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SPIEGARE GAZA

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Qualcuno ha detto che “tutti hanno diritto al loro quarto d’ora di celebrità”. Personalmente aspetto ancora il mio, ma l’ha certo avuto il deputato Di Battista, del M5S, quando ha affermato che con i terroristi si può/si deve dialogare. Sempre che non interrompano la vostra prima frase tagliandovi la gola. In realtà, tentare di dialogare con i fanatici (al massimo, per telefono) è azzardato, ma tentare di capirli – non di giustificarli – può essere utile. E analogo sforzo si può tentare riguardo al comportamento dei palestinesi che, dal 1948, sono soltanto riusciti a rendere ogni giorno più penosa la loro situazione.

Allora gli abitanti della Cisgiordania (la Palestina è un’espressione geografica) avrebbero potuto avere uno Stato e l’hanno rifiutato pur di non “concederlo” anche agli ebrei. Avrebbero potuto lavorare come frontalieri  nelle loro imprese, con notevole sollievo per la propria economia, ma hanno finito col farsi identificare più come terroristi che come possibili operai. Avrebbero almeno potuto non attaccare Israele, ma hanno tentato in ogni modo di farlo, fino ad esserne separati da una recinzione impenetrabile e – nel caso di Gaza – fino a vivere in un territorio chiuso da ogni lato come una prigione. Eppure, invece di rassegnarsi ad un’evidente sconfitta, da Gaza hanno sparato tanti razzi, contro Israele, da innescare due devastanti reazioni (nel 2008-2009 e oggi). Non hanno seriamente danneggiato gli israeliani, ma hanno gravissimamente danneggiato sé stessi. Ogni aggravamento delle iniziative ostili si è infatti risolto in una loro maggiore sofferenza. Ciò tuttavia non li ha indotti a cambiare linea. Ecco il mistero che sarebbe bello chiarire.

Mi scrive una gentile amica: “Ho vissuto per un anno in Cisgiordania lavorando per i palestinesi, ho molto apprezzato le loro grandi qualità (onestà e solerzia) ma mi ha sempre stupito la loro straordinaria capacità di farsi del male. Ero là quando l’Iraq ha invaso il Kuweit e loro, che ricevevano da quel paese degli aiuti straordinari, hanno tifato per Saddam che aveva sparato dei razzi su Israele. Dall’oggi all’indomani i kuweitiani hanno smesso di sostenerli”.

Secondo l’insegnamento di Socrate, nessuno sbaglia volendo sbagliare. Dunque bisognerà cercare una spiegazione che, soggettivamente, ponga i palestinesi dal lato della ragione. I soldati della Prima Guerra Mondiale, che si tagliavano un dito per dire che non potevano più sparare, volevano soltanto non morire in battaglia. Dunque, anche ad ammettere che i palestinesi si comportino in modo oggettivamente autolesionistico, bisogna cercare una spiegazione corrispondente alla ricerca di una utilità.

I palestinesi – soprattutto quelli di Gaza – sopravvivono grazie ai generosi finanziamenti di Stati come il Qatar e, in passato, del Kuwait. Se hanno potuto applaudire Saddam Hussein e manifestare la più totale indifferenza nei confronti del loro benefattore Kuwait aggredito e invaso, è perché reputavano che Israele li danneggiasse più di quanto il Kuwait non li aiutasse. A fronte di questa “verità” fondamentale, che ciò non fosse vero, che avessero bisogno della carità dei kuwaitiani, non contava.

I palestinesi sono poveri, incolti, e oggetto di una martellante propaganda che finisce con l’ingenerare una sorta di paranoia collettiva. Gli si ripete da mane a sera che tutti i loro guai sono causati dagli ebrei. Che questi siano assenti, che se ne stiano volentieri a casa loro, che chiedano soltanto di essere lasciati in pace, che siano militarmente infinitamente più forti, pur essendo un’evidente realtà, non conta. Il massimo bisogno è quello d’avere una spiegazione per il proprio disagio. La possibilità di dare a qualcuno la colpa di tutto. La speranza di risolvere un giorno, d’un sol colpo, tutte le proprie difficoltà, eliminando fisicamente l’odiato nemico. Il Kuwait forniva soldi, l’odio degli ebrei una speranza di riscatto.

Per chiudere a questo punto gli occhi sulla realtà, è necessaria una sconfinata ignoranza accoppiata alla risoluta intenzione di credere non ciò che è evidente ma ciò che è consolante. L’antico meccanismo del capro espiatorio, cioè il rigetto delle proprie colpe su altri, accoppiato con un antisemitismo divenuto il loro stesso sangue, fa sì che i palestinesi si rifiutino di ragionare. Anche quando, a causa di queste idee, si procurano dei guai, di essi dànno la colpa ad Israele: coloro che hanno provocato l’attuale tragedia di Gaza non sono i criminali che hanno sparato centinaia di razzi sperando di fare dei morti nella popolazione civile di Israele, sono gli israeliani che, cercando di farli smettere, hanno attuato una violenta rappresaglia. Come se si potesse sostenere che il torto della violenza è di chi si difende e non di chi della violenza ha preso l’iniziativa. Israele serve egregiamente a spiegare tutti i mali del mondo e tanto basta. Le parole e i fatti urtano contro qualcosa che è più forte di loro: la Fede.

Gianni Pardo, [email protected]

20 agosto 2014


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