la colpa sono dell’Italia, della Grecia etc. che non hanno saputo adattarsi all’euro.

Il Secondo, legato al primo, ma maggiormente importante in termini pratici, ossia se non si vogliono vendere gli assets, né fare una patrimoniale, né altro cosa bisognerebbe fare per risolvere la situazione.

Il terzo, dare alcuni chiarimenti sull’articolo precedentemente pubblicato in relazione al successo di una privatizzazione del passato (Nuovo Pignone) oltre a chiarire senza ombra di dubbio che il sottoscritto non è contrario in termini assoluti a privatizzare, ma a condizione di ben precisare che vendere non significa svendere o regalare, dovendo anzi prevedere che la vendita di assets strategici dello Stato deve implicare un piano preciso che massimizzi il vantaggio per lo Stato venditore oltre che per la collettività (chi ha avuto vantaggi impropri dalle privatizzazioni/svendite del ’92 – per altro a danno della collettività, altro che evasori! -, in me troverà un avversario feroce ed irriducibile).

A questo aggiungerò poi un commento sulle aziende di Stato su cui gli stranieri sembrano essere molto interessati, oltre che ad una valutazione personale sull’encomiabile e molto ben costruita proposta shock da 150 mld EURi e la sua supposto inutilità – purtroppo – allo stato attuale delle cose e degli equilibri europei (ossia, chi scrive teme che il rapporto deficit/PIL sia già andato in iperbole e dunque per fermare il trend 150 mld sarebbero decisamente insufficienti, sebbene sarebbero certamente un segnale di rottura con il passato almeno per quanto concerne il modo di pensare al futuro dei conti dello Stato e del Paese nel suo insieme).

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Dunque, primo punto. Non è vero che le regole sono uguali per tutti. Lavoravo in Germania nel 2002/03 e ben ricordo quando la stessa, in crisi economica – più di impostazione che reale – fece in modo di far cambiare le regole permettendo(si) maggiore deficit, e questo avvenne con il cortese avallo dei principali Paesi membri. L’Italia dal canto suo ebbe effettivamente una deroga iniziale sul livello del debito nel lontano 1999, ovvero l’Italia derogò almeno ad un parametro di Maastricht – come per altro fecero altri Paesi – ma questo avvenne senza “taroccare” i conti o meglio quello che fu fatto avvenne con l’accordo esplicito della Germania di Kohl e della vecchia guardia dell’ex democrazia cristiana tedescaii, come riportato dallo Spiegel l’anno scorso. Dunque, nessuna affinità con la Grecia per cortesia. Oggi l’Italia ed altri Paesi hanno un problema ma questo non sta minimamente implicando eccezioni nelle regole come avvenne nel 2002/03, anzi. E tutto questo in aperto contrasto con i principi dettati dal Trattato di Roma, base dell’UE attuale, che prevede supporto in caso di eventi eccezionali (tutti noi dovremmo rileggere tale importante documento, senza di esso non si capisce molto del perchè siamo arrivati in questa situazione e chi si stia effettivamente comportando in modo scorretto tra i vari Paesi europei).

La verità, secondo chi scrive, è che l’Italia è stata deragliata attraverso uno schema ben preciso di matrice squisitamente estera, facendo leva su alcune sue innegabili lacune: l’ex ministro Tremonti, al di fuori della sua relativa simpatia era e resta tutt’altro che stupido, aveva previsto di sopravvivere alla crisi per un paio d’anni senza crescita ma senza crolli, approfittando di un clima di sostanziale fiducia degli italiani anche facilitata dalla spregiudicata capacità di Silvio Berlusconi di far dimenticare i problemi ai propri concittadini. Lo scopo era di fare in modo che altri Paesi ci raggiungessero o si avvicinassero al nostro ratio debito/PIL: ottima strategia, la Francia era – ed è – messa peggio di noi, sarebbe stata solo questione di un paio di anni, forse tre. Successivamente, con l’Italia simile alla Francia come multipli di debito e crescita, la risposta sarebbe stata l’annullamento delle regole dell’euro e quindi un ripensamento generale della moneta unica (la Francia non può uscire dall’Euro, ha la tecnologia militare che manca alla Germania in termini di arsenale strategico!). Con l’arrivo di Mario Monti c’è stata soluzione di continuità, e chi scrive ritiene che il comportamento del cosiddetto super Mario – che di super non ha proprio nulla – abbia avuto l’effetto principale di affossare l’Italia piuttosto che salvarla.

Come nel 1992, l’Italia è cascata dentro una grande speculazione ordita dall’estero, i numeri italiani non erano terribili nel 2009, anzi sotto certi versi erano migliori di quelli francesi – guarda caso -. Poi giunse l’attacco militare alla Libia, preparato da fine 2010 e gestito da Roma anche per gli americani sotto l’ombrello NATO (tramite il JOC, Joint Operation Centre) dall’ambasciatore inglese nella capitale, fresco di nomina e proveniente da Baghdad (guarda caso)iii. Poi la fine di Gheddafi, a cui Berlusconi si oppose con tutte le proprie forze, a cui seguì l’attacco questa volta finanziario sullo spread italiano. Questi sono fatti, a cui possiamo aggiungere come corollario la considerazione che con Gheddafi il nostro Paese aveva stretto un accordo per cui di fatto era quasi impossibile per gli altri paesi pensare di fare business con detto Paese sostituendosi all’Italia. Potremmo anche ricordare  che durante l’invasione l’oro libico di fatto sparì, si trattava di svariate (ca. 140) tonnellateiv, e che questo accadde nel contempo della restituzione al Venezuela (ca. 200 tons) dell’oro detenuto soprattutto nella banca centrale inglesev. Potremmo correlarlo al contesto generale in cui sono stati paventati da più parti dubbi sulla reale consistenza dei depositi aurei inglesi e USA detenuti per conto delle banche centrali dei vari paesi satellite o ex satellitevi – simili teorie sono emerse in rete in vari siti, sebbene nessuno di questi con reputazione sufficiente per poter garantire sulla veridicità del relato -. Certo è che la Germania per vedere restituito il proprio oro depositato alla Fed dovrà attendere ben 7 anni, come i lettori di questo sito penso abbiamo ben dedotto da post precedentivii.

Dunque, viviamo in un mondo difficile ed interconnesso. oltre che molto, molto complesso. Eric Hobsbawn ci mancherà tanto.

Come supporto a quanto sopra, consiglio di andare a vedere in rete l’intervista a Nino Galloniviii, ex direttore del ministro del lavoro disponibile in rete, ix piuttosto che la conferma dello Spiegelx sull’accordo Italia Germania per l’entrata nell’euro. Ossia, chi scrive pensa che quanto sta accadendo oggi sia stato accuratamente pianificato, o meglio ci sono molte prove in questo senso. Spero di non aver creato scompiglio rileggendo con questa chiave gli eventi, se ci pensate bene ho solo messo ordine nella cronologia.

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Il secondo punto dunque. Secondo chi scrive ormai la situazione italiana è quasi persa, per non dire persa del tutto: il debito su PIL è andato in iperbole come diretta conseguenza della politica montiana. Ossia, non si recupera più. O meglio, è difficilissimo. Per fare questo, quasi un miracolo, è necessaria un’azione traumatica. Matematica: per fare scendere il debito al 100% del PIL bisognerebbe pagare ca. 500 mld di euro, ma ogni giorno che si attende la situazione peggiora (il fattore tempo, con un debito grande da ripagare, ha un valore enorme). Al 100% del PIL l’Italia sarebbe diciamo “salva”, o meglio al sicuro per un certo periodo essendo però a quel punto in ottima compagnia (della Francia).

Al di fuori del fatto che pagare 500 mld di EUR non è facile né immediato, prima di proseguire con il discorso la domanda che dobbiamo porci è cosa vogliamo ottenere con una eventuale azione straordinaria. Ossia, quale è lo scopo:

– Rimanere nell’euro?

– Fare stare bene i cittadini?

– Fare ripartire l’economia?

Le tre ipotesi presuppongono ricette diverse.

Come dicevo, per rimanere nell’euro in modo dignitoso in teoria è semplice, basta trovare 500 mld di EUR per ripagare parte del debito. Pur personalmente ritenendo che questa non sarebbe la strada giusta, trovare applicazione per detta ipotesi secondo me significherebbe far crollare i consumi oltre a generare una crisi trentennale che porterebbe l’Italia indietro di 70 anni con la deindustrializzazione che molto probabilmente seguirebbe, ossia con una società composta da  pochi ricchi, gli ex nobili ora al potere che guarda caso sono gli stessi che hanno convertito il proprio patrimonio da lire in euro ca. 12 anni or sono e che soprattutto non devono necessariamente dover lavorare per sbarcare il lunario, ed una fitta schiera di morti di fame. Per evitare ciò, secondo il mio parere, bisognerebbe prima di tutto vendere le riserve auree alla Germania, tassare alla morte i cittadini, ridurre i costi dello Stato e vendere assets di Stato, evitando però di vendere le aziende nazionali strategiche. Ritengo infatti importante tenere tali aziende sotto controllo pubblico in quanto senza di esse non sarebbe possibile una ripresa successiva, intendo soprattutto le aziende energetiche – guardate che fine han fatto tutti i paesi che han venduto l’Energia, Argentina in primis -. Con tale ricetta, come dicevo, il risultato sarebbe che potremmo guadagnare tempo ma il problema non si risolverebbe anche e soprattutto perchè l’economia non ripartirebbe, ossia da qui a 5 o 6 anni rischieremmo di essere da capo – sebbene in buona compagnia – in presenza di debito da servire a tassi che potrebbero salire a medio termine. Ricordiamo che uno dei motivi principali per cui l’Italia oggi non cresce anche è soprattutto perchè il credito bancario è troppo caro rispetto agli altri Paesi europei, con le banche impossibilitate a erogare prestiti a causa della sovraesposizione al debito pubblico e quindi al rischio di credito, rating che guarda caso le aziende (straniere) non perdono occasione di “martellare” (Moody’s, S&P…)..

Se invece si vuole fare ripartire l’economia, beh qui è chiaro, la strada maestra è far svalutare la valuta italiana, cosa impossibile con l’euro. Dunque, uscire dall’euro, svalutare, spiazzare i prodotti della concorrenza soprattutto tedeschi e farci tanti nemici in Europa e – perchè no – nel mondo. Così l’economia dell’Italia, basata sulla piccola industria ripartirebbe davvero, senza dimenticare che la situazione con il credito bancario della base industriale – piccole e medie aziende – dell’Italia tende ad essere fortemente penalizzante per la Penisola in comparazione con altri Paesi che si contraddistinguono per dimensioni medie aziendali più grandi.

Se invece ci si focalizzasse sul bene dei cittadini la cosa andrebbe prima di tutto sviscerata: nel primo caso citato in precedenza si farebbe il bene dei cittadini che hanno convertito i propri patrimoni in euro e non hanno bisogno di lavorare (quanti sono?). Nel secondo, si farebbe il bene di coloro che devono lavorare per vivere (quanti sono?). La risposta, o meglio la scelta, mi permetto di suggerirvi di farla da soli, in funzione delle rispettive coscienze e, inevitabilmente, appartenenze. Io sono per l’uscita dall’euro, tolto il dente – e farà male – potremo guarire- Ricordiamo che la Germania fece la seconda guerra mondiale formalmente perchè non riusciva a pagare i debiti di guerra troppo alti imposti dalla Francia…

In generale possiamo però dire che, nel contesto attuale, l’Italia sembra destinata a fare la fine preconizzata dal buon Gianpaolo Pansa nel suo libro “Poco o tanto – Eravamo poveri, torneremo poveri”, libro che consiglio. E questo fa squadra con il fatto che a fronte di grandi crisi economiche e soprattutto di debito, innegabilmente vale la legge del più forte come il buon e sapiente Attali ha ben saputo contestualizzare in “Come finirà”, vedasi riferimento in calcexi. Ossia, gli Stati che in passato furono avvezzi a risolvere i vari problemi economici con le risorse delle colonie, ora che queste non sono più disponibili devono giocoforza trovarle altrove. Sembrerebbe che oggi tocchi a noi pagare, spero davvero di sbagliarmi.

Se mi è permessa una considerazione personale, per me è chiaro che avere un vero padrone non è mai positivo, è sempre meglio dover dipendere il più possibile da se stessi. Se però padrone deve essere bene che sia possibilmente molto ricco e soprattutto molto ma molto lontano. Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia trovò lo zio d’America, zio nella maggior parte dei casi siciliano, ossia un paese sconfinato con risorse naturali e di competenza immensi. Fummo fortunati, con il piano Marshall ci fu di fatto regalato denaro per crescere nel post guerra. Pensate che questo possa succedere oggi con i nuovi “padroni”? Pensate forse che l’Italia avrebbe potuto avere una ENI, una ENEL o una Finmeccanica avendo un padrone del post guerra diciamo, a caso, tedesco? Ricordiamo che la Germania è si ricca, ma resta sempre una poveraccia rispetto ai colossi mondiali delle risorse, USA in prima fila, ma anche la Russia. E così possiamo forse comprendere, in barba ai libri di storia, che l’invasione del nazionalsocialismo verso est di circa 70 anni or sono non fu follia ma necessità. E che il cul de sac di Stalingrado non fu frutto di un incomprensibile errore (Mosca era a nord, mi insegnavano alle superiori), ma era semplicemente l’esigenza di aprirsi la strada verso i giacimenti petroliferi dell’Azerbaijan, al tempo i più produttivi del mondo.

Secondo voi, con gente (metaforico, parlo di Stati, Germania e USA in primis) che vede le cose e pianifica con tale profondità e strategia gli eventi e le azioni, che fine rischia di fare l’Italia dei Monti e dei Letta? Pensate che possa esserci qualche scrupolo ad annullare l’Italia? Facciamo attenzione, l’Italia nacque quasi per caso con una spinta britannica circa 150 anni or sono, di fatto per il tramite di un tale Giuseppe Mazzini che fece avallare il nuovo Stato anche grazie all’appoggio massonico inglese volto alla creazione di un paese in grado di indebolire la Francia e la stessa Germania (tra l’altro, l’inno nazionale non si chiama per caso Fratelli d’Italia, ndr): non sta scritto da nessun a parte che l’Italia deve continuare ad esistere per altrettanti anni, ossia può essere sacrificata sugli altari di una crisi epocale che rischia di coincidere con la fine del capitalismo che conosciamo oggi. E se qualcuno ha dei dubbi sul fatto che ci sia stata una reiterata ingerenza anglosassone in Italia che parte dagli ‘albori dello Stato italico e arriva più o meno ai giorni nostri, è bene che i vada a leggere “Testamento di un Anticomunista”, di Edgardo Sognoxii, oltre che al dossier di Rosario Priore “Intrigo Internazionale”xiii

Quello che sembra certo è che molto probabilmente chi emergerà come vincitore da tutto questo enorme pasticcio mondiale saranno gli Usa, ossia – encore – lo Stato veramente ricco e veramente possente. Il resto sarà tutto adattamento a trovarsi degli spazi di sopravvivenza. Diciamo che sarà la ricerca del lebensraum moderno. Ed in questo contesto l’Italia, permettetemi, ha veramente un basso potere contrattuale.

Comunque, per meglio contestualizzare con numeri quanto sia inutile vendere le aziende di Stato, applicando un  briciolo di matematica di terza superiore, possiamo dire che stanti circa 75 mld EUR di interessi sul debito da pagare all’anno, stante un deficit prossimo venturo del 3%, ossia circa 45 mld EUR annui, ogni anno l’Italia deve pagare qualcosa di simile ai 125 mld EUR solo per mantenere le cose come stanno, conto della serva (so che è calcolo semplicistico, ma rende bene l’idea). Dunque, vendere le aziende di Stato ricavando , che so, 60/70 mld di EUR sembra al sottoscritto  un’emerita fesseria in quanto non risolve il problema, anzi lo peggiora nel medio termine. Infatti, lasciando perdere il dividendo che non sarebbe più pagato, oggi lo Stato percepisce un dividendo PIU’ le tasse: se arriva uno straniero e si compra le Aziende di Stato pensate che l’utile continuerebbe ad essere tassato in Italia? E l’occupazione in Italia non verrebbe secondo voi ridotta a favore del paese acquirente? Ma per favore….

Dunque, i numeri non supportano una fine della crisi dell’Italia a tarallucci e vino magari vendendo gli ultimi gioielli di famiglia. O si dice chiaramente che:

  • non si pagheranno più le pensioni in modo integrale e/o
  • che ci sarà un prelievo sui risparmi degli italiani anche sotto forma di patrimoniale e/o
  • ci sarà una forma di “gabella selvaggia” con un redditometro di massa per giustificare con un’ipotetica – e potenzialmente inesistente – evasione il sopruso di Stato di matrice tedesca finalizzato a far fluire i soldi all’estero per pagare il debito contratto con noi stessi
  • o l’alternativa è uscire dall’euro, visto che l’Italia lo può fare (quasi tutto il suo debito è denominato sotto giurisdizione italiana, ossia nella valuta italiana, ossia in ipotetiche lire).Dunque, è una possibilità reale mandare tutto a carte quarantotto e dire che si esce dall’euro.

Ossia, fare quel che Silvio Berlusconi sosteneva fino a qualche mese fa, e forse ora si capisce perchè il Cavaliere sia messo così alle strette da quando è caduto il Governo repubblicano negli USA (e qui mi trovo pur a disagio a difendere il Cavaliere, colpevole soprattutto per quanto avrebbe potuto fare in venti anni e non ha fatto). Ed a quel punto, per scampare alla troika – che per altro sembra attendere una richiesta di aiuto di Letta entro l’anno -, lo Stato dovrebbe chiedere un prestito ai cittadini italiani (non una tassa, ma un prestito) finalizzato al solo pagamento del debito estero, contro-garantendo detto finanziamento con gli assets di Stato messi un fondo di garanzia gestito da gestori indipendenti. Detto prestito dovrebbe rendere diciamo il tasso tedesco più cinquanta punti basi e con restituzione e in 4 anni previa uscita dell’euro o ammorbidimento tedesco (i cittadini sarebbero accondiscendenti avendo   l’alternativa della patrimoniale…).

A quel punto nessuno straniero potrebbe eccepire, il problema sarebbe che si rischierebbe un colpo di Stato in quanto a nessun europeo dominante converrebbe una soluzione che potrebbe di fatto salvare l’Italia. Ricordiamo quanto accaduto a fine Luglio 2013, quando gli americani hanno rimpatriato il nucleare presente in Italia (ci han detto fossero scorie….): secondo voi se il paese fosse stabile qualcuno si porrebbe il problema? Quindi occhio a cosa può capitare, siamo in terra di nessuno ormai.

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L’ultimo punto da trattare è l’aspetto della privatizzazione di Nuovo Pignone del ’92, ossia se sia stato veramente un successo o meno, ovvero se sia stato mantenuto un headquarter in Italia. La risposta è che, si, rispetto alle altre privatizzazioni quella di Nuovo Pignone è stata una buona privatizzazione. Bisogna però ricordare che essa era una delle poche aziende che guadagnavano, ossia con bilancio era chiaramente in nero, anzi ENI fu abbastanza criticata per aver venduto tale asset, probabilmente potremmo anche dire che non era necessario. Il mio punto su Nuovo Pignone e la perdita dell’headquarter, e mi scuso per l’imprecisione, era finalizzato alla gestione del margine aziendale che deriva da un’azienda in un gruppo multinazionale, ossia bisognerebbe anche e soprattutto vedere se l’utile viene fatto (tutto) nel paese dove si produce il bene rispetto a dove lo si commercializza. Lo schema sottostante, caratteristico per ogni multinazionale – e come tale resta normalmente un segreto ben custodito – si chiama transfer price e mi permetto di dire che tende sempre ad essere ottimizzato, adattando di conseguenza la struttura locale al margine che effettivamente resta nel paese (la holding GE a capo della struttura rimane sempre in USA e come tale ha l’impegno con gli azionisti ad ottimizzare il margine tra le varie giurisdizioni in cui è attiva, evitando quelle a maggiore tassazione). Non c’è comunque ombra di dubbio che tale azienda privatizzata nel ’92, pur brillando di luce propria, non ha potuto esprimersi diventando che so, una Prysmian del settore: avendo un’azienda pur stimatissima sopra, è chiaro che il proprio ruolo è di parte di una multinazionale, non una multinazionale italiana.

In ultimo un ulteriore commento sulle aziende possibilmente oggetto di alienazione, o almeno la conventional wisdom di matrice nord europea così vorrebbe. In particolare, è da notare che la mia non è assolutamente una difesa del capitalismo di Stato: molte delle aziende citate, tra cui certamente ENI, ENEL e Terna, sono aziende ben gestite a confronto coi peers internazionali – questo è il punto focale ed è fatto incontrovertibile – e soprattutto pagano dividendo regolare allo Stato. Io un’azienda che rende, e che oltre tutto occupa maestranze e paga le tasse in Italia, fossi lo Stato non la venderei nel modo più assoluto, soprattutto a questi prezzi. Al limite mi farei scontare dalle banche i dividendi futuri se fossi a corto di liquidi e magari eviterei anche eccessive ingerenze nelle nomine, ma questa è un’altra storia. Il punto è che uno straniero che compra deve trasferire per impegno con i propri azionisti la testa nel paese acquirente – ovvero nell’headquarter – al fine di controllare gli utili, a maggior ragione se l’azienda acquisita ha sede nel luogo tra i più tassati del mondo, escludendo dovute eccezioni come il caso GE sopra citato, anche per una questione storica e di modello di business veramente unico ed encomiabile.

Buone vacanze!

 

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Riferimenti e note:

xii “Testamento di un anticomunista: dalla Resistenza al golpe bianco” – Edgardo Sogno, Aldo Cazzullo, Mondadori, 2000

xiii “Intrigo Internazionale” – R. Priore, G. Fasanella, Chiarelettere, 2010


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