Difesa
Spagna, NATO e il valzer del 5%: Sánchez frena, la Difesa accelera. Chi comanda a Madrid?
Clamoroso a Madrid: Sánchez chiede l’esenzione dalla spesa NATO al 5%, ma il giorno dopo il Ministro della Difesa assicura “totale fedeltà”. Caos o strategia? La credibilità della Spagna in bilico al prossimo summit dell’Alleanza.

Sembra una commedia degli equivoci, ma la posta in gioco è la credibilità internazionale di una delle principali economie europee. In un valzer diplomatico che ha del surreale, la Spagna ha mostrato al mondo la sua doppia anima sulla questione più delicata del momento: la spesa per la difesa. Nel giro di 24 ore, il governo di Pedro Sánchez è riuscito a dire tutto e il suo contrario, lasciando gli alleati della NATO a chiedersi chi comandi veramente a Madrid.
Il primo atto del dramma, come riportato da Reuters, è una lettera firmata dal Primo Ministro Sánchez e inviata al capo della NATO, Mark Rutte. Il contenuto è una bomba diplomatica: la Spagna chiede di essere esentata dal futuro, e sempre più probabile, obbligo di portare la spesa militare al 5% del PIL.
Sánchez non usa mezzi termini, definendo un simile obiettivo “irragionevole e controproducente“. La motivazione? Sarebbe “incompatibile con il nostro stato sociale e la nostra visione del mondo”. Una presa di posizione netta, quasi un manifesto ideologico: “Come alleato sovrano, scegliamo di non farlo”. Con una spesa attuale stimata all’1.28% del PIL, la più bassa dell’Alleanza, la mossa di Sánchez suonava come un’aperta sfida.
Ma ecco il colpo di scena. Meno di un giorno dopo, il secondo atto vede protagonista il Ministro della Difesa, Margarita Robles. Con una retromarcia fulminea, Robles si presenta davanti ai giornalisti per assicurare che la Spagna è un “alleato serio, affidabile, responsabile e assolutamente impegnato con l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica”. E aggiunge, quasi a cancellare le parole del suo premier: “Nessuno può metterlo in dubbio”.
Una dichiarazione che, più che rassicurare, alimenta il caos. Si tratta di una strategia da “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, con Sánchez che parla alla sua base di sinistra (i partner di Sumar e Podemos sono ferocemente contrari a ogni aumento) e Robles che rassicura Washington e Bruxelles? O è la prova di una frattura interna a un governo già indebolito da uno scandalo di corruzione che agita il partito socialista e fa aleggiare lo spettro di elezioni anticipate?
La realtà, come sempre, sta probabilmente nel mezzo, ed è squisitamente economica e politica. Sánchez sa di non avere i numeri in parlamento per approvare un aumento così drastico della spesa, specialmente in un clima politico avvelenato per lo scandalo Koldo. Come ha sottolineato il professore José Miguel Calvillo, “il governo avrà vita molto difficile” a ottenere il sostegno parlamentare necessario.
Inoltre, la Spagna non è l’unica a storcere il naso. Anche l’Italia, secondo fonti diplomatiche, preme per ammorbidire gli impegni, chiedendo di spostare la scadenza al 2035, anche se l’Italia dovrebbe raggiungere almeno il 2%. La lettera di Sánchez, pur essendo la mossa più eclatante, si inserisce in un malcontento più ampio tra gli alleati del Sud Europa, preoccupati di dover sacrificare il welfare sull’altare di un riarmo imposto dalle pressioni statunitensi, ieri come oggi incarnate da Donald Trump.
Mentre si avvicina il cruciale summit NATO, la domanda resta: la mossa di Madrid è stata un maldestro tentativo di negoziazione o il sintomo di una paralisi decisionale? Un alto funzionario europeo, citato da Reuters, ha sospirato: “Non sembra una bella cosa, ma non è ancora finita”. La speranza è che si trovi una via d’uscita. Per ora, l’unica certezza è la confusione. E in geopolitica, la confusione è il primo passo verso l’irrilevanza.
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